In primo luogo la bacchetta. Si è arrivati all’ultima recita per assistere ad una serata in cui i fuori tempo che hanno caratterizzato le rappresentazioni precedenti, in particolare quelli al terzo atto, finalmente sparissero ( tremendo e marchiano lo svarione udito alla terza all’attacco del concertato dell’atto II dopo il passaggio delle trombe del trionfo e che ha spiazzato l’intero palcoscenico…). Troppo spesso durante le recite si sono uditi scollamenti buca – palco, cantanti indietro o avanti l’orchestra e scombicchieramenti analoghi ( penso alla terza recita con Pons che perde le battute “ Pensa che un popolo che muor vinto straziato..” o la salita anticipata al do dei Cieli azzurri della Feubel…).
Finalmente ieri sera le cose stavano insieme come avrebbero dovuto stare sin dalla prima recita, e così ci siamo fatti un‘idea dell’Aida di Barenboim, che non ci è parsa nulla di speciale ma semplicemente …una buona Aida. E’ rimasto rumoroso come alle prime rappresentazioni nella danza dei moretti ed in certi passaggi del trionfo, moscio e senza epica ( le trombe del trionfo mi parevano tanto liriche da essere più consone all’introduzione all’aria di Ernesto nel Don Pasquale..) per un momento che mi pare inequivocabile nella sua essenza; al contrario intenso e struggente in certi momenti come nel terzo atto, quando ha staccato un tempo ampio ad Amonasro nel “ Pensa che un popolo che muor ” ( peccato che ci volesse un Dio dei baritoni come Galeffi per reggere quell’intensità ampia e crescente con il canto…) , o certi passi del duetto Amneris Radames come la scena della tomba. Luci ed ombre, direi. E poche prove. E stacchi di tempo che hanno troppo spesso spiazzato i cantanti, che ne han fatto le spese sulla loro pelle. Pergiunta la qualità del suono dell’orchestra non è stata nulla di che, e da una bacchetta di questo calibro non è illecito avere aspettative direttoriali, soprattutto da un direttore che nel su teatro berlinese il repertorio lo ha praticato, e parecchio. Peccato.
Aida. Desaparecida la Fantini, pareva dovesse cantare l’audizionata Feubel, sostituita invece dalla Siri, che ha retto, non senza fatica, le repliche. Con voce inadatta al ruolo è stata la migliore ad opinione unanime. La Feubel ha deluso, e le ragioni della sua non andata in scena, salvo che per una sera, son state chiare. Mancanza assoluta di voce in zona centrale e grave, tanto da essere quasi inudibile in interi momenti della parte. Impressionante il vuoto di voce al terzetto di ingresso, come in certe frasi dell’aria del I atto ( “I sacri nomi di padre e d’amante…”), come al terzo. L’orchestrale di Aida non è quello dei Foscari, si sa, e la parte è diversamente scritta dunque…
Violeta Urmana ha cantato meglio rispetto al 2006, almeno stando a quanto udii allora. La voce è piccola, poco sonora, “mangiata”, come si dice in gergo, da un cambio inopinato di registro, che, in virtù di un canto non sul fiato e di una voce che anche da mezzo non era del tutto sfogata, ha causato la riduzione di volume. L’assottigliamento della voce che la cantante lituana deve operare per raggiungere la zona acuta la fa “vocina”, inadatta alle opere da soprano pesante. Ieri sera i do c’erano anche, ma sempre tirati, in mezzo a suoni falsettanti e spesso anche stonacchiati. Non riesce a forare negli ensemble nonostante stia sempre al proscenio. Di contro le manca il centro, il corpo vero della voce, fatto che rende la sua Aida incapace di qualsiasi colore perché priva di cavata. Le forcelle scritte da Verdi sono volate via come ogni tentativo di fraseggio, che è stato sempre monotono e piatto ( penso alla prima aria o al duetto con Amneris…). Che dire? Ha cantato, certo, ha messo lì un canto migliore di quello esibito al Macbeth ma …..le jeux sont fait per lei..
Radames ieri era Salvatore Licitra. Voce grande e ancora bellissima nel centro: ha cantato male, per il semplice motivo che gli acuti non ci sono più, perché son sempre stati emessi con la forza della dote naturale e non con la perizia della tecnica. La parte, per giunta, ne ha tanti, e da eseguire con squillo. E’ entrato con un recitativo bellissimo e poderoso: impressionante! Poi ha attaccato l’aria e la gola si è chiusa sin dalla prima battuta: il canto si è fatto strozzato o forzato, e da lì la musica non è più cambiata. Al centro le cose girano, in alto un disastro, con tanto di stonature e fissità, dovute anche al fatto che il tenore spinge tantissimo. Troppo. Non ci sono sfuggiti gli innumerevoli tentativi di piano, intenzioni belle e pertinenti ( un classico quella sul “vicino al sol” dell’aria ), ma eseguiti in modo sempre avventuroso, con sonorità tanto strozzate da causare mormorii tra il pubblico. In breve, ha faticato nella scena del tempio, non ha “bucato” nel concertatone del II atto, ed è crollato al III, dove ha stonato frequentemente in maniera vistosa, come pure al IV atto nella scena della tomba. Qualche contestazione al suo indirizzo, poche grazie l’alto numero di turisti.
In questo alternarsi di tenori, ove pure Fraccaro ha trovato la sua serata di contestazioni aperte alla sesta recita, cantata, stando alle cronache, come le altre sere, non ha trovato spazio Stuart Neill. Nella sua recita non è stato una folgore ma pare, stando alle cronache, che a parte un paio di svarioni evidenti, fosse il migliore dei tre. A voi informarvi ulteriormente da amici e conoscenti, ma se così è stato, c’è da domandarsi il perché bacchetta e direzione del teatro non lo abbiano fatto cantare di più.
Amneris ieri sera è stata Luciana d’Intino, della cui bellissima voce resta abbastanza poco sotto il peso di una carriera costellata da serate verdiane, senza essere mai stata voce veramente verdiana. Ha cantato con voce poitrinèe nella zona centro grave, con buona sonorità e tentando di governare, nei limiti del possibile, l’emissione, mentre in quella acuta la voce è indietro, nettamente meno sonora ed ovattata. In più “lo scalino” della voce è netto, tanto che le due voci sono immiscibili, con danno del legato in zona centrale. E’ stata capace di tirare il concertato atto II, ad esempio, ma le è mancata un po’ la benzina nella scena del giudizio, troppo pesante per lei, tanto da soccombere sotto l’orchestra. Bella l’interprete, di esperienza e gusto. Al duetto con Aida ha fraseggiato con eleganza schiacciando la collega, come pure al duetto con Radames, ove ha cercato di dare voce al dolore della donna innamorata e respinta. Per quanto male in arnese, e con alcuni suoni bassi davvero artefatti, è stata più gradita della Smirnova, a cui è nettamente superiore almeno per gusto,esperienza e intelligenza.
Non ho udito il sostituto di Pons, di cui non mi han detto gran chè. Diciamo che ieri sera il baritono spagnolo è riuscito a trovarsi nei tempi del maestro, ma il canto……lasciamolo perdere, oggi come ieri. Ho preferito il Re di Marco Spotti a quello di Carlo Cigni, perchè un filo meno gutturale, ma è questione di poco, mentre Prestia Ramfis è usurato, con la voce che balla vistosamente.
Morale della favola: c’erano molti handicaps in questa produzione, ma di certo una maggiore sintonia ed affiatamento tra buca e palco avrebbe potuto dare alla produzione un altro esito. La Scala non è da routine di teatro tedesco, proprio no. Né l’opera italiana può essere affrontata allo stesso modo di quella tedesca, perché è altra e diversa nei modi e negli scopi. Speriamo che tutti facciano tesoro di questa esperienza per la prossima stagione, maestro Barenboim in primis.
La cosa più bella dello spettacolo, ve lo voglio raccontare, sono stati i miei due vicini di posto ieri sera, Niels, di anni 12, e Dorotea, di anni 6. Sono stati i vicini più attenti e compenti di queste tre serate di Aida, col loggione inzeppato di turisti men che occasionali per un teatro d’opera e che al massimo han saputo commentare “ Ah, questa la conosco!” durante le trombe del trionfo.
Il mio piccolo vicino, allievo di violino, mi ha dolcemente commentato i cantanti uno ad uno, spiegandomi che Licitra non canta più bene, che il baritono non gli piaceva e che le donne erano le migliori del cast e perché, a suo avviso, Barenboim, non sia un direttore adatto a Verdi. Tutte opinioni che condivido! Inutile dire che gli amici che vanno ogni sera, un gruppetto sparuto e minuscolo ormai, li hanno accolti facendoli sedere nei posti centrali che occupano da sempre, perché la loro attenzione perfetta e l’intelligenza dei loro commenti li ha affascinati.
E’ stato un peccato che il piccolo Niels non abbia avuto modo di parlare con il signor ZZ, agente teatrale di professione, presente anche ieri sera in loggione ad illudersi di controllare, perché avrebbe saputo dargli spiegazioni ottime, semplici e competenti sul perché i cantanti, compresi i suoi, non fossero gran chè! ZZ ne avrebbe tratto vero giovamento professionale.
Gli ascolti
Verdi – Aida
Atto I
Se quel guerrier io fossi…Celeste Aida – Francesco Merli
Atto II
Fu la sorte dell’armi – Irine Dalis & Leonie Rysanek (1960)
Salvator della patria…Ma tu Re, tu Signore possente – Cornell MacNeil, Aprile Millo, Bruno Sebastian, Grace Bumbry, Paul Plishka & Terry Cook – Nello Santi (1986)
Atto III
Qui Radames verrà…O patria mia – Stella Roman (1941)
Ciel! Mio padre – Gwyneth Jones & Matteo Manuguerra (1976)
Aida!…Tu non m’ami!…Sacerdote, io resto a te – Mario Filippeschi (con Anna Maria Rovere & Robert McFerrin – 1956)
Atto IV
Ohimé…morir mi sento – Mirella Parutto (1963)
La fatal pietra…O terra addio – Antonietta Stella & Giuseppe Di Stefano (1956)
Ci terrei a precisare che una direzione raffazzonata sarebbe fatale anche per il teatro d'opera tedesco: ci pensate a un FIdelio con gli attacchi sbrindellati, a un Von Weber sbracato? E' assolutamente impensabile che un direttore, chiunque egli sia, pensi di potersi avvicinare alla musica senza provare e senza entrare a fondo in contatto con l'orchestra, e non si tratta di opera italiana, tedesca o francese, si tratta credo di professionalità in generale!
Lo stesso Wagner non soffirebbe approcci tanto slabbrati: il suo romanticismo estremo è una macchina pesante sì, ma precisa e calcolata, che prevede già in sede di scrittura musicale gli effetti necessari e che non ammette incertezze (per farsene un'idea basta ascoltare una delle grandi interpretazioni del passato, anche fino a Leinsdorf volendo, e metterla in rapporto con una delle produzioni contemporanee…).
Ritengo poi che mettere Licitra in quel ruolo sia stata un'idea davvero disgraziata: la sua voce è in condizioni disastrose, e non da oggi! Aida è una delle opere più famose ed importanti del repertorio italiano, andrebbe trattata diversamente e non presa sottogamba come una recita di fine anno delle scuole medie.
Di questo passo fra qualche anno al posto dell'affranto Salvatore ci proporrannno, chissà, un Bonolis, un Albano Carrisi?…
con affetto
S.
Caro Silvio,
alludevo al rapporto con il canto.
Assecondare il canto, saper far cantare, gestire con lucidità il budget vocale di cui si dispone mi pare premessa imprescindibile per l'opera italiana. Nell'opera italiana se il canto non gira la buca non è sufficiente.Perciò una certa competeza in fatto di voci è necessaria.
a presto