La verità è che, da tempo, si è dimenticato che Radames è uno degli ultimi epigoni della vocalità dei protagonisti del grand-operà, personaggi sempre connotati, in seguito alla vicenda drammaturgica proposta, in contrasto fra l’aspetto pubblico -quando non addirittura storico- e quello intimo, amoroso ed erotico. Radames è diretta filiazione da Vasco de Gama per risalire sino a Raoul de Nangis.
A questa categoria vocale e drammaturgica rispondono i primi Radames del Met: i più famosi nel 1891, 1895, 1896 e 1901 de Reszke, nel 1894 Francisco Vinas e nel 1894 e 1896 Francesco Tamagno.
Del solo Vinas esistono documentazioni fonografiche del ruolo.
Quello che nel grand-operà ed in Otello rimane di Tamagno rende l’immagine di grande squillo, penetrazione, potenza con un colore di voce marcatamente chiaro.
Vinas suona leggermente più scuro, ma se anche la fase finale della carriera Vinas cantò il repertorio wagneriano, è sempre chiaro ed adamantino come competeva a quelli, che i pubblici spagnoli chiamavano ed idolatravano come tenore “de espada”.
Che di de Reszke non rimangano registrazione è motivo di immenso cordoglio per gli appassionati di archeologia e storia del canto (personalmente mi dolgo in egual misura che Angelo Masini abbia fatto distruggere un paio di provini). Non solo, ma con riferimento alle Aide del Met stupisce che le recensioni del tempo parlino di un tenore lirico drammatico di straordinaria potenza e di squillo e facilità nel registro acuto. Si tratta, preciso del Radames del 1891 (e non quello del 1901 ove il tenore polacco ometteva niente meno che “Celeste Aida”). Preciso inoltre, riflettendo sulla recensione, che la prima attribuzione può anche starci perché de Reszke nasceva come baritono e praticava grand-operà e Wagner, che richiedono tali doti, quanto alla seconda proprio l’origine vocale, il repertorio praticato e il limitato rapporto con il repertorio italiano possono far sorgere qualche legittimo dubbio, anche se, per completezza rilevo che Radames non richiede gli estremi acuti del tenore ( do e do diesis), ma una zona medio alta ampia e penetrante e che gli episodi di atletismo vocale, previsti in spartito o di tradizione, si limitano al si bem smorzato della sortita ed al la nat di “sacerdote io resto a te”.
Tanto per proseguire con i Radames del Met, che non entrarono in sala di registrazione nei primi del secolo XX spesso vestì i panni di Radames Emilio de Marchi, di cui, però, rimane la registrazione dal vivo grazie ai cilindri Mapleson. Con riferimento ad Aida forse più importante per la concertazione di Luigi Mancinelli che per i cast (stellari comunque) e per il culture della storia della vocalità la licenza che il direttore concede a de Marchi-Radames di salire all’unisono al do5 con Aida al concertato del trionfo. Per quel che si sente un suono di penetrazione oggi impensabile soprattutto in un tenore da Aida.
In generale, pure nella povertà di documentazione e nella difficoltà di decifrarla, si tratta di tenori drammatici di un genere che l’avvento, soprattutto al Met, di Caruso distrusse sottraendo il protagonista dell’opera verdiana alla sfera del grand-opera per trasferirlo a quella del tenore verista (vuoi lirico spinto, vuoi, addirittura drammatico). Poi possiamo e dobbiamo ammirare l’esecuzione di Caruso del “celeste Aida” piuttosto che del duetto finale o di quello con Amneris per il calore della voce, la comunicativa, ma i Radames diciamo “ottocenteschi” hanno un altro fascino oltre che un’altra posizione del suono, che consente loro aderenze interpretative al modello precluse a Caruso ed a molti tenori del dopo Caruso.
Per la cronaca quello di Caruso al Met fu, riferito a Radames, in autentico monopolio con novantuno serate dal 1903 al 1919, in compagnia di storiche protagoniste come la Nordica, la Eames, la Destin sino a Claudia Muzio e di direttori come Toscanini.
Nel corso dell’impero Caruso, precisamente nella stagione 1910 fu Leo Slezak, ovvero il maggior tenore drammatico di area mittleuropea, a vestire i panni di Radames. Da quel che le registrazioni in lingua tedesca (al Met cantò in italiano) tramandano Slezak vestì i panni del condottiero egizio con un timbro di qualità pari a quello del tenore napoletano e con una aderenza al modello vocale ben maggiore. Le registrazioni testimoniano un timbro fresco ed argentino, capacità di colorire e di dinamica ( tanto che nella chiusa della sortita Slezak si prende la libertà di eseguire, all’opposto di come prescritta, la forcella su si bem).
Nonostante Caruso la tradizione del Radames de espada o grand-operà ebbe due paradigmatici rappresentanti al Met in epoca post carusiana: Miguel Fleta e Giacomo Lauri-Volpi.
L’esecuzione del terzo atto di Aida di Lauri Volpi è famosissima, più volte pubblicata, universalmente lodata. Esemplare ed irripetibile allora ed oggi ancor più. E aggiungo non solo per il protagonista maschile.
Quanto a Fleta nessun tenore, che abbia inciso “Celeste Aida”, può vantarne il timbro dolce, sensuale ed eroico al tempo stesso, le smorzature e lo squillo congiunti, che esaltano l’esaltato Radames. Peccato che non esista in tutto ed in parte il terzo atto, magari anche limitato alla filatura de “il ciel dei nostri amori” ossia alla trombonata del “sacerdote io resto a te”.
Particolare la storia interpretativa e vocale dell’altro autentico monopolista del ruolo Giovanni Martinelli, Radames dal 1913 al 1943, in origine chiaro, estesissimo e che deliberatamente anziché cantare il repertorio drammatico alla Tamagno lo affrontò alla Caruso ricavandone nella fase terminale della carriera suoni tubati al centro, acuti fissi e copiose stonature in zona di passaggio. Almeno sino al 1935-36 ( e lo documentano proprio le trasmissioni radiofoniche come un secondo quadro del quarto atto del Trovatore) era facile e squillante in alto, argentino ora eroico, ora carezzevole ed amoroso nell’ambito di una voce di straordinaria potenza. Tutto comprovato dal duetto della tomba con Rosa Ponselle
Nell’anteguerra tre Radames, che erano i deputati protagonisti nei teatri italiani ossia Aureliano Pertile, Francesco Merli e Beniamino Gigli cantarono occasionalmente Radames al Met. Ma per i primi due, rispettivamente nella stagione 1921 ed in quella 1932, non solo Radames, ma anche il Met fu una “toccata e fuga”, mentre per Gigli solo condottiero egizio fu occasionale performance ne teatro. La registrazione di questa prestazione occasionale è documentata e la proponiamo nel duetto del terzo atto con Zinka Milanov. Per la cronaca l’altra Aida delle due performances di Gigli era Elisabeth Rethberg, una sorta di passaggio di testimone fra l’inarrivabile Lillibeth e la vocalmente dotata Zinka.
Il modello di Radames eroico, squillante, giovane e dalla voce argentina trova l’ultima realizzazione con Richard Tucker, che registrato il personaggio nel 1946 con Toscanini e nel 1955 con la Callas , lo portò in scena solo negli anni’60. Quindi un giovane amoroso in realtà sulla cinquantina. Sublime finzione del melodramma.
Tanto per ripetere discorsi abusati Tucker non è Fleta e Lauri Volpi per raffinatezza e fantasia di fraseggio, coglie, però, in ogni frase il personaggio pensato da Verdi, sognatore d’amore e di gloria, poi, rinunciatario persino della vita (per altro offertale a prezzo carissimo da una innamorata figlia di re). I protagonisti coevi e concorrenti Tucker erano Carlo Bergonzi e Franco Corelli. Battaglia fra titani, anche se credo che, nonostante l’ampiezza di voce e il fraseggio vario (soprattutto sino alla metà degli anni ’60) di Bergonzi o la strapotenza vocale, il phisique du role, connesse ad autentici virtuosismi vocali come la smorzatura del si bem alla sortita di Corelli centrino meno il personaggio rispetto al tenore americano.
Poi, come documentano i live dal Met da Domingo in poi, vere voci, vera tecnica, vero accento per il condottiero amante egizio non ce ne sono più stati né al Met né altrove. Ai Titani si sono sostituiti i lillipuziani, ad ogni ripresa sempre più piccoli.
Rimpiangere, ricordare o adeguarsi alla regola che, comunque, si deve andare in scena. Questo è l’atroce dilemma che oggi, più che mai distrugge il melomane.
Gli ascolti
Verdi – Aida
Atto I
Se quel guerrier io fossi…Celeste Aida – Enrico Caruso (1911), Leo Slezak, Hipólito Lázaro, Miguel Fleta, Carlo Bergonzi (1963), Franco Corelli (1967)
Atto II
Ma tu Re, tu signore possente – Emilio De Marchi (con Gadski, Homer, Campanari, Journet & Mühlmann – 1903 – Mapleson)
Atto III
Pur ti riveggo, mia dolce Aida – Francisco Viñas & Ester Mazzoleni (1909), Beniamino Gigli & Zinka Milanov (con Carlo Tagliabue – 1939)
Ma dimmi, per qual via – Mario Del Monaco, Zinka Milanov & Leonard Warren (1952)
Atto IV
Già i sacerdoti adunansi – Enrico Caruso & Louise Homer (1910), Richard Tucker & Grace Bumbry (1973)
La fatal pietra…O terra addio – Giovanni Martinelli & Rosa Ponselle, Beniamino Gigli & Zinka Milanov (1939)
Splendida recensione, che condivido pure nelle "virgole" ed anche nel rammarico per la mancanza di testimonianze della voce di Masini (in effetti, era una domanda che da tempo mi ripromettevo di rivolgerle e che oggi mi conferma).
Bellissimi gli ascolti (e grazie per il raro De Marchi). C'è un'erronea attribuzione che le segnalo: non è Vinas, ma Pasquale Amato nel duetto Ciel mio Padre…
Cari saluti, MB
Chiedo venia dell'errore riguardo al duetto Vinas-Mazzoleni, ora disponibile fra gli ascolti.
Assolutamente meravigioso! Che voci! Che tecniche! Quale accenti verdiani! In più, catturare l'unica volta che Milanov e Gigli hanno cantato insieme… è davvero una chicca!