Grande era l’attesa per questo concerto, che costituiva il consueto appuntamento primaverile del Maestro Abbado con il Teatro Comunale di Ferrara. Ma la principale attrattiva del concerto, interamente dedicato al grande repertorio tedesco (Beethoven e Strauss), era la presenza di Nina Stemme, impegnata in due pagine colossali quali l’aria dal primo atto di Fidelio e i Quattro ultimi Lieder.
Affrontare a gola fredda la grande scena di Leonore, scritta peraltro da un compositore molto più ferrato nel trattamento dello strumentale che in quello della voce umana, è impresa ardua. Ma l’impresa si fa disperata quando, come nel caso della signora Stemme, si possiede e soprattutto si mette in pratica un’idea di canto poco più che amatoriale. La bella voce di soprano lirico è inesistente in prima ottava, con suoni gonfiati e prossimi al parlato, e piuttosto vuota al centro, mentre gli acuti sono duri, quando non semplicemente gridati. Ed è appunto solo nelle grida che la voce riesce a sovrastare l’orchestra, che peraltro Abbado tiene molto opportunamente a freno nella sezione centrale dell’aria. La Stemme, che sconta anche una presenza scenica molto discutibile (la testa infossata nelle spalle, a cercare un’improbabile proiezione del suono, non è esattamente un bello spettacolo), sfoggia piani che sono in effetti suoni non appoggiati e che danno l’impressione di un canto stentato, sciatto, che assai poco si addice a questa musica trascinante. Tacciamo della parte finale, che vede la cantante assai a disagio nel canto di agilità.
Per venire a capo dei Quattro ultimi Lieder occorre un’eloquenza straordinaria, specie se non si possiede una voce importante o speciale dal punto di vista timbrico. Ma in assenza di un’adeguata tecnica di canto, i fiati sono insufficienti a risolvere le ampie arcate previste da Strauss e il fraseggio risulta piatto e scolastico. Soprattutto se a far da contraltare c’è il suono cristallino ed elegantissimo (con più di un sospetto di maniera) della Mahler Chamber Orchestra, da cui Abbado ottiene in questa pagina risultati di ottimo livello.
Non altrettanto possiamo dire della parte beethoveniana del concerto. L’ouverture “Leonore 3”, posta in apertura di serata, ha un andamento incerto, a tratti persino leziosa nella ricerca di un equilibrio che fa pensare più a Haydn che al recalcitrante allievo, a tratti francamente un po’ troppo bandistica (il finale). La Quinta, che costituiva la seconda parte del concerto, convince nel secondo movimento, morbido e vario, eloquentissimo, e nel terzo, soffuso di bonaria autoironia. Il primo movimento scivola via senza colpo ferire (se si eccettua qualche spernacchiamento di troppo degli ottoni, il cui suono ricorda da vicino quello degli strumenti c.d. originali), il quarto confonde la magniloquenza con l’enfasi. Trionfo, a ogni modo, e vane richieste di bis.
Affrontare a gola fredda la grande scena di Leonore, scritta peraltro da un compositore molto più ferrato nel trattamento dello strumentale che in quello della voce umana, è impresa ardua. Ma l’impresa si fa disperata quando, come nel caso della signora Stemme, si possiede e soprattutto si mette in pratica un’idea di canto poco più che amatoriale. La bella voce di soprano lirico è inesistente in prima ottava, con suoni gonfiati e prossimi al parlato, e piuttosto vuota al centro, mentre gli acuti sono duri, quando non semplicemente gridati. Ed è appunto solo nelle grida che la voce riesce a sovrastare l’orchestra, che peraltro Abbado tiene molto opportunamente a freno nella sezione centrale dell’aria. La Stemme, che sconta anche una presenza scenica molto discutibile (la testa infossata nelle spalle, a cercare un’improbabile proiezione del suono, non è esattamente un bello spettacolo), sfoggia piani che sono in effetti suoni non appoggiati e che danno l’impressione di un canto stentato, sciatto, che assai poco si addice a questa musica trascinante. Tacciamo della parte finale, che vede la cantante assai a disagio nel canto di agilità.
Per venire a capo dei Quattro ultimi Lieder occorre un’eloquenza straordinaria, specie se non si possiede una voce importante o speciale dal punto di vista timbrico. Ma in assenza di un’adeguata tecnica di canto, i fiati sono insufficienti a risolvere le ampie arcate previste da Strauss e il fraseggio risulta piatto e scolastico. Soprattutto se a far da contraltare c’è il suono cristallino ed elegantissimo (con più di un sospetto di maniera) della Mahler Chamber Orchestra, da cui Abbado ottiene in questa pagina risultati di ottimo livello.
Non altrettanto possiamo dire della parte beethoveniana del concerto. L’ouverture “Leonore 3”, posta in apertura di serata, ha un andamento incerto, a tratti persino leziosa nella ricerca di un equilibrio che fa pensare più a Haydn che al recalcitrante allievo, a tratti francamente un po’ troppo bandistica (il finale). La Quinta, che costituiva la seconda parte del concerto, convince nel secondo movimento, morbido e vario, eloquentissimo, e nel terzo, soffuso di bonaria autoironia. Il primo movimento scivola via senza colpo ferire (se si eccettua qualche spernacchiamento di troppo degli ottoni, il cui suono ricorda da vicino quello degli strumenti c.d. originali), il quarto confonde la magniloquenza con l’enfasi. Trionfo, a ogni modo, e vane richieste di bis.
Gli ascolti
Beethoven – Fidelio
Atto I – Abscheulicher! – Kirsten Flagstad – dir. Bruno Walter (1951)
R. Strauss – Vier letzte Lieder
Kirsten Flagstad – dir. Wilhelm Furtwängler (1950)
Molto interessante! Nina Stemme non ha la voce di un soprano lirico? Ed io sempre credevo che lei fosse un soprano dramatico! 😉
Una volta di piu mi sembra che la colpa principale di Ninna Stemme e di avere meno di 50 anni…
Poi, gli “Vier Letzte Lieder” con la Flagstad erano forse perfetti 60 anni fa. Ma oggi, quello francamente suona atroce. Mamma mia!!!
Ragazzi, rispettiamo il passato pero godiamo il momento nel quale viviamo noi…
Se la Stemme le sembra un soprano drammatico, la invito ad ascoltarla dal vivo e a verificare quanta voce possiede e soprattutto come la utilizza. Il disco fa un immenso favore a questa cantante.
Ecco, la Flagstad, lei sì era un soprano drammatico. Davvero non sente che si tratta di voci con caratteristiche diverse? La voce della Stemme è la voce della Contessa Almaviva, della Marescialla tutt’al più… La Flagstad, che abbiamo volutamente proposto in ascolti tardivi (quel Fidelio è stato una delle ultime performance al Met), ha una saldezza nel registro grave e un legato che la Stemme neppure sa dove stiano di casa.
CAra Dolce vita,
forse devi sistemare un po’ di concetti base, tipo “soprano dramamatico”….
E imparare la buona educazione ( mi riferisco al post su June anderson ): sei un cafone!
La signora Anderson potrà potrà parlare di opera sino a che sarà in vita.
Tu invece dovresti imaprare a tacere e parlare a proposito!
saluti
La Stemme è un soprano lirico, al massimo spinto.
Poichè è una cantante che seguo da sempre e che apprezzo moltissimo (pur non avendola purtroppo mai ascoltata dal vivo) l’ho potuta ascoltare nei ruoli di Freia, Senta, Elisabeth, Isolde, Sieglinde, Brunnhilde (Siegfried), Marguerite (Faust), Aida e Leonora (Forza del destino).
Per il mio gusto, possiede un timbro chiaro e molto dolce e vibrante nel registro centrale, che scurisce nel grave, con qualche pecca nell’acuto (i Do proprio non le vengono).
Non avendola sentita dal vivo, non posso ancora fare un confronto con quanto ascoltato attraverso le registrazioni, ma per il momento quello che ho elencato, mi ha assolutamente convinto.
Ho letto anche altre recensioni e impressioni e molti concordano che non si tratta di una voce onnipotente, ma non credo sia questo il problema, mentre il pubblico si divide per l’interpretazione.
Fraseggio da fuoriclasse o gelida come un Polaretto? Sentiremo.
La Flagstad fu la creatrice dei “Vier letzte Lieder” di Strauss.
All’epoca, 22 maggio del 1950, il soprano si stava avvicinando ai 55 anni e si sarebbe ritirata 5 anni dopo dalle scene…e aveva, nel 50, ben 37 anni di carriera (esordio nel 1913)!
Ovvio che non fosse fresca come una rosa sbocciata, ma aveva intatta tecnica, classe e fraseggio, e non dimentichiamo che lei continuò a incidere fino alla fine degli anni 50!
Se non erro oltre a quella del 50 ci sono incisioni degli Ultimi quattro Canti anche del 52 e del 54.
Ti ringrazioper tutti e tre i commenti.
a presto