Non manca quasi nulla al canto del leggendario tenore americano, superstella del Metropolitan per trent’anni dal 1945 al 1975, in compagnia di Peerce e Bjoerling. Di lui non cessano di colpire l’omogeneità e la proiezione della voce in ogni punto della gamma, la facilità assoluta in acuto ( mantenuta sino alla fase finale della carriera ), l’accento scandito ed epico, modello anche di longevità professionale.
Oggi, abituati agli epigoni di Domingo, ossia a voci non sfogate e a fraseggiatori raffazzonati e gigioni, è difficile comprendere le osservazioni che la critica contemporanea muoveva a Tucker in fatto di accento, giudicato non troppo vario o carente di peso nei ruoli pienamente drammatici. Solo chi era avvezzo al fraseggio di un Pertile o alla spinta tragica di un Martinelli, ad esempio, poteva rimarcare il Don Carlo o il Gabriele Adorno di Tucker. E Diosà che scriverebbero oggi dopo certe serate cui oggi ci tocca assistere, e non solo in Verdi…
Tucker emerge gigantesco dai vecchi audio, capace di far dimenticare con una frase, a mio gusto ed orecchie, ogni prerogativa degli italiani del suo tempo, da Di Stefano a Corelli. Per valutare esattamente il tenore a noi manca la scena, quella che sorreggeva Pippo e lo stesso avvenente Corelli, e di cui Tucker assai poco si giovava, perlomeno stando a chi lo vide in teatro. Nemmeno l’eleganza del nobile parmigiano, il solo capace di un maggior lirismo e di una linea ulteriormente più sfumata, manca a Tucker. Di certo, i grandi fraseggiatori documentati dai cilindri e dai primi 78 gg, appartenevano ad un mondo assai diverso da quello di Tucker, poichè altro era il loro modo di concepire il fraseggio e la varietà dell’accento. A loro, però, Tucker si rifaceva ancora, oltre che per la tecnica vocale, nella conservazione di quel repertorio, o nelle tracce di quel repertorio che contemplava, per voci come la sua, Meyerbeer ed Halevy, oltre a tutti i topoi del repertorio romantico da lirico e lirico spinto, e ad alcuni ruoli veristi.
Il concerto con orchestra che vi proponiamo, è una broadcast radiofonica, del 1951, ossia della prima fase della carriera del grande tenore, nella piena freschezza dei suoi mezzi vocali ed interpretativi.
Gli ascolti
Richard Tucker all’Hollywood Bowl (1951)
Los Angeles Philharmonic Orchestra
Saul Caston, direttore
Haendel – Judas Maccabeus
Atto II – Sound an alarm
Giordano – Andrea Chénier
Quadro IV – Come un bel dì di maggio
Verdi – La forza del destino
Atto III – O tu che in seno agli angeli
Leoncavallo – Mattinata
Meyerbeer – L’Africaine
Atto IV – O paradis
Bizet – Carmen
Atto II – La fleur que tu m’avais jetée
Mascagni – Cavalleria rusticana
Atto unico – Mamma, quel vino è generoso
De Curtis – Torna a Surriento