Con Maria Cebotari (1910-1949) iniziamo una serie di puntate dedicate alla scuola di canto tedesca, o meglio ancora mitteleuropea. Due le ragioni: le attuali pessime condizioni (peggiori addirittura di quelle italiane) in cui versa il canto in Germania ed Austria ormai da mezzo secolo e l’altra la limitata diffusione e conoscenza delle registrazioni di molte cantanti.
Per altro il secondo problema con la Cebotari non vale. La sua notorietà, anche in Italia, discende dal fatto che la cantante di Kichinev grazie alla propria bellezza e fascino prese parte dalla seconda metà degli anni trenta a molti film ( uno dei quali con Beniamino Gigli) che conobbero all’epoca dell’Asse larga diffusione anche in Italia. E se non erro anche in Italia al Reale dell’Opera (teatro della capitale e, per conseguenza, del regime) la Cebotari si esibì.
Maria Cebotari era Moldava, anzi nata in Bessarabia, come sotto l’impero d’Austria veniva designatra la Moldavia, studiò canto a Berlino ed a Dresda nel 1931 ( a ventun anni, ma come uso del tempo credo giocasse al ribasso con la data di nascita) fece il proprio debutto ufficiale come Mimì. Cantò nei principali teatri tedeschi ed austriaci e debuttò al Covent Garden nel 1936. Dopo il secondo conflitto mondiale più bella che mai, più seducente che mai, trasformatasi da soprano lirico – leggero in soprano quasi drammatico o aspirante tale affrontò oltre ai “propri” teatri quelli francesi (Champs-Elysées e Nizza). Morì di cancro, neppure quarantenne a Vienna il 9 giugno 1949.
Una cantante come Maria Cebotari invita a molte riflessioni.
Una prima: le belle sono sempre esistite, hanno sempre calcato i palcoscenici e dall’aspetto fisico hanno anche tratto giovamento per la propria carriera. Spesso la bellezza ha anche imposto parti, che non erano del tutto confacenti alla natura vocale della cantante, come accadde con Salome.
Però a differenza delle attuali veline e pin-up del palcoscenico la Cebotari esibisce anche argomenti vocali di tutto rispetto.
Insomma era una bellissima donna, ma anche una solidissima professionista.
Nella zona centrale della voce il timbro era caldo, dolce e bello, da autentico soprano lirico.
Il racconto di Mimì piuttosto che la parte di Butterfly sono esecuzioni castigate sotto il profilo del gusto (assai più di quanto si sentisse sui maggiori palcoscenici italiani), musicalmente quadrate e sotto il profilo della tecnica i suoni al centro quasi sempre coperti o se un poco aperti (vedi per esempio Butterfly dove anche la Cebotari subisce la suggestione della “sposa bambina”) non danno l’effetto sgradevole di certe interpreti italiane. In Butterfly sopra tutte la Toti. Inoltre i partner di Boheme e Butterfly portano i nomi storici di Wittrisch e Rosvaenge e la Cebotari non sfigura affatto.
Non solo: anche gli acuti erano almeno sino al si naturale facilissimi e non presentavano la fissità dei soprani di scuola tedesca. Devo anche dire, anticipando le conclusioni, che i soprani austriaci erano assai meno fissi negli acuti di quelli tedeschi. Non solo, ma Maria Cebotari aveva iniziato la propria carriera come soprano di coloratura. Dagli ascolti e della famosissima aria da concerto Nightingale o dell’aria di Konstanze (ma vi sono anche registrazioni di Rigoletto) qualche perplessità su questi approdi di repertorio sorge. L’esecuzione dei passi di agilità non è certo fluidissima e i sovracuti sono per peso e colore differenti da quelli del centro della voce; le agilità non sono portentose. Chi ascoltasse l’aria della Miller (Maria Cebotari in piena Verdi renaissance in area tedesca incise l’integrale) si renderà conto dei patteggiamenti che, alle prese con staccati e picchettati, la bellissima Maria faceva.
Poi intorno al 1935 vi fu l’approdo al repertorio spinto. Mimì e Butterfly divennero Turandot, Aminta della Donna silenziosa, Salome, Zerlina si trasformò in Donna Anna.
Come già detto prima alcune modifiche di repertorio nacquero dalla bellezza della Cebotari ( buona attrice fra l’altro), dalla tradizione proprio mitteleuropea, che per Salome e Turandot voleva donne bellissime come era stata Maria Jeritza e dalla penuria di soprani drammatici alcune delle quali (Rose Pauly ad esempio) con il “vizio” della non arianità e, quindi, riparate in Gran Bretagna o negli Stati Uniti.
Anche qui Salome insiste troppo in suoni chiari ed infantili, che dovrebbero ricordare all’ascoltatore l’età adolescenziale della perversa principessa. Sarà anche giusto che Salome non canti come Brunilde, però….
Però, ancora, non sarà stata una virtuosa inarrivabile, come soprano drammatico si rimetteva più al vigore dell’accento che non all’ampiezza della voce, ma paragonata alle nostre “starlette” che in calze e guepière cantano Mimì e Manon o strillano, in Scala, Salome, Maria Cebotari è una professionista solidissima, dal canto facile, dal timbro dolce e nobile e dalla solida tecnica. E, con i mala tempora, quae currunt non è affatto poco. Anzi per quelle signore dovrebbe essere un esempio.
Belle, attrici, dive, ma prima di tutto solide professioniste.
Per altro il secondo problema con la Cebotari non vale. La sua notorietà, anche in Italia, discende dal fatto che la cantante di Kichinev grazie alla propria bellezza e fascino prese parte dalla seconda metà degli anni trenta a molti film ( uno dei quali con Beniamino Gigli) che conobbero all’epoca dell’Asse larga diffusione anche in Italia. E se non erro anche in Italia al Reale dell’Opera (teatro della capitale e, per conseguenza, del regime) la Cebotari si esibì.
Maria Cebotari era Moldava, anzi nata in Bessarabia, come sotto l’impero d’Austria veniva designatra la Moldavia, studiò canto a Berlino ed a Dresda nel 1931 ( a ventun anni, ma come uso del tempo credo giocasse al ribasso con la data di nascita) fece il proprio debutto ufficiale come Mimì. Cantò nei principali teatri tedeschi ed austriaci e debuttò al Covent Garden nel 1936. Dopo il secondo conflitto mondiale più bella che mai, più seducente che mai, trasformatasi da soprano lirico – leggero in soprano quasi drammatico o aspirante tale affrontò oltre ai “propri” teatri quelli francesi (Champs-Elysées e Nizza). Morì di cancro, neppure quarantenne a Vienna il 9 giugno 1949.
Una cantante come Maria Cebotari invita a molte riflessioni.
Una prima: le belle sono sempre esistite, hanno sempre calcato i palcoscenici e dall’aspetto fisico hanno anche tratto giovamento per la propria carriera. Spesso la bellezza ha anche imposto parti, che non erano del tutto confacenti alla natura vocale della cantante, come accadde con Salome.
Però a differenza delle attuali veline e pin-up del palcoscenico la Cebotari esibisce anche argomenti vocali di tutto rispetto.
Insomma era una bellissima donna, ma anche una solidissima professionista.
Nella zona centrale della voce il timbro era caldo, dolce e bello, da autentico soprano lirico.
Il racconto di Mimì piuttosto che la parte di Butterfly sono esecuzioni castigate sotto il profilo del gusto (assai più di quanto si sentisse sui maggiori palcoscenici italiani), musicalmente quadrate e sotto il profilo della tecnica i suoni al centro quasi sempre coperti o se un poco aperti (vedi per esempio Butterfly dove anche la Cebotari subisce la suggestione della “sposa bambina”) non danno l’effetto sgradevole di certe interpreti italiane. In Butterfly sopra tutte la Toti. Inoltre i partner di Boheme e Butterfly portano i nomi storici di Wittrisch e Rosvaenge e la Cebotari non sfigura affatto.
Non solo: anche gli acuti erano almeno sino al si naturale facilissimi e non presentavano la fissità dei soprani di scuola tedesca. Devo anche dire, anticipando le conclusioni, che i soprani austriaci erano assai meno fissi negli acuti di quelli tedeschi. Non solo, ma Maria Cebotari aveva iniziato la propria carriera come soprano di coloratura. Dagli ascolti e della famosissima aria da concerto Nightingale o dell’aria di Konstanze (ma vi sono anche registrazioni di Rigoletto) qualche perplessità su questi approdi di repertorio sorge. L’esecuzione dei passi di agilità non è certo fluidissima e i sovracuti sono per peso e colore differenti da quelli del centro della voce; le agilità non sono portentose. Chi ascoltasse l’aria della Miller (Maria Cebotari in piena Verdi renaissance in area tedesca incise l’integrale) si renderà conto dei patteggiamenti che, alle prese con staccati e picchettati, la bellissima Maria faceva.
Poi intorno al 1935 vi fu l’approdo al repertorio spinto. Mimì e Butterfly divennero Turandot, Aminta della Donna silenziosa, Salome, Zerlina si trasformò in Donna Anna.
Come già detto prima alcune modifiche di repertorio nacquero dalla bellezza della Cebotari ( buona attrice fra l’altro), dalla tradizione proprio mitteleuropea, che per Salome e Turandot voleva donne bellissime come era stata Maria Jeritza e dalla penuria di soprani drammatici alcune delle quali (Rose Pauly ad esempio) con il “vizio” della non arianità e, quindi, riparate in Gran Bretagna o negli Stati Uniti.
Anche qui Salome insiste troppo in suoni chiari ed infantili, che dovrebbero ricordare all’ascoltatore l’età adolescenziale della perversa principessa. Sarà anche giusto che Salome non canti come Brunilde, però….
Però, ancora, non sarà stata una virtuosa inarrivabile, come soprano drammatico si rimetteva più al vigore dell’accento che non all’ampiezza della voce, ma paragonata alle nostre “starlette” che in calze e guepière cantano Mimì e Manon o strillano, in Scala, Salome, Maria Cebotari è una professionista solidissima, dal canto facile, dal timbro dolce e nobile e dalla solida tecnica. E, con i mala tempora, quae currunt non è affatto poco. Anzi per quelle signore dovrebbe essere un esempio.
Belle, attrici, dive, ma prima di tutto solide professioniste.
Gli ascolti
Maria Cebotari
Alabieff – The Nightingale (1935)
Mozart – Die Entfuhrung aus dem Serail
Atto II – Martern aller Arten (1935)
Puccini – La bohème
Atto I – Sì, mi chiamano Mimì…O soave fanciulla (con Marcel Wittrisch – 1932)
Puccini – Madama Butterfly
Atto I – Viene la sera (con Helge Rosvaenge – 1942)
Atto II – Un bel dì vedremo (1941)
Strauss – Salome
Ah, du wolltest mich nicht deinen Mund küssen lassen, Jokanaan! (1941)