Vediamo quindi, per periodi e autori (secondo la classificazione oggi prediletta e maggiormente adottata dai curatori dei cartelloni teatrali), che cosa i teatri parigini (Opéra, Châtelet, Champs-Elysées e Salle Pleyel) hanno in serbo per la stagione 2009-2010.
Iniziamo, come è d’obbligo in nome della cronologia e anche della passione del pubblico transalpino per il barocco, con le opere di quegli autori che per l’appunto sogliono definirsi barocchi tout court. Etichetta che oggi si applica senza troppi distinguo a tutto quello che sta fra i primordi dell’opera e Mozart.
La massima scena lirica nazionale, l’Opéra, prevede solo due appuntamenti, e in entrambi i casi si tratta di riprese di allestimenti già visti a Parigi e anche altrove. La Platée di Rameau propone un cast tutto o quasi collaudato, anche in dvd: Mireille Delunsch, Paul Agnew (che si alternerà a Jean-Paul Fouchécourt), Yann Beuron. Ovviamente Marc Minkowski alla bacchetta e Laurent Pelly alla regia. Di ben altra portata l’Idomeneo mozartiano (regia di Bondy, già proposta anche alla Scala), che vede alla direzione la consumata esperienza di Emmanuelle Haïm e due debutti, come usa dirsi, di lusso: Rolando Villazón nel ruolo eponimo e Anna Netrebko come Elettra. Un vecchio adagio impone di non sparare sulla Croce Rossa, ma nutriamo forti perplessità su questo “dream team”, attese le recenti e tutt’altro che concluse vicissitudini cliniche di Villazón (che del resto ha cancellato tutti gli impegni sino alla fine del 2009 e proprio con questo Idomeneo previsto per gennaio dovrebbe riprendere l’attività) e le difficoltà nel registro acuto e nel canto di forza della Netrebko, alle prese con un ruolo che, anche alla luce di quanto già udito in concerto, sembra starle decisamente largo. E come dimenticare l’Idamante di Vesselina Kasarova?
Molto più ricca e articolata la proposta del Théâtre des Champs-Elysées, sempre all’avanguardia in questo repertorio. Ovviamente tutta o quasi sotto l’egida del puro barocchismo. Si comincia con La Calisto di Cavalli, diretta da Christophe Rousset e con un cast che schiera Lawrence Zazzo e Véronique Gens, ma anche, a sorpresa, cantanti normalmente dediti ad altri generi, come Giovanni Battista Parodi. È poi la volta della trilogia dapontiana, affidata a Jean-Claude Malgoire (che francamente credevamo ormai in pensione) e a una distribuzione in cui spiccano i nomi di Elena de la Merced (che dopo svariati cimenti belcantisti ritorna alla più abbordabile Susanna), Laurent Naouri, Sandrine Piau (che, palesemente meno accorta della collega spagnola, tenta la carta Donn’Anna), Véronique Gens e poco altro. Assai più movimentata appare la Semele haendeliana, con il peperino Danielle De Niese, Vivica Genaux e Richard Croft. Dirige, ancora una volta, Rousset, la mise en scène è affidata al guru inglese McVicar. Moltissime poi le opere in forma di concerto. Fra le principali, il Rinaldo di Haendel diretto da Ottavio Dantone, con Sonia Prina e Maria Grazia Schiavo; il Faramondo di Haendel diretto da Diego Fasolis, con un cast in cui dominano i principi regnanti del canto controtenorile, Philippe Jaroussky e Max-Emmanuel Cencic; e l’Ezio di Haendel, diretto da Attilio Cremonesi, con Veronica Cangemi, Kristina Hammarstroem, Lawrence Zazzo, Sonia Prina, Antonio Abete e Vittorio Prato.
Grande sarà poi il giubilo degli amanti della musica sacra, che potranno godere del Messia haendeliano diretto dalla Haïm, con Camilla Tilling, e quindi del Magnificat bachiano con Sandrine Piau, ma soprattutto dell’Oratorio di Natale, con la diva Natalie Dessay e la direzione di Jean-Christophe Spinosi.
Succulenta anche l’idea del Théâtre du Châtelet, che rende omaggio al Flauto magico allestendone ben due versioni: la prima tradizionale (ma con venature filologiche, spiccando nel cast la Pamina di Sandrine Piau), la seconda iconoclasta (almeno sulla carta) riscrittura della partitura mozartiana in salsa africana, con tanto di “marimbas, percussioni e cori” etnici.
Anche la Salle Pleyel ha in programma un Flauto magico, affidato alle cure di René Jacobs e con un cast di habitué in cui spicca la solita Sunhae Im (si profila, puntuale come sempre, la realizzazione di un disco). Sono poi in programma il Giulio Cesare haendeliano, diretto da William Christie e interpretato da Andreas Scholl e Cecilia Bartoli, un’Incoronazione di Poppea diretta sempre da Christie con Danielle De Niese, Anna Bonitatibus, Philippe Jaroussky e Max-Emmanuel Cencic e infine un’Armida vivaldiana, in occasione della quale Rinaldo Alessandrini dirigerà un cast composto da Sara Mingardo, Furio Zanasi, Monica Bacelli, Raffaella Milanesi, Marina Comparato, Romina Basso e Martin Oro.
Passando a Rossini, Bellini e Donizetti, repertorio prediletto dai melomani vecchio stampo (chiediamo scusa, come Figaro: “son debolezze!”), l’Opéra propone ancora una volta pochi titoli. E se la scelta delle opere non brilla per originalità, lo stesso non si può dire dei cast, invero fantasiosamente assemblati. Si comincia con un Barbiere di Siviglia, affidato alla navigata direzione di Bruno Campanella: Almaviva sarà Antonino Siragusa (ultimamente piuttosto in difficoltà anche ne La fille du régiment), Rosina Karine Deshayes (vedi oltre), nei panni di Figaro si alterneranno George Petean e Dalibor Jenis, mentre come Bartolo e Basilio i fortunati parigini vedranno e udranno nientemeno che Alberto Rinaldi e Paata Burchuladze (sic!). Seguirà l’Elisir d’Amore con la coppia Netrebko/Filianoti e il dottor Dulcamara di Paolo Gavanelli. Sarà quindi la volta di Sonnambula, in una produzione che riposa sull’estro di Evelino Pidò alla bacchetta e soprattutto sulla presenza di Natalie Dessay, che torna al titolo dopo la zoppicante prova al Met (al suo fianco, Javier Camarena e Michele Pertusi). Ma il vero grande appuntamento è a giugno, con la Donna del Lago, che schiera un cast delle grandi occasioni: Juan Diego Flórez, Joyce DiDonato, Daniela Barcellona e Francesco Meli, affidati alla bacchetta non proprio raffinatissima di Daniele Abbado. Non volendo essere uccelli di malaugurio, ci asterremo dal pronosticare quanti e quali dei divi suddetti si presenteranno alla prima e alle recite successive, ma ci pare che i cantanti convocati abbiano con i rispettivi ruoli ben poco che spartire, e che sarebbe giusto e opportuno che Abbado approntasse tagli e raggiusti tali da permettere all’operazione, se non di trionfare, quantomeno di arrivare in porto senza incidenti. Com’è d’uso, per alcuni ruoli è prevista una distribuzione alternativa, cui saranno affidate le ultime repliche e, presumiamo, l’obbligo di “copertura” delle recite del primo cast: Karine Deshayes e Javier Camarena saranno in luglio Elena e Giacomo V.
Agli Champs Elysées andrà in scena La Cenerentola, con la starlette DGG Elina Garanca, Antonino Siragusa e un improponibile trio di voci gravi: Stéphane Degout (Dandini), Pietro Spagnoli (Magnifico) e Ildebrando d’Arcangelo (Alidoro). Riccardo Muti, nell’ambito di una tournée europea che interesserà anche Liegi, porterà a Parigi il “suo” Don Pasquale, visto anche nella nostra provincia un paio di stagioni fa, sempre con Laura Giordano, Juan Francisco Gatell, Nicola Alaimo e Mario Cassi. Brividi da autentica filologia, infine, si annunciano per il Tancredi diretto da Malgoire, con Nora Gubisch nel ruolo del titolo, Elena de la Merced quale Amenaide e Filippo Adami nei panni, quanto mai improbabili, di Argirio.
A siffatte iniziative il Théâtre du Châtelet risponde con una Norma sulla cui locandina i nomi di richiamo sono quelli del direttore, Jean-Christophe Spinosi, e del regista, Peter Mussbach. Speriamo che i cantanti, a noi ignoti, siano all’altezza del duo citato.
L’Opéra propone un titolo verdiano e due wagneriani. Il Don Carlo (in lingua italiana) sarà diretto da Carlo Rizzi e vedrà nel ruolo del titolo Stefano Secco, che Parigi predilige nei ruoli di tenore lirico-spinto. Accanto a lui Sondra Radvanovsky, Luciana d’Intino, Ludovic Tézier e Giacomo Prestia. Il prologo e la prima giornata del Ring saranno proposti in un allestimento con la regia di Günter Krämer: nel cast Robert Dean Smith, Ricarda Merbeth (Sieglinde), Katarina Dalayman (Brünnhilde), Günther Groissböck e, nei panni dei divini consorti, Falck Struckmann e Yvonne Naef (solo nella Valchiria; Fricka nell’Oro del Reno sarà Sophie Koch). Philippe Jordan dirigerà il suddetto cast, come si può notare di stretta osservanza declamatoria.
Maggiore e anzi salomonico equilibrio tra Italia e Germania nella programmazione del Théâtre des Champs Elysées. Falstaff sarà diretto da Daniele Gatti e vedrà nel ruolo del titolo Anthony Michaels-Moore, che in più di una occasione ha dimostrato la propria totale estraneità al repertorio verdiano. Accanto a lui Anna Caterina Antonacci, in momentanea vacanza dal repertorio settecentesco, il soave Paolo Fanale, i non proprio raffinatissimi Marie-Nicole Lemieux e Jean-François Lapointe e il redivivo Francesco Ellero d’Artegna come Pistola. Il Tristano avrà al centro una diva che fa fatto della parte di Isotta uno dei suoi cavalli di battaglia di questi ultimi anni: Waltraud Meier. Con lei saranno Lance Ryan e Mihoko Fujimura, il tutto sotto la bacchetta di Daniel Harding.
L’opera romantica francese trova, per tradizione, ampio spazio nella programmazione dei teatri della capitale. E difatti l’Opéra apre la stagione con la Mireille di Gounod, opera di non frequente esecuzione (almeno nel passato recente) e proprio per questo meritevole di un’esecuzione di alto livello. Protagonisti al Palais Garnier saranno Inva Mula, ultimamente in fase un poco calante, e Charles Castonovo, di cui abbiamo sentito un recente e faticoso Edgardo di Ravenswood in Bruxelles. Alla bacchetta, Marc Minkowski. Minore fantasia denunciano gli altri titoli prescelti: Werther e Les contes d’Hoffmann. Poco male, trattandosi comunque di pilastri del repertorio. Maggiore allarme suscitano i cast, a cominciare da quello del Werther, che vede il debutto nel ruolo di Jonas Kaufmann. Il prestante tenore germanico sarà affiancato da Sophie Koch e Ludovic Tézier, in una produzione che vedrà alla bacchetta lo specialista Michel Plasson. Ma ciò che lascia di stucco, per non dire di peggio, è il ruolo di Hoffmann affidato a Giuseppe Filianoti, che già un paio di stagioni fa era stato ben poco plausibile nel ruolo del poeta maledetto. Le sue tre donne saranno l’usignolo Laura Aikin (prossima Lulu scaligera), ancora una volta la Mula e l’assai poco stilizzata Béatrice Uria-Monzon; a Nicklausse darà voce Ekaterina Gubanova e Franck Ferrari interpreterà i quattro Diavoli. La direzione, che è facile immaginare greve, sarà a carico di Jesús López-Cobos. Meno male che ci sarà il regista-demiurgo Robert Carsen a risollevare le sorti dello spettacolo.
In ossequio a quelle che sono ormai le linee guida della programmazione dei teatri europei, l’Opéra completerà la propria stagione con una congrua dose di Novecento. Gli abbonati potranno fruire di un Wozzeck “di” Christoph Marthaler (con Waltraud Meier), una Città morta “di” Willy Decker, una Salome “di” Lev Dodin (con il ritorno di Thomas Moser quale Erode), un Billy Budd “di” Francesca Zambello e una Piccola volpe astuta “di” André Engel. Superfluo citare i cast vocali: un po’ perché in questo repertorio contano poco (così almeno sostengono alcuni palati fini), un po’ perché i cast in questione presentano scarsi motivi di attrazione. Quasi a fatica, in questo tripudio di Novecento registico, trovano posto un Andrea Chénier e una Bohème. Ma sono proposte, come suol dirsi, di qualità. Il poeta e la sua Maddalena saranno rispettivamente Marcelo Alvarez e Micaela Carosi, coppia ormai rodata, sebbene su palcoscenici meno prestigiosi della Bastille. La Bohème si segnala per il debutto, come Musetta, di Natalie Dessay; nel ruolo di Rodolfo si alterneranno Stefano Secco e Massimo Giordano, Mimì sarà interpretata da Tamar Iveri e da Inva Mula, mentre come Marcello i parigini avranno diritto a Ludovic Tézier e Dalibor Jenis; Giovanni Battista Parodi sarà Colline. Dirigerà entrambe le opere Daniel Oren.
Anche il Théâtre des Champs-Elysées proporrà un Wozzeck e una Bohème: il primo vedrà nel ruolo protagonistico Simon Keenlyside accanto alla Marie di Katarina Dalayman (Esa-Pekka Salonen alla bacchetta), mentre in Bohème canteranno Anja Harteros e Joseph Calleja sotto la direzione di Asher Fisch.
Insomma, tanti titoli, scelti con scarsa originalità e soprattutto allestiti con dispendio di grandi nomi e, si presume, congrui cachet, ma anche con poche autentiche attrattive, almeno per noi, appassionati “polverosi” e in pesante debito formativo.
Gli ascolti
Haendel – Giulio Cesare in Egitto
Atto III: Ritorni omai nel nostro core – Boris Christoff, Onelia Fineschi, Fedora Barbieri & Franco Corelli (1955)
Rossini – La donna del lago
Atto II: Alla ragion deh rieda – Anna Caterina Antonacci, Raúl Giménez & Ramón Vargas (1992)
Bellini – La sonnambula
Atto II: Ah non credea mirarti – Margherita Carosio (1953)
Donizetti – L’elisir d’amore
Atto I: Chiedi all’aura lusinghiera – Rina & Beniamino Gigli (1953)
Massenet – Werther
Atto II: Un autre est son époux… J’aurais sur ma poitrine – Georges Thill (1927)
Giordano – Andrea Chénier
Quadro IV: Vicino a te s’acqueta – Alain Vanzo & Michèle Le Bris (1970)
Sto pensando a quel Barbiere con Alberto Rinaldi (classe 1939), che francamente credevo ritirato da almeno 15 anni… In compenso Burchuladze è un ragazzino (classe 1955, ma stupirei se avesse conservato un'oncia di voce, a giudicare da come la sprecava 20-25 anni fa!
Guarda, Burchuladze può piacere o non piacere, non sto qui a discutere, ma di voce ne ha ancora veramente tanta. Ma veramente.
Il problema, come sempre, è la qualità del canto, e non la quantità di voce…
http://www.opera-comique.com/fr/saison-2009-2010/
sì avevamo notato, Dolcevita…. ma fra tutti gli spettacoli proposti dall'Opéra Comique non c'era uno capace di suscitare in noi un brivido…… sia pure di orrore!