Delle quattro famigerate prime parti il solo Michele Pertusi ha dato discreta prova delle proprie abilità, sebbene il ruolo, da vero basso, non gli si confaccia per natura vocale e richieda una duttilità che mai, neppure nelle serate più felici, è stata fra le caratteristiche del cantante parmense. Pertusi è artista oculato, molto professionale nel dosare le forze lungo tutto l’arco della serata (distinguendosi in questo dai suoi non altrettanto accorti compagni di viaggio), tenta di ancorare le bizzarrie, gli scatti d’umore e le melanconie del personaggio a un canto grigio e un poco anonimo ma solido, mediamente sicuro soprattutto ove non sia sollecitata l’ottava grave (decisamente vuota), a tratti un poco nasale in acuto ma nel complesso, e per i magri tempi che corrono, più che accettabile. Forse un’aggressività un po’ meno marcata in alcuni passaggi, soprattutto nell’ultimo atto, consentirebbe all’artista di disegnare un personaggio più a tutto tondo e, quel che più conta, di risolvere con maggiore scioltezza lo scoglio, ieri sera non superato, del sillabato al duetto con il dottor Malatesta.
Il quale Malatesta era Davide Bartolucci, che nel repertorio belcantistico trova certo un terreno più favorevole rispetto a quello pucciniano (la voce è molto più sonora che nella Rondine di qualche mese fa) ma è comunque affetto da un’emissione tutt’altro che impeccabile. Ne conseguono gravi carenze nel legato (particolarmente alla sortita) e una diffusa presenza di suoni duri e poco proiettati, segnatamente nei pochi acuti previsti (ai quali dovrebbero aggiungersi quelli interpolati dall’esecutore, ma sotto questo profilo l’intera edizione è stata, quasi invariabilmente, latitante). Intendiamoci, nella corda baritonale siamo ormai avvezzi ai peggiori orrori e il giovane Bartolucci non rientra fra i più rozzi esponenti di questa schiera, ma proprio perché il materiale di partenza appare tutt’altro che disprezzabile (sebbene colore e peso vocale facciano pensare più a un tenore non sfogato che a un autentico baritono), dispiace vederlo e soprattutto sentirlo sprecato. Anche per lui il sillabato rimane un mistero, assai poco glorioso.
Sentendo le acclamazioni del pubblico (invero non così folto) dopo la serenata si sarebbe potuto immaginare che un Bonci o un Anselmi fossero tornati a dispensare la loro sublime arte sulle scene del Comunale. Se la voce di Francesco Meli è oggi senza rivali, per qualità timbrica e ampiezza, nel repertorio rossiniano e protoromantico, la tecnica di canto appare molto più discutibile, e il primo a rendersi conto di questo appare essere proprio il tenore genovese, che sembra avvertire la difficoltà a cantare legando i suoni nella zona del passaggio. Difatti l’attacco di Cercherò lontana terra lo vede ghermire i suoni in fascia do-fa centrale, trionfando nella non facile impresa di sciupare una delle melodie di maggiore effetto nell’opera. Nel precedente recitativo l’iniziale tentativo di messa di voce dà luogo a suoni sbiancati e indietro, oltre che piuttosto oscillanti, ai quali Meli reagisce aumentando il volume e trascurando ancora una volta le indicazioni di legato che in questa e molte altre pagine abbondano. La successiva cabaletta, scorciata del da capo, è di nuovo l’apoteosi del suono brado, che poco o nulla si addice a un personaggio che, spogliato di ogni eleganza e raffinatezza, potrebbe sembrare un cugino di recente inurbato di Nemorino piuttosto che il fascinoso vitellone, croce della tranquilla vecchiaia di zio Pasquale. Del resto questo Ernesto “ruspante” e , per dirla con Manzoni, un poco baggiano s’impone con estrema coerenza fin dal Sogno soave e casto, caratterizzato da riprese di fiato troppo frequenti e un’intonazione meno che adamantina, arriva a urlare all’ingresso al finale secondo e intona una serenata (al proscenio, e non dietro le quinte come previsto dall’autore) sgangherata e quel che è peggio del tutto piatta, priva di magia e mistero, così come inesorabilmente pasticciato e in più punti anche falsettato appare il sublime Notturno, culmine emotivo della vicenda (in cui, come da tradizione, il do diesis acuto è affidato a Norina e non più al suo amato bene, come da spartito).
Rimane da dire della Norina, Arianna Ballotta, che in natura avrebbe discreta voce di soubrette ma che, allo stato attuale, vedremmo meglio impiegata in un repertorio meno oneroso di quello lirico. La voce è asprigna e sfocata, molto ridotta in prima ottava e tendente al grido in acuto (i primi acuti, è il caso di sottolineare). Quali risultati possa sortire siffatta voce, alle prese con un personaggio concepito per la Grisi, quindi “regina e guerriera” sia pure in un contesto autoironico e borghese, è facile immaginare. Anche scenicamente la signorina Ballotta, pur avvenente, è molto lontana dalla donna fascinosa e imprevedibile descritta dal libretto e soprattutto dalla partitura. Vorremmo poi amichevolmente consigliare alla giovane artista di astenersi dalle modeste, in ogni senso, variazioni inserite nei couplet in chiusura d’opera.
Nel buon successo generale sono piovuti fischi per il solo direttore, Leonardo Vordoni. Francamente non sappiamo spiegare le ragioni di questa eccezione. Il maestro Vordoni ha dimostrato scarso nerbo e una spiccata predilezione per i tempi slentati, che richiederebbero, per risultare convincenti, ben altra capacità di controllo e una maggiore varietà di colori orchestrali. Ha tuttavia svolto, al di là di qualche sfasamento con il palco (soprattutto al finale secondo) e di un paio di momenti spinosi (il peggiore in assoluto, il preludio per tromba obbligata all’aria di Ernesto), passabilmente il proprio non centralissimo compito, visto e considerato che al centro di un’opera come il Don Pasquale dovrebbero essere le voci. Ha quindi poco senso censurare aspramente il direttore, per poi riservare decisi consensi a chi, sul palco, si è di fatto dimostrato non all’altezza di quanto richiesto dalla partitura. Per inciso: fatichiamo a ricordare, in questo titolo, blasonate bacchette del passato recente o del presente, che non siano almeno in parte da accomunarsi a Vordoni per imprecisioni e “scivoloni” orchestrali. Nell’ambito di una partitura, va ribadito, che all’orchestra e al concertatore assegna un ruolo di secondo piano, con la parziale eccezione dell’intermezzo dei servitori nel terzo atto (ben risolto dagli artisti del Coro bolognese).
Quanto alla regia, è apparsa di segno tradizionale (la trasposizione in epoca moderna è ormai un cliché per questa e molte altre opere), purtroppo gravata da tocchi volgarotti, alla Vanzina, di cui non si sentiva il bisogno (da citare almeno il lecca-lecca di Norina alla sortita e Don Pasquale che, all’idea delle sue prossime nozze, soffoca con un cuscino l’insorgere , neille deputate parti del corpo, del foco insolito evocato dal libretto). Di bell’effetto, comunque, le colorate e funzionali scene di Tiziano Santi, mentre i costumi di Claudia Pernigotti scontano qualche caduta di stile nelle toilette da teenager della pseudo Sofronia.
Gli ascolti
Donizetti – Don Pasquale
Atto I
Quel guardo il cavaliere – Fiorella Pediconi (1981)
Atto II
Cercherò lontana terra – Pietro Bottazzo (1971)
Atto III
Cheti cheti immantinente – Paolo Montarsolo & Thomas Hampson (1986)
Tornami a dir che m’ami – Manfred Fink & Daniela Dessì (1984)
Intuisco che vi potrebbe giovare l'intervento di un correttore italofono, che sappia restituire una corretta sintassi e una corretta punteggiatura ai vostri post. Posso volentieri adempiere a questo ruolo.
F.
ahimè caro F. (parente degli antieroi kafkiani?), sappiamo bene di essere sgrammaticati, oltre che paleolitici nella nostra pretesa di andare a teatro per ascoltare cantanti, e non dilettanti, magari di belle speranze. Perché non ci racconti piuttosto qualcosa dello spettacolo?
Antonio Tamburini ha scritto nella recensione : Se la voce di Francesco Meli è oggi senza rivali, per qualità timbrica e ampiezza, nel repertorio rossiniano e protoromantico, la tecnica di canto appare molto più discutibile, e il primo a rendersi conto di questo appare essere proprio il tenore genovese, che sembra avvertire la difficoltà a cantare legando i suoni nella zona del passaggio.
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Non sono d'accordo : non c'è bisogno di aspettare che vada sul passaggio per sentire le magagne perchè la difficoltà la si sente non appena apre la bocca, non è canto, è solo un vociare di gola! è forzato già in un suono centrale! Roba da paradilettanti! e la tecnica non è discutibile, è inesistente.
Sono davvero stupito dalla sua recensione della prima del Don Pasquale, signor Tamburini! In riguardo alla Sua cronaca ci sarebbe moltissimo da ridire (e magari ritornerò successivamente a sviluppare questo piccolo appunto, se Lei lo permette), ma oggi mi concentrerò sulla Sua spietata critica alla Signorina Ballotta, che lei molto ingiustamente mena alla berlina. Dissento sulle Sue affermazioni riguardo alla natura della voce del soprano (“discreta voce di soubrette”), al suo timbro (“voce … asprigna e sfocata”), e alle supposte mancanze nella prima ottava (non ha cantato più che degnamente nel Tornami a dir?). Non sono neppure d’accordo con la sua valutazione della presenza scenica della Signorina Ballotta, la quale, “pur avvenente” (un rammarico?) “è molto lontana dalla donna fascinosa e imprevedibile descritta dal libretto e soprattutto dalla partitura”. Mi meraviglio di queste frasi; infatti, per offrire un esempio, la signorina Ballotta ha dato il meglio della sua vis comica nella scena del contratto. Tralascio le variazioni del couplet finale, anche se io le ho trovate adatte e molto eleganti (come quelle che di solito offre la suddetta); su questo tema ci sarebbe molto da dire, e magari ritorneremo più tardi. A questo punto, sarebbe in grado di precisare cosa non andava dal punto di vista stilistico e musicale?
Una nota finale. Lei scrive: “Nel buon successo generale sono piovuti fischi per il solo direttore, Leonardo Vordoni. Francamente non sappiamo spiegare le ragioni di questa eccezione”. Lo striscione, caro Tamburini! Ma lei non l’ha visto? Non fischiavamo Vordoni, ma gli orchestrali, che si sono sfacciatamente permessi di portare in teatro non le loro rivendicazioni sindacali (le quali, in ogni modo, sarebbero state fuori luogo), ma la diffamazione contro il sovrintendente Tutino, infangando il suo nome, chiaramente scritto nero su bianco sullo striscione. Cosa hanno questi contro il sovrintendente e la scuola dell’opera è difficile da dire. In ogni modo, è stato senz’altro una mascalzonata rovinare ai cantanti la serata con atteggiamenti quanto meno inappropriati (meglio risparmiare aggettivi).
Gentile Ramon,
la signorina Ballotta non è stata certo l'elemento peggiore della serata (anche in considerazione della giovane età e della limitata esperienza scenica), ma sono costretto a ribadire quello che ho scritto. E aggiungo che soubrette come Alda Noni ed Eugenia Ratti sapevano respirare ed erano esecutrici, se non fantasiose e funamboliche, almeno corrette dei passi di agilità. Quei medesimi passi (sortita, duetto con Malatesta, arietta finale, con quelle variazioni in stile belle époque che tanto le sono piaciute, Ramon, e che meglio converrebbero all'Euridice di Offenbach o alla Valencienne della Vedova allegra) in cui la signorina Ballotta, come capita alle studentesse troppo precocemente sortite di conservatorio, ha mostrato i propri limiti. Scenicamente, come ho già scritto, una Norina ragazzina allegrotta (per non dire di peggio) e tanto, ma tanto buona d'animo (ridicola la scena con Pertusi al terzo atto: sembravano Adina e Dulcamara in un teatro di provincia!) mi pare una modesta parodia del personaggio previsto dall'autore.
Quanto allo striscione, non si preoccupi, l'ho visto benissimo. E se l'ha visto anche lei, si sarà accorto che i fischi sono partiti all'uscita del direttore, quindi ben dopo l'apparizione dello striscione. Per la cronaca, eccone il testo: "Tutino porta il teatro al fallimento. Salviamo il teatro". Non so come una simile forma di protesta possa infangare il nome del sovrintendente, o minacciare lo splendido avvenire di un progetto volenteroso, ma decisamente zoppicante (e lo so per avere assistito a un buon numero di spettacoli) come questa Scuola dell'Opera Italiana.
Gentile Sig. Tamburini,
la ringrazio per la sua pronta e cortese risposta.
In riguardo alle variazioni che Lei giudica appartenenti allo stile “belle époque”, e che mi sono tanto piaciute, no so cosa dirLe; magari sarò io ad avere un cattivo gusto. Ad ogni modo, Le garantisco che imperverserò in questa aberrazione, continuando ad apprezzarle nelle prossime recite della signorina Ballotta. De gustis et de coloribus non disputantur!
Più avanti nel Suo commento, Lei scrive: “Scenicamente, come ho già scritto, una Norina ragazzina allegrotta […] e tanto, ma tanto buona d'animo […] mi pare una modesta parodia del personaggio previsto dall'autore”. Su questo punto (ohimè!) Lei ha in parte ragione, ma bisogna ricordare che la signorina Ballotta si è limitata ad eseguire fedelmente l’interpretazione del personaggio da parte del regista, che è stato, per dirla così, troppo libero; anzi, un po’ volgarotto: sono pienamente d’accordo con Lei (si vedeva che gli stessi cantanti coinvolti erano un poco imbarazzati). Anche se non condivido con lei che Norina sia una “regina-guerriera”, anche a me sembra che Antoniozzi non abbia capito bene il personaggio.
Devo anche chiarire la faccenda dei fischi e dello striscione. Lei ha senz’altro ragione nel dire che questi sono partiti quando Vordoni era già sul palcoscenico, “quindi ben dopo l'apparizione dello striscione”: ma si noti che sono stati provocati dal fatto che il maestro ha pregato agli orchestrali di alzarsi, ed essi hanno alzato a loro volta lo striscione, rendendolo ben visibile sopra al palcoscenico: il pubblico del Comunale, in genere abbastanza paternalista con gli orchestrali, ha cominciato (abbastanza pacatamente) a fischiare. Ho anche scritto che lo striscione infangava il nome di Tutino, e lo ribadisco. Portare degli striscioni alle recite non è cosa molto elegante, e mostra ben poco rispetto per la musica, che sta al disopra. Per la prossima volta (cioè, oggi, se non sciopereranno), io consiglierei di buttare dal loggione dei manifesti tricolori nello stile risorgimentale… sarebbe almeno una nota di colore.
Anche io, come Lei, mi auspico che le presenti circostanze non possano “minacciare lo splendido avvenire di un progetto volenteroso” come è quello della Scuola dell’Opera Italiana.
Cordiali saluti,
Ramon Gutierrez
Gentile Ramon,
non è questione di gusti: quelle variazioni non sono in stile rispetto all'opera e al personaggio, andrebbero bene per una Rosina in formato soprano leggero, ma non per una Norina. Peraltro erano le uniche variazioni proposte nel corso della serata (a parte le canoniche puntature in chiusura di alcuni brani, neppure tanti in realtà) e quindi risultavano ancora più incongruenti rispetto alla musica.
Mi permetta un'altra precisazione: “minacciare lo splendido avvenire di un progetto volenteroso”, come lei dice, è spesso prerogativa di chi detto progetto organizza, magari non sempre in modo impeccabile, e non di chi nutre, al riguardo, legittime e fondate perplessità.
Torno ora dalla recita pomeridiana. Davvero nel complesso una prova imbarazzante, tenuto conto pure dell'attenuante "scuola dell'opera". Infatti la Ballotta, se dal punto di vista interpretativo è appena discreta, lo stesso non può dirsi del suo canto. Sempre in evidente difficoltà, quasi mai a tempo con l'orchestra (specie il duetto con Pertusi al terzo atto), acuti precari, grevi, fiati lunghissimi e, concedetemelo, una voce per giunta irritante (da soubrettina, infatti). Le variazioni nella chiosa, insieme al Tornami a dir che m'ami con Meli (per altro, sbuazzato dal sottoscritto), il momento peggiore. Bruttissime, inutili e mal cantate (pigolante, tremula negli acuti, l'allieva, in evidente disagio). Insomma, una prestazione nel complesso scadente, tale da soffocare le false aspettative dopo la Gilda bolognese (per onor del vero, decisamente migliore di questa Norina – buono il Caro nome). Il vero scandalo però è, ancora una volta, l'Ernesto di Francesco Meli. Una potenza di emissione direttamente proporzionale alla "rozzaggine" della stessa. Le grida sono risultate davvero insopportabili, in particolare nella chiosa dell'aria di sortita al secondo (per altro condita da un'intonazione decisamente precaria). Il passaggio di registro è inesistente, tanto da costringerlo a "sfalsettate" di dubbio gusto. Il peggiore, considerata la frequenza ormai abituale in cui compare nei maggiori teatri (per non parlare del cachet). Senza arte né parte il Malatesta di Bartolucci, che però, considerata la provenienza "scolastica", va per lo meno assolto: buona interpretazione, ma il canto è ancora grezzo e asprigno, anche se la voce e l'emissione sono da apprezzare, considerati i bassi tempi. Strabiliante invece il Don Pasquale disegnato da Pertusi. Una delle più riuscite interpretazioni a cui ho assistito negli ultimi anni. Grandissima arte scenica, davvero. L'emissione è stabile, sicura. Acuti ben gestiti e fraseggio da applauso. Unica nota "stonata": il sillabato in chiosa al secondo (il volume non superava la buca). Allestimento e regia più che pasticciate…
tripsinogeno, io non ti conosco e non so chi tu sia, ma vorrei stringerti la mano! Trovo la tua analisi di pregi (scarsi) e difetti (molti) di questa produzione della "scuola dell'opera" (o forse dovrei dire "scuola dell'obbligo"!?) puntuale e in buona parte condivisibile. Solo un consiglio: prudenza con i fischi. Alcuni artisti e loro seguaci sono piuttosto allergici al dissenso, non avendone forse mai sperimentato le proprietà terapeutiche.
Signori, mi mette decisamente in imbarazzo leggere i vostri commenti. Uno può avere le proprie opinioni su questo o quest'altro cantante. Ma io dico, se non ci piace come lavora una persona, perchè prendersi la briga di spendere soldi in un biglietto per andare a rovinarsi il fegato ascoltando voci "irritanti", "scolasctiche", "grezze", "pigolanti" ed "insopportabili"? Penso alla fine che abbiamo si il diritto di lamentarci se una cosa è fatta male, ma cadere così in basso ed avere il pessimo gusto di scrivere cattiverie da "comari all'ora del tè" mi sembra inaudito e poco rispettoso. Io non ho assolutamente nessuno da difendere anche perchè penso che le persone chiamate in causa siano in grado di difendersi da sole dato che hanno anche il coraggio di salire su un palcoscenico e dimostrare quello che sanno fare. Se non mi piace come un sudetto canta allora me ne sto a casa e mi ascolto la Callas nei suoi anni d'oro o come qualcuno a menzionato la Ratti o la Noni per rimanere nello stesso repertorio. Riguardo alle così mezionate variazioni penso che la cantante in questione abbia ben poco da essere criticata dato che molto probabilmente sarà stato il direttore stesso a scriverle per lei. La cosa che mi lascia assai perplesso è la differenza di pareri..a me personalmente è sembrato che il pubblico abbia gradito, e non poco tranne qualche cafone che ha buato (e pure ammesso)il signor Meli, ma siamo (non so ancora per quanto tempo) in un paese democratico e ciascuno di noi è libero di fare e dire quello che pensa. L'unica cosa che io vi chiederei, dato che sono un assiduo lettore del vostro blog, è di non scendere così in basso e di cercare di scrivere in modo forse più gentile. Vi auguro il meglio…
caro enrico,
rispondo ovviamente a titolo personale: se continuo ad andare a teatro, nonostante la modestia delle premesse, è proprio perché so bene che, a volte (raramente), si può essere favorevolmente sorpresi da quello che si sente. Quanto alle cattiverie, ovviamente non ho la pretesa di giudicare quello che scrivo, ma un giudizio articolato come quello di tripsinogeno non rientra certo nella categoria. In quella delle cafonaggini rientra, piuttosto, biasimare chi esprime il proprio giudizio a teatro, dato che fischio e applauso sono leciti veicoli del pensiero del pubblico. Per salire sul palcoscenico e starvi come si conviene a un cantante non basta il coraggio, ci vogliono anche tecnica e rispetto del pubblico, quel rispetto che ultimamente si incontra molto di rado. Il coraggio è semmai più necessario a chi sovrintende alla selezione dei cast e si espone quindi, ancor più dei cantanti medesimi, al plauso o al biasimo del pubblico, in senso lato, dato che parliamo di denaro in buona parte pubblico.
Aggiungo che sabato sera ho assistito a una recita del secondo cast e devo dire che, se don Pasquale e Malatesta erano inferiori a quelli della prima, l'Ernesto di Darío Schmunck, con un mezzo vocale attutito, un'emissione alquanto rozza, diversi problemi d'intonazione e alcuni berci in acuto (terribile la chiusa della serenata) ha dimostrato disinvoltura scenica ben maggiore rispetto a Meli (che è il classico "sacco di patate") e la Norina di Anna Kraynikova, a tratti stonacchiante al centro, con acuti minuscoli e sempre al limite, ha cantanto d'agilità molto meglio della Ballotta, è stata più salda in prima ottava e insomma mi è sembrata molto più appropriata della titolare. Credo che almeno lei meritasse il primo cast e la diretta radiofonica. Fra l'altro le variazioni nel couplet finale erano più sobrie di quelle della prima, belle centrali (prima dell'unico acuto interpolato della serata, che sarebbe stato meglio evitare) e mi sembra verosimile che siano opera della cantante. Il direttore, dopo un attacco spaventoso della sinfonia (tutti fuori tempo! un record), si è limitato a battere la solfa nella più totale indifferenza rispetto a quello che avveniva sul palco.
Sono perfettamente d'accordo con Enrico. Io questo Don Pasquale l'ho visto molte volte e potrei elencare con precisione l'andamento delle diverse recite, pregi e difetti, incidenti occorsi e belle trovate. Ma qual è lo scopo per cui quest'opera è stata composta dall'artista? Quello, come è stato esplicitamente affermato, di farci ascoltare il livello raggiunto da cantanti e i musicisti? O piuttosto quello di divertire ed allettare l'animo di chi vi assiste? Non serve neppure che io risponda. Io, e con me grande parte del pubblico, a queste recite mi sono divertito, e molto! La "colpa" (responsabilità) di ciò è degli intepreti in senso lato, dall'ultima sarta alla diva. Credo che certi esercizi di scomposizione analitica, ahimè confusi con la "critica", siano del tutto sterili esercizi di parole. Quante frasi vuote e quante costruzioni sintattiche ad effetto e inutili. Gli acuti "grevi" della giovane Ballotta? ma vogliamo dare una ripassata al dizionario, di tanto in tanto?
In conclusione, capisco che quel che piace a me possa non piacere all'altro, stigmatizzo però la pretesa di far passare per "Verbo" sacro ciò che è pura opinione.
Mi rendo conto che questo è lo stile dell'intero blog: ciò lo rende un poco settario. Il patrimonio estetico e tecnico del canto sarebbe rimasto congelato a più di un secolo fa, sembra di intuire. Perché non rimpiagere gli interpreti del teatro veneziano di Monteverdi o Cavalli. Rispetto ad essi i vari Grisi, Tamburini, Donzelli (gli interpreti, intendo, quelli veri…) e compagnia bella risuonerebbero come puri profanatori dell'arte del recitar cantando. Non credo ad esempio sia la prima ottava a qualificare un'interprete (questa volta Norina); perché non la seconda metà della seconda e il principio della terza? I primi interpreti le loro parti le "creavano", come si dice con un latinismo, le scelte erano calibraqte sulle loro capacità. Chi li stabilisce questi pretesi parametri oggettivi? Ho ascoltato i brani suggeriti in chiusura di recensione e li ho trovati altrettanto manchevoli e con più o meno difetti di quelli rimporoverati agli interpreti bolognesi. Il paragonare dei giovani interpreti imperfetti a degli sconosciuti imperfetti, che senso dovrebbe avere? Stabilire con criteri di "verosimiglianza" (molto scientifici!) la paternità delle varizioni eseguite nel finale ultimo, quando invece non ci è dato conoscerla, a che cosa ci dovrebbe portare?
Il mio augurio per il futuro è che chi si trovi a recensire non sia troppo miope, ma penetri il vero senso di uno spettacolo, comprendendo quello che accade in palcoscenico e nella sala in generale.
Con sincerità,
Francesco F. (per lasciar in pace Kafka)
P.S.: un ultimo consiglio: uno stile più sobrio e un'aggettivazione meno ornamentale e fantasiosa (e meno parentesi acidelle) potrebbero giovare a non irritare lettori troppo sensibili alla lingua.
Gentile Signor Tamburini,
Dopo di avere letto il post di Tripsinogeno mi è venuta la voglia di rispondere alle cattiverie espresse dal suddetto contro il Signor Meli e la Signorina Ballotta, e proprio con gli stessi argomenti che, con tanto coraggio, eleganza e pacatezza ha impiegato Enrico (bravo!). In tal punto credevo che non ci fosse bisogno di un nuovo intervento da parte mia, ma letta la risposta data da Lei all’impecabile post di Enrico, mi vedo nell’obbligo ritornare a una polemica quanto meno sgradevole.
In primo luogo, devo dire che il giudizio di Tripsinogeno, in contrario a quanto Lei afferma, non è “articolato” né indipendente: è stato chiaramente condizionato dalla Sua prima recensione (si notino tutti i paralleli verbali), e non fa che ripetere pedissequamente tutte le parole d’ordine lanciate da Lei nella recensione che ha aperto questa serie de interventi. Io se fossi Lei, Signor Tamburini, farei un profondo esame di coscienza: non è certo cosa bella esprimersi così pesantemente sui giovani esordienti, che hanno offerto il loro meglio a un pubblico veramente entusiasta. Anzi, se mi permette, quando uno fa questo genere di critiche dovrebbe firmarsi con il proprio nome vero. Non Le pare?
Anch’io, come Enrico, sono andato ieri sera a teatro e ho potuto apprezzare per seconda volta l’interpretazione del Signor Meli e per terza quella della Signorina Ballotta. Senza entrare in troppi particolari (per non esagerare con le follie) la recita di ieri mi è sembrata, anche se magari non così brillante come la prima o la seconda, molto dignitosa nel suo insieme e particolarmente riuscita nell’aspetto scenico. In riguardo ai passi d’agilità (unico punto, assieme alle variazioni, che può discutersi obiettivamente), e senza niente togliere al merito della Signorina Kraynikova, che ho sentita ben due volte, temo che Lei si sbagli di grosso in riguardo alla Signorina Ballotta. Venerdì scorso, spinto dalle Sue critiche, sono andato in teatro partitura in mano per chiarire le mie impressioni, prestando particolare attenzione a questo punto: e affermo categoricamente che non è così. E’ magari in grado di indicare le battute precise in cui la Signorina Ballotta non è riuscita ad eseguire la coloratura?
Ramon Gutierrez
Riccio:
Il Don Pasquale è opera splendida, scritta per intrattenere e divertire il pubblico, e fin qui credo che nessuno possa avere dubbi. Ma se i cantanti non sono all'altezza di ricreare con il loro canto i prodigi vocali dei primi interpreti (prodigi che non sono documentati dal disco, è vero, ma su cui esistono ampie testimonianze degli ascoltatori dell'epoca e soprattutto dozzine di partiture per loro scritte o magari a loro adattate), il gioco non funziona. A meno che il pubblico ricerchi nell'opera qualcosa d'altro rispetto al canto. Ma allora tanto vale dare il Don Pasquale sotto forma di commedia di prosa. E quasi ci siamo arrivati.
Non serve a nulla tirare in ballo Monteverdi e Cavalli. Basta sentire il duetto Sembrich-Scotti per avere un'idea precisa di come si cantasse il Don Pasquale a quarant'anni di distanza dalla prima parigina. Forse avremmo dovuto proporre negli ascolti questo e altri autentici pezzi di argenteria della discografia, cui abbiamo preferito, per non infierire, ascolti di interpreti del passato di seconda e terza fila, per i quali nessuno mai si è sognato di sprecare aggettivi e superlativi. Scusate, ma la Pediconi, all'epoca sbertucciata, di fronte alle signorine di Bologna sembra una virtuosa di prima scuola.
Parlare della prima ottava del soprano, in un ruolo che in quella zona insiste per buona parte della serata (e non poteva che essere così, visto che la prima interprete fu la Grisi e non, per dirne una, la Tacchinardi Persiani), non è cattiveria o malanimo, ma necessità di rendere conto della prova dell'artista. Che poi la Ballotta possa piacere malgrado i suoi limiti, non discuto. Ma che questi limiti esistano, è innegabile.
Ramon:
sono di sale! adesso è colpa mia se una parte del pubblico esprime dissenso! mi sembra di sognare: non sapevo di avere tutto questo potere! ma lei sbaglia: il potere di farsi fischiare risiede tutto nelle prestazioni degli interpreti, sottodimensionate rispetto alle esigenze dei rispettivi ruoli. E comunque mi risulta che il destinatario principale del dissenso sia proprio il cantante meno esordiente e meno "studente" della produzione. Sarà un caso?
Guardi, se ha voglia di intavolare una discussione sulla Ballotta, premettendo che preferirei affrontare argomenti un minimo più stimolanti, sono comunque disposto: deve solo procurarmi la registrazione della seconda recita (con la prima posso andare a memoria: son vecchio, ma robusto!). Intanto le posso dire che le difficoltà più evidenti emergono nella cabaletta della sortita, e più precisamente nel trillo sgranato sul tema ripetuto dall'orchestra ("ma core eccellente") e nelle quartine vocalizzate al termine ("mi piace scherzar"), e nel duetto con Malatesta, nella scala "pieno il core di ardimento", in cui si evidenzia la difficoltà nel passaggio fra il centro della voce e gli acuti.
dire che le "penne" o compilatori come altrove e con evidente spreto siamo nomati possano essere gli autori ora morali ora materiali del dissenso è difficile da dimostrare.
Se lo siamo è soltanto perchè qualce volta facciamo vedere e documentiamo con ascolti il rovescio della medaglia. ciò che non si può o non si vuole far vedere.
Quanto al don Pasquale, che non ho visto carenza per la quale, naturalmente dall'ascolto radiofonico non ho rimpianti il vedere il rovescio della medaglia dovrebbe insegnarci:
a) il titolo non è una farsaccia
b) non lo è per la varietà compositiva, che studiosi, e non melolmani come noi possono spiegare
c) sopratutto lo schieramento vocale della prima tien conto che erano quattro mostri sacri anche se Tamburini e Lablache alquanto acciaccati e
d) questo giustifica quello che accadde al don Pasquale come a moltissimi titoli dell'800, ossia tagli raggiusti accorciamenti etc.
e) tagli raggiusti ed accorciamenti sono normali e permettono e permettevano al titolo di circolare. Per tutti Schipa abbassava l'aria del secondo atto, ma con Bonci, che l'eseguiva in tono ed Anselmi documenta la perfezione nell'esecuzione del passo
f)il problema è che spesso l'opera è finita in farsa e questo non sta bene
g) il rovescio della medaglia è proprio documentare che don Pasquale è, vocalmente parlando, un'opera seria come lo erano Cenerentola o Italiana.
h) e se accettiamo che don Paquale sia l'ultimo baluardo del belcanto consegue che Meli è fuori ruolo (lo sarebbe forse come Turiddu) che una soubrettina non può cantare una parte scritta per Giulia Grisi, d'abitudine Norma Borgia e Semiramide.
i) il che non significa per forza che io debba mettere un soprano drammatico d'agilità ( non esistono neppure), ma almeno una prima donna di rango che sappia cantare e dar senso ai passi di agilità. Al riguardo il passatista dd invita ad ascoltare la cavatina eseguita da Maria Ivogun o il duetto con Malatesta di Marcella Sembrich e "don" Antonio Scotti
ciao dd
Gentile signor Tamburini:
Non sono stato proprio io ad avere voglia di una discussione sulla signorina Ballotta, giacché l’arte e i pregi musicali di questa, come quelli della signorina Kraynikova e dei signori Bartolucci, Meli e gli altri protagonisti del Don Pasquale bolognese sono per me al disopra di ogni dubbio. E’ stato Lei a puntare malignamente il dito sulla signorina Ballotta, ed io sono stato così ingenuo da cercare di impugnare le Sue arbitrarie affermazioni, fornendo invece un’esca per le Sue basse insinuazioni. Me ne pento sinceramente, e chiedo scusa a quelli che hanno visto il loro nome calpestato in questo blog.
Prima di chiudere definitivamente la presente polemica (e prima che mi scoppi il fegato), mi sento il dovere di rispondere brevemente alla sua sfida. Non ho una registrazione della seconda recita; mi dovrò servire dei miei appunti. Questi, purtroppo, appartengono al solo secondo e terzo atto, giacché nel primo non c’era luce per scrivere (io non ho la Sua memoria di vecchio “ben stagionato”).
Nella seconda recita mi ha veramente colpito il modo in cui la signorina Ballotta ha eseguito i seguenti passi (cito secondo l’edizione Ricordi): atto II p. 355 (seconda battuta: “dorma, dorma”) elegantissimo passaggio dalla ottava superiore a quella inferiore (re-sol); battuta 6: tre gruppetti discendenti (da sol a sol) di semicrome, perfetta e distintamente eseguiti (come anche nella battuta 4 della stessa pagina); ibid. p. 368 (battuta 1: “assicurar”): passaggio di agilità con tre gruppetti di minime (da fa diesi a la), bene culminato con un trillo sul mi. Ibid. p. 372 battute 14-15: due bellisimi sol, attaccati con grande precisione. Sul notturno del terzo atto ho gia espresso le mie considerazioni, che restano immutate, come per altro la mia stima delle variazioni del couplet finale. Notevolissimo, inoltre, in tutte le recite l’autorevole si naturale, intonatissimo e ben tenuto, nel terzo atto (p. 279 battute 4-7 “taci”). E così mille esempi. Ma basta! Chiudo qui la polemica. Se la signorina Ballotta (e anche i signori Meli, Bartolucci, Zaupa e tutti gli altri) Le fa schifo, è un suo problema. Io andrò di nuovo il 17 al Comunale ad applaudire i vivi; Lei, caro Tamburini, rimanga con i morti, Giulia Grisi e compagnia bella; mi permetta soltanto di ricordarLe con il poeta latino Stazio che essi, i defunti, anche volendo, non possono recare grande gioia, giacché i più “teneri doni dei campi elisii” sono soltanto “sterili rami, uccelli che non cantano e fiori dal germe svampito”.
Cortesemente La saluta
Ramón Gutiérrez González.
L'unica cosa che mi resta da dire è che siete proprio nati nel secolo sbagliato..forse dovevate nascere nell'800! E sicuramente anche della Grisi, del Tamburini e del Donzelli avresti avuto da ridere..dato che avete da ridere di una Mei, una Rancatore, una Damrau e molto probabilmente anche della signora Devia. Peccato..è davvero un peccato! Se anzichè andare a teatro con la speranza di avere delle soprese (forse la prima volta ma assistere due volte alle recite dello stesso cast non sono più sorprese quelle che ci aspettiamo ma voglia di criticare e fare le vecchie comari inacidite.) e semplicemente godere di quello che c'è e non rimpiangere quello che non c'è più sarebbe meglio..o forse sareste più contenti se chiudessero i teatri e dovessimo vivere dei ricordi? Anche se sinceramente mi pare che voi cmq di ricordi vivete diggià!
CAro Enrico,
perchè non prendi in considerazione l'ipotesi che le orecchie non sono tutte uguali: c'è chi ci sente poco, chi ci sente così così, chi ci sente bene…Tu ti trovi con chi non ci senti molto…..ma non è un male, credimi.
Piuttosto, invece di dirci che dovremmo vivere nell'800 o altre idiozie su chi e cosa avremmo criticato due secoli fa, perchè non cominci ad ascoltare le grandi voci e a paragonarle a quanto mediamente oggi ascoltiamo e plaudi??? ….
Ti posso garantire che una serie di ascolti ben fatti di grandi vocalisti ed interpreti, nessune esente da difetti, ti chiarirebbe le idee sullo stato del canto odierno e sulle ragioni oggettive, SUL CANTO, che muovono le nostre critiche. E ti illuminerebbero sulla distanza che sussite oramai tra la vera arte del canto e ciò che tanto ti piace e vuoi che noi plaudiamo.
Non ho ascoltato la performance in questione ma parlo del tenore che ben conosco, usandolo come esempio.
Non c'è nessun caso tenorile che stia nell'ortodossia del belcanto, persino quello praticato senza parametri filologici di sorta come negli negli anni 30-50, che possa essere accostato al vociare sguaiato ed incontrollato di questo ragazzo, che possiede certamente una dote bellissima e di notevole volume, ma che non sa eseguire i fondamentali del canto, nella fattispecie il passaggio di registro, men che meno immascherare il suono, come il canto lirico, in particolare il belcanto, pretende. Tra lui ed Albano non vi è differenza tecnica di sorta, e già questo dovrebbe istillarti un dubbio….piccolo piccolo sia chiaro ma….
Tralascio il modo mascagnano in cui, per forza di dilettantismo tecnico, "fraseggia".Quello non trova spazio in posti diversi dai locali notturni di campagna..
Se non ci si rende più conto di questo forse non è il caso di venire qui a far discorsi di lana caprina o farneticazioni che non portano a nulla.
Diversamente, se credi che, usando come esempio il medesimo tenore, si possa affermare e dimostrare che il sudetto fanciullo canta bene il DP, ti prego di portare argomenti ed esempi di altri noti cantori della storia che vocino del suo pari…..li pubblicheremo subito e sarà buon argomento di conversazione.
Così potremo fare ammenda pubblica circa le nostre incontentabili orecchie!
saluti
gg
gentile Ramon, se la Ballotta alla seconda recita ha cantato meglio che alla prima (dove i passi che Lei mi cita erano nel migliore dei casi compitati, da studentessa appunto… ché le agilità richiedono una proiezione del suono, che manca alla signorina, da qui l'impressione di un canto poco sostenuto e costantemente accennato) posso solo essere felice per lei e per i suoi ammiratori. A questo punto mi metterò in traccia della registrazione che possa smentire il mio ricordo!!!!!!!!!
caro enrico, lei ci accusa di vivere di ricordi. sorvolo sulla poca creanza che dimostra e le dico che la prendo in parola: proporrò a breve una rassegna di Don Pasquale "stagionati" in cui a cantare saranno proprio… i ricordi. e vedremo che impressione vi farà! saluti cari – AT
Io di sicuro non critico il fatto che a voi piaccia o meno un cantante, questa è una questione soggettiva e non mi permetterei mai di dire cosa dovete e cosa non dovete applaudire. Poi, dato che ho a che vedere con cantanti da tanti anni ormai e so cos'è sto mestiere e avendo studiato musica praticamente da quando sono nato mi sembra del tutto inappropriato dire che le mie di orecchie non funzionano perchè funzionano perfettamente bene e visto che di registrazioni storiche e più che datate ne ho sentite fin troppe e con ciò non voglio dire che non le apprezzo, ma mi rendo conto soltanto che il modo di cantare è cambiato completamente non mi resta che imparare ad apprezzare il nuovo modo di cantare anzichè rimpiangere quello che PURTROPPO non c'è più. Il tenore in questione non è di sicuro il mio tenore preferito e la giovane Arianna Ballotta sicuramente può non essere perfetta e la stessa cosa anche il Bartolucci. Quello che io non condivido assolutamente e che sinceramente mi da un po' di fastidio (ma d'altronde nessuno mi costringere a leggere il vostro blog) è stato il modo che alcuni dei partecipanti del blog si esprimono. Penso che, dato che siamo in un paese civile e che l'opera lirica è sicuramente come tutte le arti "civiltà e cultura" bisognerebbe, anche solo per una questione di diplomazia e di buona educazione potrebbero anche moderare i toni. Io vi chiedo mille volte scuse se avete trovato aggressivo il mio modo di scrivere, ma come ho dato prova anche in altre occasione quando una cosa non mi piace di sicuro lo dico ed esprimo il mio dissenso ma non ho mai usato termini che potrebbero essere offensivi, anche perchè sicuramente molti cantanti leggono le vostre recensioni, e da musicista quale sono mi darebbe troppo fastidio leggere critiche che potrebbero anzichè aiutarmi a crescere e capire dove sbaglio mi fanno solo arrabbiare. Dato che questo blog viene letto un po' da tutti, melomani e adetti al mestiere penso che sarebbe solo una buona idea cercare di "aiutare" gli artisti facendo loro capire con altri modi e toni dove sbagliano. Facendo un esempio sicuramente stupido e "idiota" (come sono stato definito poco fa" Così' come sicuramente deve essere brutto andare in un bar e dire "il vostro cafè fa vomitare" deve essere anche brutto per un cantante agli esordi sentirsi dire che hanno delle voci "irritanti"..penso solo che un po' di buone maniere potrebbero aiutare solo a migliorare le cose e non ad infastidire non solo coloro che sono stati chiamati in causa ma anche quelli che leggono in generale..Con questo commento che chiarisce in modo più che assoluto ciò che penso chiudo la mia partecipazione su questo argomento. Vi saluto e vi auguro il meglio…
Ma quale nuovo modo di cantare, Enrico? Quello delle nuove leve è il modo di cantare… di chi non sa cantare! Il malcanto è sempre esistito, solo che nessuno lo spacciava per nuovo modo e magari modello di canto.
Diplomazia e cultura, buone maniere e candidi eufemismi? Ma per quello ci sono già tanti luoghi deputati: la critica in primis, che ha ormai abdicato alla propria funzione per farsi portavoce degli interessi di majors e sovrintendenze, e anche in Internet tanti siti "amici", fori compiacenti e così via. Uno spazio, magari miserrimo, non vogliamo proprio lasciarlo al dissenso, alla possibilità di scrivere quello che si sente e di dire, se un suono è brutto, che è brutto, se un interprete è inadeguato e dovrebbe cambiare repertorio o magari mestiere, che è così… senza dover a ogni costo salvare la faccia e altre parti del corpo? Via, in fondo il mal canto piace e conquista così tanto spazio, che un'isola di "resistenza" non può dare fastidio più di tanto…… o invece sì?
A Enrico: il motivo per cui ho osato varcare la soglia del Comunale, sempre festante e plaudente, è propri il soprano. Nel Rigoletto bolognese, sempre "scolastico", la Ballotta mi ha dato l'impressione, terzo atto a parte, di una voce ben impostata, che sapesse (che ha saputo!) cavarsela anche nelle parti più ardue della partitura. Il suo “Caro nome”, benché privato dei sovracuti in chiosa, è stato eseguito in maniera impeccabile, con una leggerezza d’accento molto gradevole e una precisione… d’alta scuola! Riscontri che invece non ho avuto ieri pomeriggio. In particolar modo riguardo le tanto citate variazioni (un autentico, vero momento di straniamento). Nel caso in cui la responsabilità delle suddette possa essere imputata al direttore, l’esecuzione della Ballotta è stata davvero pessima: fiati lunghissimi, acuti poco puliti, espressione di assoluto terrore. Dal punto di vista figurativo, una mimica munchiana, per farla breve (“L’urlo”, nello specifico, rimane cifra “meliana”). Enrico, lei scrive “La cosa che mi lascia assai perplesso è la differenza di pareri..a me personalmente è sembrato che il pubblico abbia gradito, e non poco tranne qualche cafone che ha buato (e pure ammesso)il signor Meli, ma siamo (non so ancora per quanto tempo) in un paese democratico e ciascuno di noi è libero di fare e dire quello che pensa”. Mi vien da chiedere se per lei un paese democratico presuppone il soffocamento puntuale di ogni dissenso, sposando senza mezzi termini la narcolessia del solito pubblico plaudente, oppure dovrebbe tutelarlo (ieri pomeriggio all’uscita sono stato contestato da una coppia in mise “cena dal papa”, che prima dell’inizio delle danze (macabre) era intenta a leggere il riassunto di Le nozze di Figaro, l’opera prevista per la chiusura della stagione poi sostituita appunto con Don Pasquale: si saran forse stupiti di una Susanna un po’ più arguta?). Comunque se “cafone” è la sua “espressione di dissenso” nei confronti delle mie riflessioni (ma si tratta evidentemente di un’ingiuria…), la mia si è limitata a un bu accennato a un “Tornami a dir che m’ami” da oratorio. E ho pure avuto l’audacia di ammettere su piazza pubblica un gesto così eversivo! E’ forse questo il popolo delle libertà?
per enrico, sul canto nuovo e canto antico:
ad Adelina Patti dissero che era diventata la Patti solo perche' non c'erano più in circolazione la Grisi e la Frezzolini. E la Patti ebbe il buon gusto di riconoscere che……era così!
saluti
A Ramon! (con esclamazione romanesca). Con che coraggio chiama “cattiverie” delle opinioni negative?? Si sta diffondendo una sindrome da “toga rossa” anche a teatro! Se lei non ha alcun ritorno a difendere tale compagnia di cantanti, le assicuro che nemmeno io ne ho. Mi limito a esprimere il mio pensiero in totale libertà, affrancato da qualsivoglia nume tutelare. Non trova che forse, se il sottoscritto e Tamburini hanno rilevato simili “problemi”, si potrebbe trattare di una riconferma degli stessi? Se tutto il teatro avesse buato le “sfalsettate” di Meli (alla Ferruccio Tagliavini, vero Ramon?) avrebbe gridato al complotto eversivo, portato avanti da militanti senza cervello? Sono convinto che i “militonti” dall’eterno applauso siano ben altri! Non mi pronuncio invece sull’idea bislacca che un “Don Pasquale” debba principalmente far ridere. Lo fanno anche Neri Parenti, Vanzina, Muccino, Ozpetek, con eccellente successo di cassetta…
A Riccio: sono convinto che esista invece un grado di oggettività. Soprattutto quando ascoltiamo performance di basso profilo come queste. Perché non ci stiamo azzuffando su sfumature d’esecuzione, mi creda. Per ultimo, se le capita di aprire un dizionario, troverà che “greve” è sinonimo di “grossolano” e “volgare”, oltre che di “poco digeribile” (di un piatto, per esempio): non mi sento di rettificare l’uso che ne ho fatto. Anche se la seconda accezione la troverei quasi più azzeccata a un Armiliato, ecco, che magari non è così “grossolano”… Ma che mal di stomaco!
tripsinogeno, due cose:
1) niente politica, grazie. cerchiamo di parlare solo di musica.
2) Ferruccio Tagliavini era un grande tenore. ma credo che tu lo sappia bene 😉
Infatti è un'uscita ironica! Tagliavini è stato un grandissimo tenore, certo!
Un'ultima precisazione: il significato dell'aggettivo "greve" lo conosco e ringrazio per l'imprecisa definizione. Da modesto latinista sono abituato a vedere la lingua nel suo sviluppo diacronico. Il significato primo di greve è "pesante", "opprimente", poi esteso a ciò che "procura una sensazione di molesta pesantezza" (cito dal Devoto-Oli, nuova edizione 2000; un dizionario forse troppo moderno?). L'accezione (in riferimento a persone, però) di "volgare", "sboccato" è un regionalismo tipico del romanesco, oggi probabilmente più diffuso che ai tempi dell'Accademia della Crusca. Mi fa dunque piacere che in questo blog il vostro uso della lingua non risenta del medesimo atteggiamento che avete nei confronti della tecnica vocale. La lingua è costituita dall'"uso" e lo stesso vale per la storia del canto. A questa aporia, che avevo già fatto notare citando il caso del recitar cantando monteverdiano e alla quale non si è dato seguito, probabilmente non comprendendo il senso della mia frase, si aggiunge l'altra aporia di voler restaurare un canto defunto (ci ha pensato la storia, come è normale per tante altre cose…) senza il minimo scrupolo per la prassi esecutiva strumentale e registica. Mi meraviglia che nessuno proponga di assistere a quel tipo di spettacoli che varcavano le scene in quel gran secolo che fu il Milleottocento. Sono davvero solidale con il rammarcico che qualcuno qui proverà per non esservi appartenuto: pregherò perché questo desiderio possa essere al più presto esaudito. Finalmente vedrà bei fondali dipinti, suggestiva illuminazione di candele, retropalco allegrotto e pubblico che tutto fa tranne che, spartito alla mano, controllare l'emissione di ogni singola nota. Sul carattere estremamentee serio del Don Pasquale stendo un pietoso velo e auspico una seduta spiritica per chiedere al povero Gaetano. Ritorno alla questione degli acuti grevi: seppure non possa accettare l'imprecisa definizione fornita (sicuramente estrapolata da un precisissimo dizionario) vorrei che fosse "precisato" il senso della definizione. Quali erano questi acuti? perché grevi? sia pure nell'accezione di volgari…
Ad ogni modo, come ho cercato di spiegare nel precedente post, la definizione di "critica" che viene qui invocata, non funziona: la critica d'arte è un'altra cosa, una minima bibliografia sull'argomento può essere trovata da qualunque uomo di buona volontà.
Sorvolo sugli interventi difensivi da parte di chi alle recite non era presente (orecchi fini, quali saranno di certo quelli che, qui, tali si sono professati, conosceranno bene la differenza che passa tra un'esecuzione ascoltata in teatro e quella catturata dai famigerati apparecchi elettronici).
Esprimo la mia massima adesione alle parole di Enrico, la cui sapienza musicale e onestà intellettuale, credo, si siano manifestate pienamente.
Spero che l'amore per la musica e per l'arte possa aiutarvi a maturare un nuovo spirito critico, senza chiusure aprioristiche, false certezze e disagio nei confronti della realtà.
Stigmatizzo tutti gli affondi personali che sono stati prodotti in questa discussione, per ultimo anche verso il responsabile di questo interminabile post.
Ho riscontrato numerose incongruenze nel post in difesa del Boris nell'edizione Rimskij, ma l'esperienza di questa discussione mi consiglia a temere lo scontro con ulteriori chiusure.
Rinnovo l'appello che vi ha rivolto Enrico, con estremo buon senso, sulla moderazione dei toni. Insisto a richimarvi a una maggiore sorveglianza nell'uso di aggettivi e commenti "acidi" (e non si chiami in causa il sacrosanto dissenso, che da sempre si può e si deve esercitare con "phronesis", cioè con assennatezza, prudenza moderazione, intelligenza, in una parola con educazione.
Ciò detto, anche io vi saluto per sempre, nella speranza di aver fornito uno stimolo alla riflessione per un migliore esercizio della vostra attività, con immutata passione.
Francesco F.
Mi chiedo come possa un raffinato e dotto ascoltatore come il preg. sig. riccio non cogliere le peculiarità serie, a livello di scrittura vocale, del Don Pasquale. Basti pensare alla romanza di Malatesta, che potrebbe tranquillamente collocarsi in una delle opere tragiche scritte per Tamburini, in primis la Rohan. Lo stesso dicasi degli assoli di Ernesto.