Per Bayreuth il 2009 rappresenta un anno di transizione, un’edizione che serve alle due sorelle Wagner a stabilire le basi della nuova gestione in tandem che avrà il suo giro di boa il prossimo anno con la nuova produzione di “Lohengrin” con Jonas Kaufmann, Annette Dasch (e già la scelta di quest’ultima appare discutibile, ma staremo a sentire) ed Evelyn Herlitzius diretti da Andris Nelson e con la regia curata dello “scandaloso” Hans Neuenfels.
Seguirà “Tannhäuser” nel 2011 diretto da Thomas Hengelbrock e con la regia di Sebastian Baumgarten, e intanto si cercano i protagonisti, nonostante i nomi più accreditati siano quelli di Robert Dean Smith e Lars Clavemann impegnati nel ruolo del titolo e Günther Groissböck in quello del Langravio.
Nel 2012 sarà varata una nuova produzione del “Fliegende Holländer” targata Thielemann che vedrà il debutto nel ruolo di Senta di Adrianne Pieczonka, già presente a Bayreuth nel 2006-07 come Sieglinde.
L’anno del bicentenario della nascita di Richard Wagner, 2013, il Festival avrà un nuovo “Ring” diretto da Kirill Petrenko mentre per la regia si corteggiano Lars von Trier, che già avrebbe dovuto dirigere il Ring del 2006, ma che abbandonò il progetto dopo aver fornito la sua visione di “Walküre” e “Siegfried” e la cui presenza probabilmente resterà solo sulla carta, ed il più papabile premio Oscar Florian Henckel.
Se il 2014 non offrirà nuove produzioni, il 2015 vedrà la luce di un nuovo “Tristan und Isolde” diretto da Thielemann, con la regia di Katharina Wagner e forse Stephen Gould nel ruolo di Tristan.
Deposto lo scettro, il grande veterano Wolfgang Wagner dopo 57 anni di carriera all’interno del Festspielhaus, ha deciso di cedere la direzione del Festival alle due figlie Katharina Wagner e Eva Wagner-Pasquier, un tempo rivali, oggi unite e decise a portare avanti il lavoro del padre attraverso una gestione dalle scelte e dai contenuti freschi e innovativi con l’aiuto del direttore Christian Thielemann.
Si parla addirittura di introdurre nel Festival le prime tre opere neglette del Maestro.
I cast di quest’anno, come vedremo, sono stati, tranne alcuni casi, i medesimi dell’anno precedente… e purtroppo ancora una volta le scelte quanto meno sbagliate che negli ultimi anni hanno affossato il prestigio del Festival, non corrispondono alle esigenze dei ruoli e della musica.
Il problema è che le voci per interpretare Wagner ci sarebbero anche, ma chissà perché, a Bayreuth non sono gradite.
Nel “Tristan und Isolde” a parte il sempre affidabile ed intenso Robert Dean Smith (che arriva al finale esausto, ma è cantante credibilissimo) abbiamo ascoltato una Isolde, Irene Theorin, la cui voce fragile, inadatta e con numerosi problemi sia nella resa tecnica che espressiva è risultata semplicemente fuori luogo, soprattutto se confrontata con la Nina Stemme che l’aveva preceduta.
Al suo fianco una Brangaene, Michelle Breedt, adagiata su una generica correttezza e con un timbro quasi intercambiabile con quello della Theorin, un Kurwenal, Jukka Rasilainen, completamente manchevole ed un buon Robert Holl nel ruolo di Marke.
Peter Schneider, direttore sempre professionale e molte volte salvatore del Festival, semplicemente dirige con mestiere un “Tristan” “normale”, innocuo e prosciugato da qualunque tensione.
Spettacolo applaudito e buato.
Nei “Meistersinger” (con la risibile regia di Katharina Wagner: disponibile il DVD con tanto di dietro le quinte) Alan Titus sostituisce, grazie al cielo, Franz Hawlata nel ruolo di Hans Sachs.
Vocalmente migliore nonostante l’usura, se la cava egregiamente grazie ad una resa malinconica e paterna assieme al Walther lirico e argenteo di Klaus Florian Vogt ed al buon Beckmesser di Adrian Eroed.
La Kaune annega Eva con la sua voce piccola, asettica e stimbrata e sul suo stesso esempio troviamo la Magdalena della Guber ed il Pogner di Korn.
La direzione di Weigle oltre ad essere precisa possiede una genericità disarmante, una mancanza totale di brio e brillantezza tanto da risultare algida, dai colori cupissimi e pesanti.
E’ una commedia non una messa in suffragio, santo cielo!!!
Spettacolo applaudito e buato.
Nel “Ring” il difetto sta purtroppo tutto nel cast che mortifica la struggente resa orchestrale di Thielemann.
Dohmen iniza discretamente e finisce tragicamente eppure avrebbe tutto per essere Wotan, nel colore, nel fraseggio, nel timbro, ma purtroppo non riesce a governare la ruvida voce e a dare una interpretazione convincente.
La Breedt è una Fricka sufficiente, ma senza palpiti; la Brünnhilde della Watson perde colpi e voce ogni anno purtroppo, le resta ormai solo il fraseggio drammatico e commosso; l’Alberich di Shore non riesce ad andare oltre il lato più becero del personaggio; la Mayer manca sia dell’autorità di Erda che della solennità di Waltraute, ma trova un suo spazio grazie alla voce scura ed interessante, ma dal fraseggio monocorde.
Rose e fiori, però, se confrontata con Ralf Lukas la cui presenza nel Festival nei ruoli di Donner e Gunther resta un mistero insondabile.
Wolfgang Schmidt, che fino a qualche anno fa sembrava possedere tutte le qualità per essere l’erede di Siegfried Jerusalem, oggi è un rudere e nemmeno dei più belli.
Fu un dignitosissimo Tannhäuser e Siegfried a Bayreuth tra il 92 ed il 94, ma già dal 95 la voce risultava durissima, legnosa e inespressiva nonostante cantasse il ruolo dappertutto, Scala inclusa.
Rimase fisso a Bayreuth fino al 2004 come interprete di Siegfried…un supplizio decennale!
Seguendo l’esempio del sottovalutato Manfred Jung (Siegfried giovanile e sognante del centenario, ma anche Mime convincente 14 anni dopo sempre a Bayreuth) oggi interpreta Mime affliggendo gli ascoltatori con i resti di una voce frantumata in migliaia di suonacci acidi e ignobili. BASTA!
Christian Franz è un’altra presenza inspiegabile se non addirittura vergognosa.
Già Siegfried dal 2001 al 2004 a Bayreuth come doppio di Schmidt, allora riusciva a cantare peggio del suo collega, in più la sua chiave di lettura del figlio di Siegmund era e rimane da bambinaccio isterico e capriccioso più vicino ad un comico nano nibelungico che ad un eroe curioso, ma ancora acerbo e pieno di vita.
Che senso ha riproporre lo stesso disastroso cantante a distanza di 5 anni, che aveva distrutto il ruolo anche al Met soltanto pochi mesi prima?
Ottimi i bassi, Kwangchul Youn, Ain Anger e Hans Peter Koenig, rispettivamente Fasolt-Hunding, Fafner e Hagen, gli unici veri trionfatori del “Ring” grazie alle voci duttili, scure e timbrate e le interpretazioni notevolissime e già di riferimento nell’odierno panorama.
Bravissimi anche Endrik Wottrich e la Westbroek.
Wottrich riscatta una voce corta, ingolata e querula grazie ad un fraseggio veemente e votato al pessimismo, al suo fianco la Sieglinde della Westbroek vince per la bellezza luminosa del timbro, per la robustezza dello strumento e grazie al fraseggio delicato e femminile.
Si distinguono nelle parti di fianco le prove convincenti della Freia-Gutrune della Haller, del simpatico Froh di Bieber ed dell’insinuante Loge di Bezuyen.
La direzione di Thielemann non esito a definirla storica per il suo guardare all’antico con gusto moderno, per l’uso appropriato dei tempi, per i fraseggi sempre cangianti e morbidi del magma orchestrale, per la tensione romantica che attraversa la melodia e per il respiro musicale sempre fuso con le esigenze del momento scenico.
Spettacoli applauditi e buati.
Nel “Parsifal” Chritopher Ventris si conferma interprete abile e immedesimato, ma a disagio con i pochi acuti e con le zone di passaggio. La Fujimura è completamente estranea per voce e sensibilità alle particolari esigenze di Kundry: se l’anno scorso era una curiosità, oggi non riesce ad andare oltre, come per l’affaticato l’Amfortas di Roth. Jesatko è il solito Klingsor trucibaldo e vociferante, mentre emerge su tutti l’ottimo Kwangchul Youn, Gurnemanz umano, accorato e cantato con intelligenza.
Interessantissima come sempre la lettura di Gatti, che dopo il fallimentare ”Don Carlo” ritrova nella narrazione sacra, dilatata, cristallina di “Parsifal” il suo terreno d’elezione in cui è più libero di esprimersi con la sua impronta personale.
Spettacolo applaudito e buato.Insomma due bacchette e pochi cantanti sugli scudi, non salvano il Festival da una dimensione provinciale e amorfa lontana dai propositi bayreuthiani.
Questo è davvero il meglio che il panorama operistico può offrire a Wagner?
Questi sono i nuovi percorsi vocali del Festival di Bayreuth?
Se vogliamo fare un Festival che esponga il meglio ed esplori nuove vie allora chiamiamo cantanti come ad esempio:
Peter Seiffert, Stig Andersen, Ben Heppner, Greer Grimsley, Juha Uusitalo, Stephen Milling, Jane e Dietrich Henschel, Petra Lang, Violeta Urmana, Nina Stemme, Catherine Wyn-Rogers, Liu Qin Zhang, Emily Magee, Soile Isokoski, Jeanne Michèle Charbonnet, Lance Ryan, Jennifer Wilson, Petra Maria Schnitzer, Anja Harteros, Janice Baird, Sergej Leiferkus, Peter Sidhom, Walter Fink, Volker Vogel, Wolfgang Ablinger-Sperrache, Georg Zeppenfeld, Günther Groissböck, Burckhard Ulrich, Johan Botha..
Per le bacchette invece i vari Tate, Mehta, Salonen, Eschembach, Bychkov, Chung, Rattle, Pappano, Barenboim, Nagano che dovrebbero essere presenza fissa per un grande festival wagneriano.
La parola alle due sorelle Wagner nel 2010.Gli ascolti
Seguirà “Tannhäuser” nel 2011 diretto da Thomas Hengelbrock e con la regia di Sebastian Baumgarten, e intanto si cercano i protagonisti, nonostante i nomi più accreditati siano quelli di Robert Dean Smith e Lars Clavemann impegnati nel ruolo del titolo e Günther Groissböck in quello del Langravio.
Nel 2012 sarà varata una nuova produzione del “Fliegende Holländer” targata Thielemann che vedrà il debutto nel ruolo di Senta di Adrianne Pieczonka, già presente a Bayreuth nel 2006-07 come Sieglinde.
L’anno del bicentenario della nascita di Richard Wagner, 2013, il Festival avrà un nuovo “Ring” diretto da Kirill Petrenko mentre per la regia si corteggiano Lars von Trier, che già avrebbe dovuto dirigere il Ring del 2006, ma che abbandonò il progetto dopo aver fornito la sua visione di “Walküre” e “Siegfried” e la cui presenza probabilmente resterà solo sulla carta, ed il più papabile premio Oscar Florian Henckel.
Se il 2014 non offrirà nuove produzioni, il 2015 vedrà la luce di un nuovo “Tristan und Isolde” diretto da Thielemann, con la regia di Katharina Wagner e forse Stephen Gould nel ruolo di Tristan.
Deposto lo scettro, il grande veterano Wolfgang Wagner dopo 57 anni di carriera all’interno del Festspielhaus, ha deciso di cedere la direzione del Festival alle due figlie Katharina Wagner e Eva Wagner-Pasquier, un tempo rivali, oggi unite e decise a portare avanti il lavoro del padre attraverso una gestione dalle scelte e dai contenuti freschi e innovativi con l’aiuto del direttore Christian Thielemann.
Si parla addirittura di introdurre nel Festival le prime tre opere neglette del Maestro.
I cast di quest’anno, come vedremo, sono stati, tranne alcuni casi, i medesimi dell’anno precedente… e purtroppo ancora una volta le scelte quanto meno sbagliate che negli ultimi anni hanno affossato il prestigio del Festival, non corrispondono alle esigenze dei ruoli e della musica.
Il problema è che le voci per interpretare Wagner ci sarebbero anche, ma chissà perché, a Bayreuth non sono gradite.
Nel “Tristan und Isolde” a parte il sempre affidabile ed intenso Robert Dean Smith (che arriva al finale esausto, ma è cantante credibilissimo) abbiamo ascoltato una Isolde, Irene Theorin, la cui voce fragile, inadatta e con numerosi problemi sia nella resa tecnica che espressiva è risultata semplicemente fuori luogo, soprattutto se confrontata con la Nina Stemme che l’aveva preceduta.
Al suo fianco una Brangaene, Michelle Breedt, adagiata su una generica correttezza e con un timbro quasi intercambiabile con quello della Theorin, un Kurwenal, Jukka Rasilainen, completamente manchevole ed un buon Robert Holl nel ruolo di Marke.
Peter Schneider, direttore sempre professionale e molte volte salvatore del Festival, semplicemente dirige con mestiere un “Tristan” “normale”, innocuo e prosciugato da qualunque tensione.
Spettacolo applaudito e buato.
Nei “Meistersinger” (con la risibile regia di Katharina Wagner: disponibile il DVD con tanto di dietro le quinte) Alan Titus sostituisce, grazie al cielo, Franz Hawlata nel ruolo di Hans Sachs.
Vocalmente migliore nonostante l’usura, se la cava egregiamente grazie ad una resa malinconica e paterna assieme al Walther lirico e argenteo di Klaus Florian Vogt ed al buon Beckmesser di Adrian Eroed.
La Kaune annega Eva con la sua voce piccola, asettica e stimbrata e sul suo stesso esempio troviamo la Magdalena della Guber ed il Pogner di Korn.
La direzione di Weigle oltre ad essere precisa possiede una genericità disarmante, una mancanza totale di brio e brillantezza tanto da risultare algida, dai colori cupissimi e pesanti.
E’ una commedia non una messa in suffragio, santo cielo!!!
Spettacolo applaudito e buato.
Nel “Ring” il difetto sta purtroppo tutto nel cast che mortifica la struggente resa orchestrale di Thielemann.
Dohmen iniza discretamente e finisce tragicamente eppure avrebbe tutto per essere Wotan, nel colore, nel fraseggio, nel timbro, ma purtroppo non riesce a governare la ruvida voce e a dare una interpretazione convincente.
La Breedt è una Fricka sufficiente, ma senza palpiti; la Brünnhilde della Watson perde colpi e voce ogni anno purtroppo, le resta ormai solo il fraseggio drammatico e commosso; l’Alberich di Shore non riesce ad andare oltre il lato più becero del personaggio; la Mayer manca sia dell’autorità di Erda che della solennità di Waltraute, ma trova un suo spazio grazie alla voce scura ed interessante, ma dal fraseggio monocorde.
Rose e fiori, però, se confrontata con Ralf Lukas la cui presenza nel Festival nei ruoli di Donner e Gunther resta un mistero insondabile.
Wolfgang Schmidt, che fino a qualche anno fa sembrava possedere tutte le qualità per essere l’erede di Siegfried Jerusalem, oggi è un rudere e nemmeno dei più belli.
Fu un dignitosissimo Tannhäuser e Siegfried a Bayreuth tra il 92 ed il 94, ma già dal 95 la voce risultava durissima, legnosa e inespressiva nonostante cantasse il ruolo dappertutto, Scala inclusa.
Rimase fisso a Bayreuth fino al 2004 come interprete di Siegfried…un supplizio decennale!
Seguendo l’esempio del sottovalutato Manfred Jung (Siegfried giovanile e sognante del centenario, ma anche Mime convincente 14 anni dopo sempre a Bayreuth) oggi interpreta Mime affliggendo gli ascoltatori con i resti di una voce frantumata in migliaia di suonacci acidi e ignobili. BASTA!
Christian Franz è un’altra presenza inspiegabile se non addirittura vergognosa.
Già Siegfried dal 2001 al 2004 a Bayreuth come doppio di Schmidt, allora riusciva a cantare peggio del suo collega, in più la sua chiave di lettura del figlio di Siegmund era e rimane da bambinaccio isterico e capriccioso più vicino ad un comico nano nibelungico che ad un eroe curioso, ma ancora acerbo e pieno di vita.
Che senso ha riproporre lo stesso disastroso cantante a distanza di 5 anni, che aveva distrutto il ruolo anche al Met soltanto pochi mesi prima?
Ottimi i bassi, Kwangchul Youn, Ain Anger e Hans Peter Koenig, rispettivamente Fasolt-Hunding, Fafner e Hagen, gli unici veri trionfatori del “Ring” grazie alle voci duttili, scure e timbrate e le interpretazioni notevolissime e già di riferimento nell’odierno panorama.
Bravissimi anche Endrik Wottrich e la Westbroek.
Wottrich riscatta una voce corta, ingolata e querula grazie ad un fraseggio veemente e votato al pessimismo, al suo fianco la Sieglinde della Westbroek vince per la bellezza luminosa del timbro, per la robustezza dello strumento e grazie al fraseggio delicato e femminile.
Si distinguono nelle parti di fianco le prove convincenti della Freia-Gutrune della Haller, del simpatico Froh di Bieber ed dell’insinuante Loge di Bezuyen.
La direzione di Thielemann non esito a definirla storica per il suo guardare all’antico con gusto moderno, per l’uso appropriato dei tempi, per i fraseggi sempre cangianti e morbidi del magma orchestrale, per la tensione romantica che attraversa la melodia e per il respiro musicale sempre fuso con le esigenze del momento scenico.
Spettacoli applauditi e buati.
Nel “Parsifal” Chritopher Ventris si conferma interprete abile e immedesimato, ma a disagio con i pochi acuti e con le zone di passaggio. La Fujimura è completamente estranea per voce e sensibilità alle particolari esigenze di Kundry: se l’anno scorso era una curiosità, oggi non riesce ad andare oltre, come per l’affaticato l’Amfortas di Roth. Jesatko è il solito Klingsor trucibaldo e vociferante, mentre emerge su tutti l’ottimo Kwangchul Youn, Gurnemanz umano, accorato e cantato con intelligenza.
Interessantissima come sempre la lettura di Gatti, che dopo il fallimentare ”Don Carlo” ritrova nella narrazione sacra, dilatata, cristallina di “Parsifal” il suo terreno d’elezione in cui è più libero di esprimersi con la sua impronta personale.
Spettacolo applaudito e buato.Insomma due bacchette e pochi cantanti sugli scudi, non salvano il Festival da una dimensione provinciale e amorfa lontana dai propositi bayreuthiani.
Questo è davvero il meglio che il panorama operistico può offrire a Wagner?
Questi sono i nuovi percorsi vocali del Festival di Bayreuth?
Se vogliamo fare un Festival che esponga il meglio ed esplori nuove vie allora chiamiamo cantanti come ad esempio:
Peter Seiffert, Stig Andersen, Ben Heppner, Greer Grimsley, Juha Uusitalo, Stephen Milling, Jane e Dietrich Henschel, Petra Lang, Violeta Urmana, Nina Stemme, Catherine Wyn-Rogers, Liu Qin Zhang, Emily Magee, Soile Isokoski, Jeanne Michèle Charbonnet, Lance Ryan, Jennifer Wilson, Petra Maria Schnitzer, Anja Harteros, Janice Baird, Sergej Leiferkus, Peter Sidhom, Walter Fink, Volker Vogel, Wolfgang Ablinger-Sperrache, Georg Zeppenfeld, Günther Groissböck, Burckhard Ulrich, Johan Botha..
Per le bacchette invece i vari Tate, Mehta, Salonen, Eschembach, Bychkov, Chung, Rattle, Pappano, Barenboim, Nagano che dovrebbero essere presenza fissa per un grande festival wagneriano.
La parola alle due sorelle Wagner nel 2010.Gli ascolti
Wagner – Lohengrin
Atto III – In fernem Land
Jacques Urlus (1911)
Aureliano Pertile (1922)
Miguel Fleta (1924)
Lauritz Melchior (1935)
Franz Völker (1936)
Sergei Lemeshev (1948)
Sándor Kónya (1960)
…….mah!….mi vien da pensare al mio caro teatro degli Italiens orrendamente bruciato….e dire che cantavamo tutti così bene….
Credo che il "best of" del canto wagneriano attuale sia il migliore commento possibile sullo stato in cui versa questo repertorio, che la nostra amata Marianne tanto tenacemente difese ai suoi dì… metà dei cantanti citati non li conosco… il resto: "così nol conoscessi"!!!
PS – certo che se la Dasch debutta Elsa, saremo costretti a rivalutare la di per sé censurabile Harteros…………
Quest'anno non mi è piaciuto il festival. Troppo freddo e primo di livore filologico.