Uno dei brani più celebri dell’opera, nonché uno dei più festeggiati alla prima parigina (le cronache riportano che Tamburini venne interrotto dagli applausi durante il pezzo).
Si tratta di un’aria (Allegretto maestoso) divisa in quattro sezioni, delimitate dal passaggio dalla tonalità di la minore a quella di La maggiore e viceversa. La prima sezione (“Pro peccatis”) è caratterizzata da una cupa introduzione in cui emerge un motivo in ritmo puntato che sembra quasi dipingere la violenza dei colpi che si abbattono sul corpo del Salvatore. La voce espone una variazione sul tema proposto dall’orchestra, costruita su cromatismi che, con un raffinato giro armonico, riconducono alla tonalità di impianto. Una melodia sobria e solenne, che non tollera un’emissione imperfetta e men che meno accenti o sfumature veristeggianti, e che per risuonare al meglio esige non solo una voce morbida e rotonda, ma ampia e pastosa, oltre che dotata di fiati confacenti all’ampiezza delle arcate musicali previste. La scrittura non è acutissima (non oltrepassa un mi naturale), ma il registro grave e quello medio-acuto sono sollecitati in eguale misura e la massima omogeneità fra i due è altamente auspicabile, se si vuole evitare lo sgradevole effetto di “buco” che oggi sembra diventato il marchio di fabbrica di un certo modo di affrontare Rossini (afonia in basso, muggiti in alto). Notevole anche il trillo sul mi centrale (“subditum”). La seconda sezione, che ripropone il testo della prima, ritrae musicalmente il dolore della Vergine per le sofferenze del Figlio. Nel luminoso modo maggiore, del ritmo puntato non rimangono che poche tracce, prevalgono le note tenute mentre l’accompagnamento marziale si scioglie in improvvisi, dolcissimi arpeggi in terzine. Il passo forse più arduo e a costante rischio d’intonazione è costituito dal passaggio “et flagellis subditum”, che vede la voce attaccare sul mi centrale per raggiungere successivamente il si, il do diesis, il re e il mi acuto, passando ogni volta per il mi centrale. Ove convenientemente eseguito, l’effetto è irresistibile. La terza e quarta parte (sul testo “Vidit suum dulcem natum”) fungono da ritornello, anche se l’ultima sezione elabora e amplia notevolmente il materiale della seconda, dotandola di una coda in cui la voce ricorre anche al virtuosismo rossiniano per eccellenza, fino a questo punto non sollecitato, se non marginalmente, dal brano: la coloratura. Ed ecco quindi che su “dum emisit spiritum” il basso deve “raddoppiare” le terzine d’accompagnamento e svettare quindi, nelle ultime battute, sul fortissimo orchestrale. Un brano di strepitoso effetto teatrale, oltre che musicale, e un’autentica “scena” pensata per un grande solista.
Nr. 5: Coro e Recitativo (Basso), Eia Mater
In perfetto contrasto con il numero precedente, l’Eia Mater (Andante mosso/Allegro moderato in re minore/Fa maggiore) è costruito in maniera assolutamente libera: mentre l’orchestra tace, il coro maschile e quello femminile si confrontano per così dire con la mediazione del basso solista. Il testo esprime l’auspicio del fedele, che intende partecipare con la preghiera al dolore della Vergine. Superfluo indicare nella perfetta sintonia e intonazione delle parti la chiave di questo brano scabro e sublime (con più di un ricordo del Requiem mozartiano), in cui la voce del basso procede prevalentemente per arpeggi e salti d’ottava; di grande effetto anche il passaggio “Fac ut ardeat cor meum”, che prevede un periglioso attacco sul fa acuto.
Nr. 6: Quartetto, Sancta Mater istud agas
Il numero successivo chiama in causa i quattro solisti (oltre a Tamburini, alla prima parigina cantarono Giulia Grisi, Mario ed Emma Howson Albertazzi) per un Andante in La bemolle maggiore di grande eleganza, che potrebbe sembrare persino eccessiva, visto il testo su cui è modellato (il fedele impetra alla Vergine la grazia di condividere i tormenti del Salvatore). Del resto non esiste nella musica di Rossini un dolore, per quanto intenso, che non si esprima con sovrana dignità. L’attacco è del tenore, che esordisce con una frase costruita sulla zona del passaggio (fa-sol) e prosegue alternando discese nel registro medio-grave (che quel sadico di Rossini prescrive di eseguire “con espressione”) e repentini ritorni all’acuto (l’attacco, peraltro da smorzare, sul la bemolle di “Crucifixi fige plagas”), fino al passaggio sincopato “corde meo”, con scalata all’acuto (e forcella) fino al sol bemolle (il cuore del passaggio, fonte d’interminato pianto per molti esecutori e altrettanti ascoltatori), scalata all’acuto che poi si ripete e arriva fino al la bemolle, peraltro da accentarsi bene (per chi avesse ancora dubbi sulla necessità di eseguire questa musica, e il Rossini tragico in genere, di forza e non di grazia). Il soprano ripete la melodia già affidata al tenore, cui spetta il controcanto. Si passa al do minore per l’ingresso di basso e mezzosoprano: il primo svolge il ruolo di bordone, il secondo affronta una scala discendente in ritmo puntato, ed entrambi sono chiamati a un “fortissimo” che non deve però mai suggerire l’idea di un Alfio e di una Santuzza che si uniscano, dalla piazza, agli inni in onore del Signore, qui peraltro non ancora risorto. Segue un passo sillabato per basso e mezzosoprano, al termine del quale un brevissimo assolo del mezzo porta il basso a proporre, sempre alternandosi con la voce femminile, una variante del motivo iniziale, mentre a soprano e tenore è affidato il controcanto. Basso, tenore e mezzo ripropongono la conclusione del motivo, e a loro si aggiunge il soprano per la cadenza. Un breve “ponte” orchestrale conduce alla sezione successiva sul testo “Virgo virginum praeclara”, in cui il ritmo incalzante del brano sembra per un attimo placarsi, prima della ripresa del motivo iniziale, affidata ancora una volta a soprano e tenore, con il controcanto affidato a mezzo e basso. Si arriva quindi alla coda,: nuovo ostico attacco sul passaggio per il tenore, e poi, quando tutto sembra finito con l’arpeggio di La bemolle maggiore del basso, la cadenza conclusiva, con forcella obbligata per tutti e quattro i solisti. L’accompagnamento orchestrale si spegne lentamente, con effetto di grande e al tempo stesso intima solennità.
Gli ascolti
Rossini – Stabat Mater
Pro peccatis – Lev Sibiriakov (1913), Samuel Ramey (1985)