Margaret Roberts nasce a Wayne County, Iowa dove trascorre la sua infanzia prima di cominciare giovanissima gli studi musicali insieme ad Herald Stark, debuttando all’età di 19 anni sempre in America, raggiungendo l’Italia per guadagnare fama e riconoscimento nel 1956, dove italianizzerà il proprio nome in Margherita Roberti.
Il debutto italiano è alla Scala di Milano, secondo cast di Anita Cerquetti in Nabucco. Da lì in poi innumerevoli rappresentazioni nei più importanti teatri italiani e stranieri, da Parma a Roma, dal Met al Colon di Buenos Aires. Il repertorio praticato è da subito quello del soprano drammatico, ad Abigaille infatti si aggiungono Leonora del Trovatore, Odabella in Attila, Lady Macbeth, Tosca, Luisa Miller, Aida, Amelia Grimaldi, Elisabetta di Valois.
Negli ascolti proposti possiamo sentire Margherita Roberti in alcuni ruoli verdiani che hanno contraddistinto la sua carriera, partendo dal primo Verdi di Nabucco fino al tardo Verdi di Don Carlo.
Nella grande scena di Abigaille il recitativo è affrontato di forza ma senza calcare la mano e mostrando una notevole omogeneità fra registro centrale e registro basso, sicurissimi sono gli acuti e ben eseguito il salto d’ottava dal do5 al do3 di “o fatal sdegno”, senza ricorrere in grida o suoni sbracati in basso. Nell’esecuzione dell’aria possiamo notare la bravura della Roberti nel rispettare gli accenti e la dinamica prevista dall’autore, ad esempio il crescendo su “ah! chi del perduto incanto” o l’allargando di “degli altri al duol”. Margherita Roberti mostra un ottimo sostegno della voce, sempre a fuoco in ogni registro come dimostra l’esecuzione della cabaletta, secondo la prassi del tempo eseguita una sola volta, affrontata con grande vigore e sicurezza e chiusa da un do5 sicurissimo, lontano dalle urla cui di recente siamo stati abituati. Moltissime Abigaille odierne infatti dovrebbero ispirarsi alla signora Roberti prima di entrare in scena per la concezione del personaggio e per la compostezza vocale con cui viene reso servigio allo spartito e al compositore.
Ancora più brava è la Roberti nell’affrontare il personaggio di Leonora nella sua scena d’entrata. Il timbro argentino e l’emissione sicura che mantiene sempre la voce a fuoco e sonora si adattano benissimo al racconto di Leonora, che la Roberti cesella con accento semplice ma efficace in una linea vocale sicura e ben sostenuta sul fiato che le permette la perfetta e differenziata esecuzione dei due seguenti crescendo su “al cor, al guardo estatico”. Anche l’affrontare la cabaletta trova sicura la Roberti, capace di eseguire i trilli e i picchettati previsti da Verdi e affrontando i passi vocalizzati con notevole slancio. Caratteristiche che troviamo intatte nell’esecuzione dell’entrata di Elvira dell’Ernani dove è possibile però riscontare come difetto la tendenza a vibrare nelle note tenute (soprattutto nella sezione centrale).
Il duettone di Un ballo in maschera la vede a fianco di Richard Tucker in un’esecuzione al Teatro Colón di Buenos Aires nel 1965. Bisogna dire che di fronte ad uno dei più grandi Riccardo della storia dell’interpretazione Margherita Roberti riesce a non sfigurare affatto. La voce è infatti mantenuta sempre naturale, non c’è nessun ricorso ad effetti o ad artificiosi scurimenti del timbro per camuffare la voce del soprano spinto, che risulta sempre argentina. Vi è grande attenzione nell’esecuzione dei segni d’espressione, come gli accenti su “Io son di lui che daria la vita a te”, dove la Roberti smorza il suono col procedere della frase raggiungendo un grande effetto espressivo cui Tucker risponde nel migliore dei modi con le sue seguenti frasi. Bellissima è anche la smorzatura su “Tu me difendi dal mio cor”. Nell’affrontare Tucker nella sezione finale del duetto la Roberti ne esce a testa alta affrontando gli acuti con grandissima sicurezza. Ma c’è da dire che in questa esecuzione non abbiamo solo una palestra vocale dove i due interpreti si sfidano a suon di acuti e virtuosismi, abbiamo invece due grandi cantanti che nell’esibire la loro bravura vocale si fanno interpreti dello spartito e delle intenzioni del compositore. I grandi cantanti si uniscono qui ai grandi interpreti per la gioia del pubblico del Colón che giustamente prorompe alla fine del duetto in un’ovazione da stadio, meritatissima.
Il Tu che le vanità di Margherita Roberti non regge il confronto con quello di Anita Cerquetti, per esempio, o con l’altro qui proposto di Margherita Grandi, ma risulta cionondimeno ammirevole l’attenzione che è data alle indicazioni dello spartito. La voce nell’approccio alle grandi arcate vocali di Elisabetta paga lo scotto del timbro, poco bello, ma l’interprete è accuratissima e tra l’altro in possesso di una bellissima dizione e la cantante è sempre attenta a mantenere i suoni puliti e morbidi nelle frasi centro basse sforzandosi sempre di rendere le indicazioni di dinamica previste da Verdi.
Il debutto di Anne McKnight è subito fra i migliori possibili, come Musetta sotto la direzione di Arturo Toscanini ne La Bohème registrata presso gli studi della NBC in America. Anne McKnight comincia infatti a studiare in America con Gladys Gilderoy Scott ma dopo il debutto con Toscanini parte per l’Italia dove continua a studiare con Giuseppe Pais.
La fama in Italia è istantanea, comincia a cantare alla Scala nel 1954 come Rossana in Cyrano de Bergerac di Alfano, seguono tutti i maggiori teatri d’Italia così come tanti gloriosi teatri di provincia dove Anne McKnight, ormai Anna De Cavalieri affronta via via i ruoli di Tosca, Aida, Elena ne I Vespri siciliani, Alceste, Fedora, Matilde in Guglielmo Tell, Turandot di Puccini e Busoni, la Loreley di Catalani, è anche interprete dell’Armide di Gluck alla Rai, dove affianca Lauri-Volpi nell’incisione de Gli Ugonotti e dove canta anche Ariadne auf Naxos di Richard Strauss, autore che riprenderà negli Stati Uniti con la Marescialla del Rosenkavalier.
Nel 1957 alla Rai esegue la parte di Imogene del Pirata, un’autentica rarità per l’epoca e proprio dalla scena d’entrata di Imogene vogliamo iniziare la disamina degli ascolti di Anna De Cavalieri.
Fin dal recitavivo la voce riesce a rendere la maestà del personaggio, ad una voce di natura ampia e munita di una corretta emissione infatti basta poco per presentarsi come nobile e maestosa. Nella cavatina è riscontrabile una tendenza ad aprire i suoni in zona medio-alta, cosa che ogni tanto inficia gli acuti, come i si bemolli tenuti della prima sezione. Nella sezione centrale la De Cavalieri è molto brava nell’esecuzione di forza delle quartine discendenti, mantendendo la voce corposa e sonora nello scendere sotto al rigo. Risulta molto bello il diminuendo che la De Cavalieri esegue su “e mi seguita sui venti un sospir di lui che muor” di grande effetto espressivo, ottenuto con una semplice inflessione della voce, ossia per virtù tecnica.
In questa pagina i risultati migliori vengono raggiunti ogni qual volta la linea vocale viene alleggerita, il che consente una maggiore fluidità dei passi vocalizzati e maggiore morbidezza dell’emissione. Un pò difficoltosa è infine la cabaletta, dove la lunga serie di quartine vocalizzate mette a mal partito un’interprete poco adusa al Belcanto come la De Cavalieri, Imogene più vicina alle interpreti precendenti del ruolo come Iva Pacetti che non alla Callas, comunque ottendendo l’onore delle armi.
Vale la pena fare qualche considerazione sul ruolo. Imogene non è una isterica che si trova insieme alle sue donne per una lite di cortile, ma è e si presenta in scena come la Signora di Caldora e deve pertanto sempre esprimersi con voce appropriata e linea di canto più nobile e professionale possibile.
E se la De Cavalieri non è una belcantista rifinita, in questa pagina è cionondimeno un grande esempio di professionalità, rimanendo fedele in primis alla necessaria nobiltà richiesta dalla musica e dal personaggio, oggi troppo spesso tradita da voci per peso specifico certamente più adatte a Gilda o peggio da pseudo imitatrici della Callas use al bieco e volgare urlo, quand’anche stiano calcando palcoscenici assolutamente prestigiosi.
L’aria che chiude il primo atto di Alceste è diretta in modo vivo da Mario Rossi, che sceglie un tempo più veloce di quanto prescritto dallo spartito ma sempre maestoso, lontano dallo sterile isterismo dei divi baroccari odierni, che sicuramente storcerebbero il naso e si straccerebbero le vesti per un’esecuzione come questa, che invece personalmente trovo una delle più giuste insieme a quelle di Flagstad, Stignani, Callas. La voce della De Cavalieri s’impone per peso vocale e canta la scena con enorme slancio, sicurezza assoluta sia nello scendere sotto al rigo che nel salire a si bemolli acuti sicurissimi, lontani anni luce dalle grida fisse dei soffianti pettirossi baroccari. In quest’esecuzione abbiamo la vera grandiosità della scena di Alceste che invoca le divinità dell’oltretomba, grandiosità che è difficile trovare nelle moderne esecuzioni barocche (magari aiutate da una regia dove Alceste è raffigurata intenta a litigare con una lavatrice mal funzionante).
Interessantissimo è l’ascolto della Scena degli enigmi di Turandot. La voce nella zona acuta delle prime frasi ha una forza dirompente di grande effetto drammatico senza mai indulgere nel grido o dover spingere e riuscendo a mantenere i suoni coperti anche nella frasi più basse, rese senza effettacci e suoni di petto. La De Cavalieri è molto attenta agli accenti presenti nello spartito e alle indicazioni di dinamica. Anche il fraseggio risulta molto attento e vario, nel mantenere il tono degli enigmi sempre più insinuante, tanto che la De Cavalieri è una delle poche che arriva alla frase “Su straniero, il gelo che dà foco che cos’è?” senza gridare, ma cantandola con accento placido, quasi con tono di sfida. Bellissima è poi l’esecuzione di Figlio del cielo, resa con accento dolente, legatissima, coronata da acuti sfolgoranti come i due do sul coro, sicuri e belli. Va notato che sono ottime anche le risposte che a questa Turandot offre Daniele Barioni, sicurissimo nel canto e nell’affrontare acuti solidissimi e squillanti.
Ne I Vespi siciliani la De Cavalieri è nobilissima nel cantabile, cantato con voce dolce, subito scurita nel rivolgersi al popolo siciliano. Nell’allegro la De Cavalieri gestisce con sicurezza la tessitura aspra della Duchessa Elena nel suo continuo salire agli estremi acuti per poi scendere sotto al rigo tramite l’uso di passi vocalizzati. Ancora una volta, se non ci troviamo di fronte all’esecuzione della Callas e della Cerquetti siamo però di fronte ad un’esecuzione degnissima, rispettosa della scrittura verdiana, del momento drammatico e della nobiltà del personaggio, mai ridotto ad una strillona bizzosa, mantenendo invece sempre lo stato di Dama d’alto rango, soprattutto vocalmente.
Molto interessante è l’ascolto di Margherita Grandi, cantante poco nota e di cui rimangono pochissime registrazioni. Nata Margaret Gard in Australia nel 1892 si traserisce a Londra nel 1911 per studiare al Royal Conservatory of Music di Londra ma i principali studi vocali cominciano con Mathilde Marchesi e Jean De Reszke, suoi primi insengnanti di canto. I suoi studi proseguono poi a Parigi con Emma Calvé che la farà debuttare da mezzosoprano nel 1921 all’Opera Comique come Charlotte nel Werther (presentandosi in onore della maestra come Djéma Vécla). In seguito affrontò Carmen e fu a Monte-Carlo prima interprete di Amadis di Jules Massenet. Dopo queste prime esperienza arriva in Italia dove studia con Giannina Russ e dove sposa lo scenografo Giovanni Grandi con cui ha una figlia e per cui lascia il mondo dell’opera per circa 10 anni, trascorsi i quali si ripresenterà sulle scene come soprano drammatico col nome di Margherita Grandi, debuttando al Teatro Carcano di Milano come Aida. Affronta così numerosi impegni e teatri, in Italia all’ombra dei grandi nomi di Maria Caniglia, Gina Cigna, Maria Pedrini e riscuotendo un grande successo anche nel resto dell’Europa, tra cui a Glyndebourne dove nel 1939 debutta Lady Macbeth sotto la direzione d’orchestra di Fritz Busch ottendendo un grandissimo successo. A causa della guerra torna in Italia e vede la propria carriera sensibilmente ridotta (è però la prima interprete italiana di Friedenstag di Richard Strauss a Venezia nel 1940). Dopo la guerra ritorna in Gran Bretagna per affrontare nel 1947 Lady Macbeth al Festival di Edinburgo e per cantare Donna Anna e Tosca per poi unirsi alla New London Opera Company dove farà le sue ultime rappresentazioni nel 1951 come Tosca. Ricordiamo inoltre la collaborazione alla colonna sonora di film di Powell e Pressburger, specialmente Les Contes d’Hoffmann in cui sua è la voce della sensuale Giulietta.
Margherita Grandi ci lascia delle testimonianze sonore soltanto sul finire degli anni 40 quando aveva ormai passato i 50 anni e si apprestava a finire la propria carriera. Consigliamo vivamente l’ascolto di Tu che le vanità dal Don Carlo in cui da subito la voce si mostra di timbro chiaro ma ampia, maestosa, nel cantabile “s’ancor si piange in cielo” la voce è sempre dolce e si eleva con vero effetto di “grandioso” al la diesis successivo. Margherita Grandi sa essere espressiva con poco, per esempio nel diminuire la voce su “a sera è giunta già”, ma è del pari impressionante il modo con cui scende ai do, re e si sotto al rigo nella frase “la pace dell’avel” dove Verdi prescrive Largo e la Grandi mostra una voce ampia, morbidissima per emissione, senza alcuna ombra di registro di petto, capace addirittura di un diminuendo sull’ultimo do diesis basso di “l’avel”. Nella parte finale poi la voce si staglia sull’orchestrale in modo maestoso mantenendosi sempre morbida. Sale al la diesis acuto con grandissima facilità per scendere, mantenendo il suono sempre omogeneo, al do sotto al rigo seguente e al la sotto il rigo dell’ultima frase “reca a piè del Signor”.
Macbeth è l’unica opera completa registrata dal vivo di cui ci rimanga testimonianza sonora di Margherita Grandi, qui ormai 55enne nel riprendere il ruolo che 11 anni prima le era valso un grandissimo successo al Festival di Glyndebourne. Bisogna dire che nonostante l’età abbiamo una grandissima Lady Macbeth, vocalmente freschissima, dal cui ascolto è difficile immaginare che si trattasse di una cantante prossima al ritiro.
Nell’entrata di Lady Macbeth molto bello è l’attacco morbido ed insinuante di Ambizioso spirto, che produce grande effetto espressivo nel contrasto col prorompere della voce nella frase successiva “Pien di misfatti”, coronata da una salita al do4 a dir poco sfolgorante tanta è la sicurezza vocale. All’attacco della cavatina Verdi prescrive ancora una volta “grandioso” e la Grandi rispetta alla perfezione questa indicazione, non solo in virtù della natura vocale o della tecnica rifinitissima, ma anche per quanto riguarda l’accento, nobile e composto. La tessitura aspra della Lady è dominata con facilità, la Grandi non conosce difficoltà nell’affrontare le frasi basse, dove il colore della voce rimane il medesimo che nel registro centrale così come la consistenza del suono, oppure nell’attaccare i numerosi si bemolli scoperti, d’esecuzione facilissima. La cabaletta, vera rarità per l’epoca, è eseguita due volte, e la Grandi nelle quartine di “i mortali” è molto precisa, ma soprattutto è ottimo il contrasto tra il sotto voce di “Tu notte ne avvolgi” con il successivo “qual petto percota” con slancio, eseguendo alla lettera le prescrizioni verdiane.
Impressionante è anche la facilità dell’esecuzione di La luce langue, dove la tessitura bassa delle prime frasi è affrontata con grande sicurezza così come lo slancio della sezione finale, rispettando ogni indicazione dell’autore. Questa grande Lady non si smentisce ovviamente alla Scena del Sonnambulismo dove a mancare è solo il re bemolle finale (che Margherita Grandi esegue nell’incisione che di questa scena ha lasciato), perdonabilissima mancanza ad una tale Lady considerando gli anni di carriera e l’età ma soprattutto considerando l’esecuzione e la capacità perfetta di smorzare i suoni in più punti, come per esempio su “Non t’accusi il tuo pallor” o quella seguente sul si bemolle acuto di “andiam, andiam”.
Di eccezionale bellezza è infine il Vissi d’arte, per l’ampiezza della cavata, specialmente su frasi come “Diedi fiori agli altar” e per la bella smorzatura di “perchè, perchè Signore”, esecuzione questa che oggi dovremmo far ripetere non due ma quattro volte, soprattutto visti gli odierni standard.
Ancora una volta l’ascolto di questa grandi cantanti serve ad esemplificare un modo di concepire e fare dell’Arte basata su concetti e presupposti diametralmente opposti a quelli del nostro presente. Ascoltare quanto sia più facile per un cantante preparato essere interprete credibile di un personaggio eseguendo correttamente quanto l’autore prescrive è la prova che l’arte interpretativa non risiede in effetti ed effettacci esterni ma nasce e si basa sulla corretta esecuzione dello spartito e di quanto in esso contenuto.
Gli ascolti
Margherita Roberti
Verdi – Nabucco
Parte II – Ben io t’invenni…Anch’io dischiuso un giorno…Salgo già del trono (1959)
Verdi – Ernani
Atto I – Surta è la notte…Ernani, involami (1960)
Verdi – Il trovatore
Atto I – Tacea la notte placida…Di tale amor (1959)
Verdi – Un ballo in maschera
Atto II – Teco io sto (con Richard Tucker – 1965)
Verdi – Don Carlo
Atto IV – Tu che le vanità (1961)
Anna De Cavalieri
Bellini – Il pirata
Atto I – Sorgete…Lo sognai, ferito, esangue…Sventurata, anch’io deliro (1957)
Gluck – Alceste
Atto I – Fatal divinità (1957)
Puccini – Turandot
Atto II – Straniero, ascolta!…Figlio del cielo (con Daniele Barioni – 1966)
Strauss – Ariadne auf Naxos
Atto I – Es gibt ein Reich (1963)
Verdi – I vespri siciliani
Atto I – In alto mare e battuto dai venti (1955)
Margherita Grandi
Puccini – Tosca
Atto II – Vissi d’arte
Verdi – Macbeth
Atto I – Nel dì della vittoria…Vieni, t’affretta…Or tutti sorgete (1947)
Atto II – La luce langue (1947)
Atto IV – Una macchia è qui tuttora (1947)
Verdi – Don Carlo
Atto IV – Tu che le vanità
Ma che meraviglia! Proprio non le conoscevo, lo ammetto a costo di passare per uno sprovveduto. Me le sono scaricate tutte e mi faccio un bel CD.
Però coloro che osano dire che non c’è stato declino nel canto perchè non provano a trovare, oggi, non dico tre, ma almeno una di voci come queste.
Ma scusa, carissimo Nourrit, non potevi mettere anche il brindisi della Lady e la scena degli enigmi a partire dal principio con in questa reggia.
grazie
Stupende… Non le conoscevo neanche io… Mirabile la De Cavalieri nella scena di Imogene… Voce ampia, sostenuta benissimo… Ed espressiva… Grazie di cuore!!!
naturalmente grazie
a chi ha scritto ed a chi copiosamente ha scaricato!
prima o poi, esauriti i soprani andremo su altre corde. Spero che Nourrit si voglia occupare di mezzosoprani perchè non di sola signora Ebe Stignani o, come la chiamavano i suoi fans Nostra signora di Crescentino vive il pubblico.
Oggi ci permettiamo e se lo permettono i teatri sopratutto di snobbare una irina makarova a favore di altre, ma se avessimo in forza una Nave, una Baglioni, una Mattiucci una Lazzarini non avremmo proprio di che lagnarci ad ogni aida trovatore ballo forza
Ciao a tutti e grazie per i preziosi ascolti di queste grandi Cantanti che amo moltissimo.
Un dubbio: nel debutto scaligero della Roberti, Fenena era interpretata dalla Cossotto?
Ringrazio anche io per i commenti e sono ben contento che queste interessantissime cantanti siano state apprezzate. Al caro Semolino rispondo che non ho aggiunto il brindisi e In questa reggia per sole ragione di spazio, pensavo fossero bastanti i brani proposti quali ottimi esempi dell’arte canora delle signore presentate.
Per quanto riguarda invece le voci di mezzosoprano certamente ci sono molte cantanti che meriterebbero oggi particolare attenzione e penso, oltre a quelle citate, per esempio a Bianca Berini, da definire oggi a dir poco grandiosa.
Mi scuso invece con Grand Guignol per non essere al momento in possesso dell’informazione chiesta, controlleremo e ti sapremo dire il cast del Nabucco scaligero del 1958!
La Roberti la conoscevo. La Grandi effettivamente non la ricordo nemmeno io (brava però poteva risparmiarsi il gridolino/singhiozzo in conclusione di Vissi d’arte). La De Cavalieri, non vorrei ingenuamente confonderla con quell’altra senza il “De”. Però non mi suona nuova.
Comunque come sempre ottimi ascolti davvero!
Carissimo Nourrit, certamente che i brani bastano come ottimi esempi, ma devi capirmi, adesso che mi hai stuzzicato l’appetito è tanta la voglia di ascoltare anche in questa reggia e il brindisi.
A parte il famoso live della Callas, qualche ottimo sprazzo della Dimitrova nei primi ’80 all’Arena, e buoni momenti della meteora Gulin a Venezia nel 1972, non ricordo di aver mai udito un soprano che raggiungesse almeno un livello di decenza nella davvero difficile parte dell’assatanata figlia/schiava di Nabucco.
Ora questa interpretazione di Margherita Roberti si guadagna un posto di tutto rispetto nella classifica delle mie migliori Abigaille, per il modo in cui il proprano americano viene a capo con facilità quasi irrisoria della non facile scrittura verdiana; ma soprattutto trovando accenti diversi e perfettamente adeguati ai tre stati d’animo che agitano il personaggio in questa stupenda scena: la rabbia feroce del recitativo; il rimpianto dell’innocenza perduta nell’aria; il desiderio di regalità e l’enfasi bellicosa nella cabaletta.
Grande Roberti, altro che serie B! Con un’Abigaille così, oggi si griderebbe al miracolo.
Ah ha! Ho scoperto dove avevo già sentito il nome della De Cavalieri! Esiste una registrazione della historische Dokument se non ricordo male del Nerone di Boito, con Mirto Picchi e la suddetta!
Ehm, so che sono in ritardo di quattro anni, ma ho conosciuto il blog da poco e adesso sto recuperando andando a ritroso. Stanotte (soffro di crisi d’insonnia abbastanza frequenti) alla Filo-diffusione hanno dato proprio il Don Carlo riportato fra gli ascolti della Roberti. Splendida, averne al giorno d’oggi: farebbe venire giù i teatri. Fra l’altro, assieme ad un paio di nomi conusciuti (Christoff, Bastianini), il tenore era un (per me) perfetto sconosciuto (Lodolini ? Ottolini ? Chiedo scusa ma nel dormiveglia non ho molto ben colto) che non mi pareva affatto malvagio…
hai ragione splendide cantanti, il tenore che hai sentito era Luigi Ottolini http://www.youtube.com/watch?v=EjTy-0xLswY che non sarà stato Bergonzi o Tucker, ma era un ottimo cantante, un degno rappresentante di quella civiltà vocale e musicale che sembra irrimediabilmente persa.
Madame Grisi, peccato non avere un menù che permetta una ricerca per “rubriche”….. oramai gli scritti del corriere costituiscono un corpus, che sarebbe bello poter consultare più agevolmente, sa, l’appetito vien mangiando
Ah ecco, grazie mille, avevo capito quasi giusto, allora. Eh sì, ricordo di aver ascoltato di recente anche un altro Don Carlo fatto alla Rai e diretto da Schippers dove il tenore era Prevedi, altro cantante che magari (all’epoca, eh) non era da delirio, ma che comunque aveva tutti i crismi del solido e musicalissimo professionista. Tutta gente che adesso farebbe (giustamente) scempio dei latratori di professione, tipo quello che quest’estate ha “cantato” in questa stessa opera a Salisburgo…