I Due Foscari si chiudono con la sinistra frase dell’antagonista “ Pagato or sono”, che sarebbe lugubre e sinistra se chi la canta fosse dotato di autentica voce di basso. Ieri sera la dirigenza scaligera avrebbe potuto cantare, in vena di perifrasi, “Graziato or sono”, perché il teatro, dinnanzi ad una mediocre e raccogliticcia ripresa dei Due Foscari, che avrebbe meritato riprovazioni, ha invece regalato applausi, contenuti, di cortesia e tutto è filato via senza incidenti di percorso. Ma in un clima di silenziosa sopportazione.
Foscari raccogliticci ed improvvisati ab origine. Storia nota, che il titolo è stato programmato in luogo di un altro, e di ben maggiore impegno per la protagonista fuggita dopo un infausto Macbeth, quindi, scelto il titolo, è cominciata la caccia ai cantanti. Secondo il costume usato, anzi il malcostume.
La prevista protagonista femminile è sparita, come pure il previsto ed annunciato direttore, tanto che da Natale alle prove è stato un susseguirsi di audizioni affannose per la Contarini e di ricerca per la bacchetta supplentie Eventi questi che fanno ritenere che i più titolati destinatari delle lamentele e delle reprimende del pubblico non siano coloro che stanno sul palco, ma coloro i quali decidono chi mandare sul palco.
Il problema non è trovare o individuare qualcuno migliore per le parti, ma domandarsi dell’utilità ed opportunità di proporre questo titolo.
Quanto ai protagonisti della serata l’ottuagenario Francesco Foscari è stato affidato al quasi coetaneo Leo Nucci.
Al signor Nucci è sempre mancata la tecnica dei grandi baritoni sino al primo cinquantennio del secolo scorso, alla Pasquale Amato o Riccardo Stracciari, tanto per esemplificare. E con la mancanza di tecnica anche la mancanza di autenticità del fraseggio, vuoi che siano i recitativi (si veda il recitativo iniziale di ingresso, come quello all’atto terzo, già presaghi di Rigoletto) vuoi i cantabili (dalla cavatina di sortita , di autentico gusto e colore donizettiano, al duetto con Lucrezia sino all’intera scena finale, che è di mano e gusto verdiani). Oggi al signor Nucci mancano anche il decoro ed il rispetto di sé e del pubblico. Nelle condizioni in cui si trova, volume scarso, nessuna possibilità di dinamica sfumata, voce priva di armonici, si lascia il passo alle generazioni successive. E se queste sono di più bassa levature vale, comunque, il principio “meglio rimpianti che compianti”.
Il signor Sartori non è dotato certo di voce di bel timbro, e ciò poco importerebbe se la voce fosse messa là dove ha da stare per poter ben cantare. La voce, dotata di un certo corpo nella zona centrale, si assottiglia già dal passaggio superiore e primi acuti (di estremi Jacopo di fatto non è chiamato ad emetterne) sfugge indietro o nel naso, ed il canto legato non arriva mai pieno e facile, perché non è vera voce da Verdi, ma nemmeno aristocratico tenore da Donizetti, come ben si adatterebbe alla sezione centrale della grande aria di sortita al primo atto., che riporta alla sortita di Riccardo della Rohan. Le forzature del mezzo si sono unite ad un interprete inerte, monocorde e senza accento (un esempio per tutti, totale latitanza di accento alla grande scena in apertura di secondo atto e nel finale), che mai ha convinto od emozionato.
Niente di peggio che il suono sfolgorante ed il piglio verdiano staccato per la prima cabaletta dall’orchestra con una voce priva di ampiezza e squillo. Tralascamo che se si esegue il da capo qualche puntatura e una qualche variazione agogica sono irrinunciabili. Ma qui le correità è della bacchetta.
Manon Feubel, che doveva essere la vittima sacrificale di una serata, che alcuni immaginavano miracolata dalla presenza del grande divo, ha, invece, portato a termine il suo difficile compito gestendo la pestifera scrittura della grande dama Contarini con un canto….. perfettamente a livello dei suoi colleghi di cast.
Certo quando è sortita dalle scene del soprano drammatico di una volta c’era solo il fisico. Non la voce. Accreditata di una voce importante, a noi è parsa semplicemente una voce lirica, dalla sonorità variabile ( meglio le cabalette degli ariosi da questo punto di vista , di timbro anonimo e decisamente ovattata, che in acuto, soprattutto con lo scorrere della serata, tende ad assottigliarsi sensibilmente, il tutto per una prima ottava aperta e mal impostata. Ha cantato, pur sforzandosi, con pochi colori, perché il canto piano costa fatica; qualche passo di puro petto in basso, buona foga nelle cabalette, ed astensione di questo molto la ringraziamo! ) da strilli, lanci di stracci e raptus inconsulti, che costellano le prestazioni delle moderne Contarini e primedonne analoghe.
La presenza di Manon Feubel nel ruolo della Contarini invita ad un’altra riflessione. Questa cantante è una assoluta sconosciuta, non giovanissima con una carriera di provincia. E sino qui nulla di strano anzi assolutamente normale. La prova della funesta situazione in cui si trova il canto è che i soprani che i protagonisti delle nostre riflessioni del venerdì proposte e proponendo sponsorizzano , sostengono , caldeggiano cantano esattamente come la signora Feubel.
Un tempo fra un soprano che si esibiva alla Scala ed uno che stava abitualmente fra Reggio Emilia e Ferrara la differenza era eviidente e tangibile.
La direzione d’orchestra del maestro Ranzani non ha impressionato, né in un senso né in un altro. Non comprendiamo la scelta di eseguire l’opera integralmente, date le difficoltà del cast: solo la Feubel ha esibito un paio di puntature nel da capo della prima cabaletta, mentre gli altri hanno ripetuto all’identìque le seconde strofe, per giunta con certe difficoltà di accento ( alludiamo alla mancanza di vigore di Sartori in particolare). La forbice talora soccorre, ed abbrevia serate che, come questa, non decollano ed annoiano. La direzione è stata utile al canto, ma ha mancato di varietà nella dinamica, ed i numeri sono arrivati tutti scollegati, come se mancasse una unitarietà del tutto. Sbagliato perchè quest’opera ha una sua struttura sia nell’inizio con le presentazioni dei tre personaggi, che poi cominciano a dialogare sia per i loro rapporti familiari che pubblici e che con tra scene si congedano dal pubblico e per due di loro anche dalla vita terrena. Ma queste forse sono solo impressioni che si hanno in queste serate polverose e…..provinciali.
Allestimento già visto, tradizionale, di bella qualità scenografica, ma banalissimo sul piano registico.
dd & gg
Foscari raccogliticci ed improvvisati ab origine. Storia nota, che il titolo è stato programmato in luogo di un altro, e di ben maggiore impegno per la protagonista fuggita dopo un infausto Macbeth, quindi, scelto il titolo, è cominciata la caccia ai cantanti. Secondo il costume usato, anzi il malcostume.
La prevista protagonista femminile è sparita, come pure il previsto ed annunciato direttore, tanto che da Natale alle prove è stato un susseguirsi di audizioni affannose per la Contarini e di ricerca per la bacchetta supplentie Eventi questi che fanno ritenere che i più titolati destinatari delle lamentele e delle reprimende del pubblico non siano coloro che stanno sul palco, ma coloro i quali decidono chi mandare sul palco.
Il problema non è trovare o individuare qualcuno migliore per le parti, ma domandarsi dell’utilità ed opportunità di proporre questo titolo.
Quanto ai protagonisti della serata l’ottuagenario Francesco Foscari è stato affidato al quasi coetaneo Leo Nucci.
Al signor Nucci è sempre mancata la tecnica dei grandi baritoni sino al primo cinquantennio del secolo scorso, alla Pasquale Amato o Riccardo Stracciari, tanto per esemplificare. E con la mancanza di tecnica anche la mancanza di autenticità del fraseggio, vuoi che siano i recitativi (si veda il recitativo iniziale di ingresso, come quello all’atto terzo, già presaghi di Rigoletto) vuoi i cantabili (dalla cavatina di sortita , di autentico gusto e colore donizettiano, al duetto con Lucrezia sino all’intera scena finale, che è di mano e gusto verdiani). Oggi al signor Nucci mancano anche il decoro ed il rispetto di sé e del pubblico. Nelle condizioni in cui si trova, volume scarso, nessuna possibilità di dinamica sfumata, voce priva di armonici, si lascia il passo alle generazioni successive. E se queste sono di più bassa levature vale, comunque, il principio “meglio rimpianti che compianti”.
Il signor Sartori non è dotato certo di voce di bel timbro, e ciò poco importerebbe se la voce fosse messa là dove ha da stare per poter ben cantare. La voce, dotata di un certo corpo nella zona centrale, si assottiglia già dal passaggio superiore e primi acuti (di estremi Jacopo di fatto non è chiamato ad emetterne) sfugge indietro o nel naso, ed il canto legato non arriva mai pieno e facile, perché non è vera voce da Verdi, ma nemmeno aristocratico tenore da Donizetti, come ben si adatterebbe alla sezione centrale della grande aria di sortita al primo atto., che riporta alla sortita di Riccardo della Rohan. Le forzature del mezzo si sono unite ad un interprete inerte, monocorde e senza accento (un esempio per tutti, totale latitanza di accento alla grande scena in apertura di secondo atto e nel finale), che mai ha convinto od emozionato.
Niente di peggio che il suono sfolgorante ed il piglio verdiano staccato per la prima cabaletta dall’orchestra con una voce priva di ampiezza e squillo. Tralascamo che se si esegue il da capo qualche puntatura e una qualche variazione agogica sono irrinunciabili. Ma qui le correità è della bacchetta.
Manon Feubel, che doveva essere la vittima sacrificale di una serata, che alcuni immaginavano miracolata dalla presenza del grande divo, ha, invece, portato a termine il suo difficile compito gestendo la pestifera scrittura della grande dama Contarini con un canto….. perfettamente a livello dei suoi colleghi di cast.
Certo quando è sortita dalle scene del soprano drammatico di una volta c’era solo il fisico. Non la voce. Accreditata di una voce importante, a noi è parsa semplicemente una voce lirica, dalla sonorità variabile ( meglio le cabalette degli ariosi da questo punto di vista , di timbro anonimo e decisamente ovattata, che in acuto, soprattutto con lo scorrere della serata, tende ad assottigliarsi sensibilmente, il tutto per una prima ottava aperta e mal impostata. Ha cantato, pur sforzandosi, con pochi colori, perché il canto piano costa fatica; qualche passo di puro petto in basso, buona foga nelle cabalette, ed astensione di questo molto la ringraziamo! ) da strilli, lanci di stracci e raptus inconsulti, che costellano le prestazioni delle moderne Contarini e primedonne analoghe.
La presenza di Manon Feubel nel ruolo della Contarini invita ad un’altra riflessione. Questa cantante è una assoluta sconosciuta, non giovanissima con una carriera di provincia. E sino qui nulla di strano anzi assolutamente normale. La prova della funesta situazione in cui si trova il canto è che i soprani che i protagonisti delle nostre riflessioni del venerdì proposte e proponendo sponsorizzano , sostengono , caldeggiano cantano esattamente come la signora Feubel.
Un tempo fra un soprano che si esibiva alla Scala ed uno che stava abitualmente fra Reggio Emilia e Ferrara la differenza era eviidente e tangibile.
La direzione d’orchestra del maestro Ranzani non ha impressionato, né in un senso né in un altro. Non comprendiamo la scelta di eseguire l’opera integralmente, date le difficoltà del cast: solo la Feubel ha esibito un paio di puntature nel da capo della prima cabaletta, mentre gli altri hanno ripetuto all’identìque le seconde strofe, per giunta con certe difficoltà di accento ( alludiamo alla mancanza di vigore di Sartori in particolare). La forbice talora soccorre, ed abbrevia serate che, come questa, non decollano ed annoiano. La direzione è stata utile al canto, ma ha mancato di varietà nella dinamica, ed i numeri sono arrivati tutti scollegati, come se mancasse una unitarietà del tutto. Sbagliato perchè quest’opera ha una sua struttura sia nell’inizio con le presentazioni dei tre personaggi, che poi cominciano a dialogare sia per i loro rapporti familiari che pubblici e che con tra scene si congedano dal pubblico e per due di loro anche dalla vita terrena. Ma queste forse sono solo impressioni che si hanno in queste serate polverose e…..provinciali.
Allestimento già visto, tradizionale, di bella qualità scenografica, ma banalissimo sul piano registico.
dd & gg
Gli ascolti
Verdi – I due Foscari
Atto I
O vecchio cor che batti – Riccardo Stracciari (1906)
Atto II
Notte! Perpetua notte…Non maledirmi, o prode – Bruno Prevedi (1971)
Atto III
Questa è dunque l’iniqua mercede – Pasquale Amato (1907)