Lucrezia Borgia a Liège

Nella stagione 1854 agli Italiani ritornò, dopo dieci anni di assenza, Giulia Grisi. E vi tornò con la “sua” Semiramide. Le scrissero che non era quella di dieci anni prima, ma che era sempre la Grisi. Suprema, per espressione e per virtuosismo, ad onta del declino del mezzo.

Voglio credere che le sensazioni di quel pubblico degli Italiani siano state simili a quelle provate, la sera del 18 giugno a Liegi, da Giulia Grisi, Domenico Donzelli ed Antonio Tamburini.
Per i primi due ascoltatori, attesa la loro anagrafe, miss Anderson è una vecchia conoscenza ( dal lontano 1983 in Lucia), una delle protagoniste di quella golden age del canto rossiniano degli anni ’80. E finita da tempo. Per Antonio Tamburini, invece, il primo ascolto dal vivo del monumentum. Vale la pena cogliere il pensiero di entrambi i gruppi di ascoltatori, diversi perchè diversa l’anagrafe e le esperienze musicali.
June Anderson, lo abbiamo scritto, si è sempre prefissa, quale scopo, quello di essere una interprete. Abbiamo anche scritto, e la diretta interessata, credo lo sappia, che il suo “assillo” lasciava alquanto perplessi, perchè se una cantante sembrava richiamare la Anderson, quella era Joan Sutherland, che con l’interpretazione, soprattutto secondo i canoni a Lei contemporanei, ha avuto rapporti problematici.
Allora possiamo dire che la voce di miss Anderson ha perso in parte smalto (June Anderson è nata nel 1952 e canta dal 1979), il volume è controllato per evitare asperità di suono e, sopratutto, si evidenziano problemi di intonazione in zona di passaggio mentre gli acuti estremi talvolta suonano duri. Eppure abbiamo sentito June Anderson che nei panni della venefica Lucrezia, nell’assoluto rispetto delle regole interpretative e musicali del bel canto, senza nulla utilizzare (come hanno fatto Gencer e Caballé) dell’espressività del melodramma successivo, si è levata su tutto e tutti come una grande interprete. Attenzione maniacale al fraseggio nei recitativi, a cominciare da una frasetta di quelle dell’entrata “Tu scoprirlo non puoi, seco mi lascia..”, al colore di voce completamente differente al secondo atto, a seconda che la Borgia si rivolgesse a don Alfonso o parlasse di Gennaro, o la scansione netta, precisa ed aulica della entrata della dichiarata avvelenatrice nel finale. E ciò nonostante la scrittura vocale sia, in quest’ultima scena, decisamente bassa.
Quanto ai cantabili, la differenziazione fra la fiorettatura languida della cavatina di sortita e della stretta del seguente duetto con Gennaro “ama tua madre” (con misurate varianti) e le agilità di forza del rondo finale (il “cazzaccio”, che Donizetti inserì per compiacere Henriette Méric-Lalande e con lei altre venti prime donne) è paradigmatica. Oggi nessuna cantante in carriera internazionale è in grado di praticarla. Le critiche dedicate alla sopravvissuta Giulia Grisi del 1854 calzano a meraviglia alla altrettanto sopravvissuta June Anderson.
Insomma, una di quelle serate, e non perchè canti una cantante della nostra gioventù, che entusiasmano ancora, perchè vi si celebra l’essenziale ed irrinuciabile mito della prima donna, che da sempre alimenta il teatro.
Possono tentare di sostituire questa colonna portante del melodramma con quello della regia, del direttore ovvero con miti estranei a gusto ed estetica del melodramma italiano ed italianeggiante (da Haendel a Zandonai). Ne sortiranno soltanto serate modeste, zoppe, prive di senso, nonostante l’affannarsi per convincere il pubblico del contrario. Bastava sentire le ovazioni che hanno salutato la serata e la replica pomeridiana trasmessa dalla radio belga.

In genere le primedonne possono anche avere azione trascinante sui compagni di avventura.
Ne ha beneficiato, ad esempio, Marianna Pizzolato nel ruolo di Maffio Orsini. Per essere chiari la Pizzolato non può allo stato rivaleggiare con le performance teatrali e discografiche di Marilyn Horne e Martine Dupuy. E’ però di molto superiore alle blasonate Sonia Ganassi e Daniela Barcellona, per richiamare i Maffio scaligeri.
La voce al centro suona bella, morbida, tonda, di colore da mezzo soprano acuto e buon volume. I problemi arrivano in basso e negli acuti estremi ( pochi perchè la parte non ne prevede e le interpolazioni in quella zona sono state parche). Eppure credo che manchi poco a Marianna Pizzolato per una carriera ai primi posti, tenuto anche conto di quali imposture detengano quelle posizioni. Credo le sia sufficiente una maggior copertura e proiezione del suono al centro, che poi è la zona baricentro della voce, per conquistare acuti squillanti e saldi. Quelli che competono a Cenerentola, Rosina. E naturalmente abbandonare, almeno per il momento, le parti di contralto come la poco felice Andromaca dell’anno passato a Pesaro. Potrebbe anche ispirarsi al gusto e alla sobrietà della collega americana nella scelta degli abiti.

Quanto al reparto maschile era capitanato da Ismael Jordi, spagnolo, che come tutti i tenori spagnoli è dotato di “punta” e di una certa propensione ad imitare Kraus. Meglio imitare Kraus che Carreras e Domingo. Anche qui con quel che passa il convento, ossia che impongono le mayor del disco ovvero Florez, Grigolo, Albelo siamo su un altro pianeta. Anche qui come nel caso di Marianna Pizzolato basta poco ad essere al livello delle generazioni passate, ossia un maggior sostegno quando si canta piano (come dicevano gli esponenti della vecchia scuola più si canta piano più si deve sostenere) e una maggior attenzione alla copertura del suono nella zona di passaggio. La voce è gradevole al centro, estesa (malgrado acuti a volte nasali o chiocci) ed il gusto elegante, l’interprete misurato e la dinamica ben superiore alla media. Oltre tutto Jordi ha eseguito l’aria scritta per Ivanoff, riesumata da Bonynge e di scrittura acutissima, sostenuta discretamente come discretamente sono state sostenute le difficili frasi del terzetto con Lucrezia ed il Duca Alfonso. Riascoltata in audio la voce fa molto meno effetto.
Mirco Palazzi, nonostante l’estesione in basso (che poi per don Alfonso che fu cantata da parecchi baritoni da Tamburini a Ronconi sino a Magini Coletti, Scotti e, credo, Battistini serve a poco), suona piuttosto sordo e faticoso in zona alta ( vedi da capo della sortita, dove il legato e la scorrevolezza periclitano ) e credo che dovrebbe pensare più alla zona medio alta della voce che non alla grave. A maggior ragione se, come credo, intende frequentare il repertorio del primo ottocento, dove il basso profondo è assai poco usato.
Con quello che, auspice una bacchetta di fama planetaria, è successo in Scala per Aida, direttori come Arrivabeni danno un senso alle cose che altrove sembra smarrito. Il compito del direttore per il melodramma italiano, almeno sino al 1850 (esclusi, forse, alcuni titoli del Rossini tragico) è quello di creare l’atmosfera e di accompagnare i cantanti. In Borgia le atmosfere abbondano, dal cupo preludio lagunare, all’ingresso tormentato della tormentata Lucrezia all’estatica sospensione del terzetto Alfonso-Lucrezia-Gennaro alle scene degli scherani della ducale coppia ed al finale che è il maggior colpo di teatro dell’800 italiano e renderle non è facile. Arrivabeni ci è riuscito, sia pure con un’orchestra non certo perfetta, soprattutto nel prologo.

Come anticipato da Donzelli, era la prima volta che ascoltavo dal vivo June Anderson. E non ho difficoltà ad ammettere che ne sono rimasto impressionato. In primo luogo, per lo strumento di cui dispone: il timbro è bellissimo, di grande dolcezza, e la voce ha un’ampiezza e una sonorità sorprendenti, in senso assoluto e non soltanto in considerazione dell’età e dei trascorsi. Mi viene spontaneo paragonarla a quella di una cantante diversissima per repertorio e sensibilità di artista, Edita Gruberova, altra Borgia “fuori tempo massimo”, almeno sulla carta, di questi anni. La slovacca ha una dote naturale meno entusiasmante dell’americana, ma entrambe hanno conservato una freschezza assoluta, almeno nel registro centrale della voce, una zona in cui ultimamente tanti, per non dire quasi tutti i soprani lirico-leggeri o magari lirici tout court sfoggiano soprattutto il proverbiale “buco”. Per poi emettere magari suoni più penetranti, ma non necessariamente più sonori, in zona acuta. Rispetto alla Gruberova la Anderson ha maggiori problemi nella gestione dei fiati, che le vietano, segnatamente in acuto, le prodezze della cantante di Bratislava (penso al la bemolle acuto “filato” del Prologo, o alla dolcissima, trasognata chiusa del M’odi ah m’odi), ma scende molto meglio e soprattutto sa eseguire la coloratura di forza, senza ridurre la duchessa di Ferrara a un’antenata della Fiakermilli. L’unico punto della prestazione di Miss Anderson che mi pare censurabile è il re bemolle sovracuto interpolato alla fine del Prologo, nota sulla quale la voce sembra rimpicciolirsi improvvisamente, ma c’è da dire che fino al do la signora regge benissimo, senza le occasionali stonature della Gruberova. Quanto all’interpretazione, quella della Anderson è una Borgia elegante e priva di leziosaggini, commossa senza affettazione, una Borgia “buona” e in balia degli eventi, e per questo mostra un po’ la corda alla grandiosa entrata nell’ultimo quadro, ma se non altro sembra una nobildonna, e non una solida Hausfrau (come la Gruberova o l’imperturbata Devia) e nemmeno una creatura più prosaica e adatta, più che al teatro d’opera, a quello di prosa o al cinema. Muto, ove possibile. – AT

Gli ascolti

Donizetti – Lucrezia Borgia

Prologo: Di pescatore ignobile…Ama tua madre, e tenero Ismael Jordi & June Anderson (2009)

5 pensieri su “Lucrezia Borgia a Liège

  1. Di June Anderson ricordo diversi ascolti dal vivo, negli anni 1982-92. Grande cantante, grande tecnica, superba nei passi di agilità, ma… anche fraseggio spesso piatto e noia che si tagliava col coltello. Mi piacerebbe ascoltarla ora in un'opera completa per verificare – secondo quanto voi dite – l'evoluzione dal punto di vista interpretativo; cosa che non è certo da giudicare dal video di youtube, dove il protagonista è più Gennaro che Lucrezia. Il quale Gennaro o meglio il per me finora ignoto Ismael Jordi, mi pare decisamente un fior di tenore, che certamente si ispira, più che imitare pedissequamente, Kraus. Dizione esemplare; bel timbro; capacità di cantare piano; quanti altri tenori in circolazione, anche tra i più celebrati, possono esibire oggi queste caratteristiche? Riuscisse a mettere meglio a fuoco gli acuti, avremmo senza dubbio il primo tenore del mondo in un certo repertorio (grosso modo quello del gran Canario). Se il giovanotto non ha superato di troppo i 30, ed è abbastanza intelligente, potrebbe farcela.

    NB. Ma quanto è bella la Lucrezia Borgia! Dovessi portarmi tre opere nella famosa isola deserta, oggi come oggi mi porterei questa, i Contes e il romeo di Gounod…

    Cari saluti a tutti voi, che mi deliziate parlando ancora di CANTO, e non di aria fritta (il fritto fa male al fegato, poi…)

    Gabriele Brunini

  2. Caro Brunini,
    abbiamo inserito il duetto perché era il solo video disponibile su Youtube al momento in cui abbiamo aperto il post. Comunque ho visto che lo stesso benemerito utente – italianoperafan – ha inserito anche l'aria di sortita di Miss Anderson: http://www.youtube.com/watch?v=3_sRc2w1c94
    e speriamo che nei prossimi giorni arrivino altri estratti!

    Quanto a Jordi devo confessare di non condividere che in parte l'opinione di Donzelli. A me sembra un tenore di voce ottima e assai estesa, ma tecnicamente con molte cose da sistemare: i piani, in particolare, a volte non sembravano neppure in maschera. A ogni modo è un cantante ancora giovane (nato nel 1974) e penso che possa riuscire a "sistemarsi" in tempi ragionevoli.

    Grazie per i complimenti e… a presto!

  3. ciao gabriele,
    sull'isola porterei la semiramide per prima, ma ci sarebbe posto anche per la borgia. francamente la trilogia tudor mi ha spaccato il …. e quindi sono un fautore delle duchesse donizettiane (lucrezia, maria di rohan e parisina).
    se jordi si assesta sul passaggio e sui piani manda a ….. tutti quelli che ti ho nominato nell'articolo
    gastronomicamente parlando,però, vale il principio toscano "fritta gli è bona anche una ciabatta".
    ciao dd

  4. Mi linciate se vi dico che nell'ascolto del "Com'è bello" qualche problema di intonazione l'ho sentito?
    Sembrerà che me li inventi, ma vi assicuro che per ragioni mie sono diventato piuttosto "sensibile" alle note non perfettamente compiute…

  5. A me non risulta che Albelo abbia alcuna casa discografica alle spalle. E mi è caro amico, quindi sono quasi certo di non sbagliarmi. Che poi mi piaccia moltissimo come canta è altro discorso, che non affronterò qui. Saluti.

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