N° 7 Cavatina per il soprano II “Fac ut portem”
I detrattori dello Stabat di Rossini ed in generale della musica sacra italiana la tacciano di melodrammaticità o di teatralità. Sarà anche vero, dal loro punto di vista. Obliano il rispetto delle prescrizioni religiose, che in Avvento e Quaresima vietavano le rappresentazioni, e lo spirito italico (“fatta la legge, trovato l’inganno”), che seppe trasferire l’amore ed il desiderio di canto nella musica ufficialmente sacra. Non solo: la melodia italiana, quella che nell’anima si sente, nasce e si sviluppa ornata, da “cantare”, sia che esprima i contrastasti sentimenti degli eroi del dramma o i compianti ed i cordogli liturgici.
Fac ut portem è definita cavatina. L’introduzione è affidata agli ottoni, il tempo Andante grazioso richiama le arie dei musici dei primi melodrammi di Rossini e lo richiama più ancora la scrittura vocale. Decisamente centrale e con la struttura tipica di quelle arie, con la ripetizione della prima sezione. Insomma il solito ABA con la sezione B, che deve essere eseguita un poco più veloce. Rossini è alquanto prodigo di indicazioni dinamiche, come la forcella, che compare sul mi 4 di “et” da legare al mi all’ottava bassa, altra forcella compare sulla scaletta che porta la voce dal do grave al mi di “recolere”. Rossini prevede anche un accenno di cadenza, che spetta all’esecutore, ossia al concertatore, ampliare, come, credo, la ripresa della prima sezione possa indurre esecutore e concertatore a qualche parco (è un’arietta) inserimento ed abbellimento.
N° 8 Aria con coro “Inflammatus”
E qui siamo, invece, alla grande scena tragica. Superfluo rilevare che l’Inflammatus è più di ogni altra pagina dello Stabat il ponte fra il Requiem di Mozart e quello di Verdi, il cui “Libera me” è tributario all’Inflammatus.
Scena tragica non lo rende solo il tempo, Andante maestoso, e l’introduzione orchestrale affidata agli ottoni, ma l’intera orchestrazione di sapore e colore tragico. Con riferimento al brano che consideriamo il richiamo al Tell, tradizionale per la critica, è giustificato e comprensibile.
Anche in questa pagina la cui struttura è ABAB, Rossini è prodigo di segni di espressione e difficoltà per l’esecutore. In questo senso bastano le prime due battute, che prevedono un attacco sul fa acuto in forte, cui segue l’indicazione di sottovoce per la stessa parola sul sol 3. Nella prima sezione la scrittura è priva di melismi, la difficoltà è il rispetto della forcella prevista sulle parole “in die judicii” che porta la voce al fortissimo, che precede l’ingresso del coro e conduce la voce solistica alla seconda sezione. In questa sezione compaiono melismi ed una scrittura meno tragica nel dialogo fra solista e coro. La difficoltà cui il soprano deve far fronte è alla chiusa della sezione sulla parola “gratia” che prevede una scala di trilli con tanto di forcella sino alla salita al la acuto. Identica la ripresa della prima sezione. Mentre nella fase finale, ovvero la ripresa del “fac me crucem” prevede un ulteriore cimento vocale per la ripetizione delle scale di trilli, che la situazione drammatica impone seguite di forza con mordente e slancio (e preciso che l’esatta esecuzione di quanto previsto è condizionata ad un controllo assoluto del fiato) sino alla duplice salita al do5 che deve svettare sul coro. Anche qui o il soprano sa come e dove si mette la voce o il soprano trasforma un ruolo scritto per Giulia Grisi in Santuzza al duetto con compare Alfio.
L’Inflammatus è la versione sacra delle grandi scene che Rossini aveva previsto per Isabella Colbran. Non per nulla la parte venne affidata a Giulia Grisi, maestra del genere tragico.
Però anche sotto il profilo strettamente vocale (lasciamo ai musicologi i commenti di loro pertinenza) la scrittura vocale supera per spinta drammatica quanto sino ad allora scritto da Rossini per un soprano. Sotto questo profilo Rossini non rimane vincolato ai modelli vocali coevi alla propria produzione operistica.
N°9 “ Quando corpus”
Rossini era un fervente ammiratore dello Stabat di Pergolesi, il cui “Quando corpus” era ritenuto un capolavoro compositivo.
Rossini volle, credo, andare oltre con un quartetto a cappella. Della complessità e raffinatezza compositiva i musicologi hanno copiosamente scritto. Talvolta anziché ai quattro solisti è affidato al coro, ma l’effetto non è lo stesso anche perché intacca l’alternanza di intimità e solennità, che connota gli ultimi quattro pezzi.
La difficoltà dell’esecuzione non è la scrittura vocale (impervia, però, per il tenore, chiamato a cantare costantemente in zona di secondo passaggio), ma l’esigenza di rispettare le indicazione di sotto voce, forcelle ed anche ff, che richiedono un controlla completo della voce per non falsettare o gridare e rendere appieno l’omaggio di Rossini alla tradizione della polifonia italiana.
N° 10 “Amen”
La conclusione spetta a solisti e coro, che cantano la medesima linea vocale. E’ un fugato, altro grande omaggio alla tradizione della musica sacra, ma al tempo stesso con l’ampiezza e solennità che compete ai grandiosi finali d’opera. Superfluo il richiamo a Semiramide ed a Guglielmo Tell.
Gli ascolti
Rossini – Stabat Mater
Inflammatus – Eleanor Steber (1951)