Le recenti riprese di Lucia a Firenze, dove peraltro l’autentico punto di interesse è stata l’interpretazione di Jessica Pratt, hanno fatto tornare alla mente la figura di Edgardo, forse per rendere al protagonista maschile ciò che dagli esecutori fiorentini non è emerso. E’ un’ulteriore riflessione perchè già un’altra volta avevamo offerto a chi ci segue da tempo le nostre riflessioni e sopratutto una vera pletora di ascolti riferiti alla scena della morte, finale dell’opera ed apoteosi dell’eroe romantico.
Edgardo di Ravenswood, infatti, rappresenta un vero punto di svolta sia per ciò che riguarda l’evoluzione del melodramma donizettiano, sia, più in generale, per le implicazioni nei successivi sviluppi della vocalità tenorile tra la prima e la seconda metà dell’800. Con Edgardo, infatti, si ha per la prima volta la compiuta codificazione del tenore romantico. Compiuta codificazione significa che il processo era iniziato da tempo e forse quel momento di inizio sta proprio nel Gualtiero del Pirata di Bellini, di otto anni precedente.
Già il personaggio letterario di Scott è tra i più malinconici e passionali della sua produzione (racchiude in sé tutti gli elementi più tipici dell’estetica romantica – natura selvaggia, amori contrastati, atmosfere notturne, riscatto solo con la morte, magari suicida) viene ritratto come un eroe solitario, discendente di una nobile famiglia ormai decaduta, ma ancora conscio di sé e del suo valore, che ha giurato una improbabile vendetta contro i suoi nemici (alla cui casata appartiene la donna di cui s’è innamorato) e, che vive in malinconico ritiro in una torre diroccata nelle pianure dell’East Lothian. Tale forte caratterizzazione, si riflette esattamente nella musica di Donizetti. Se si confronta la sua produzione prima e dopo la Lucia di Lammermoor si potrà notare la portata rivoluzionaria dell’incontro tra il compositore bergamasco e i personaggi di Scott. Limitando il discorso alla voce tenorile (ma in realtà potrebbe essere allargato all’intera costruzione musicale del melodramma) sono evidenti le differenze di approccio e l’evoluzione compositiva che caratterizzano Edgardo rispetto sia alla precedente scrittura donizettiana, sia a quella di altri autori coevi. Senza soffermarsi su Rossini (campione di un’altra vocalità e di un’altra estetica, fondamentalmente anti romantica e basata sull’astrazione del belcanto) e di Pacini (che del primo fu un mero imitatore, ma assai meno talentuoso), si pensi invece al tenore di Bellini (Gualtiero, Elvino, Arturo) ancora proteso all’esibizionismo vocale e legato ad un maggiore controllo, freddezza ed astrazione (corrispondenti alle peculiarità del suo interprete privilegiato: Giovanni Battista Rubini). Analoga considerazione va svolta in riguardo al precedente tenore donizettiano (fatto salvo Nemorino, che si pone come qualcosa di diverso dalle convenzione del genere e che esprime una scrittura intimamente “romantica”, pur non ancora pienamente consapevole, e malinconica): da Alfredo il Grande scritto per Nozzari, ai personaggi dedicati ancora a Rubini (La Lettera Anonima, Elvida, Gianni di Calais, Il Paria, Il giovedì grasso, Anna Bolena, Marino Faliero), da Zoraide di Granata e Ugo conte di Parigi (Donzelli) ai primi lavori con Duprez (Parisina, Rosmonda d’Inghilterra). In tutti questi lavori (salvo, appunto L’Elisir d’Amore), la scrittura tenorile è ancora legata a moduli belcantistici. Con Edgardo e il suo primo interprete, Gilbert-Louis Duprez, la vera svolta decisa verso un approccio autenticamente romantico: la passione emerge senza più mediazioni ideali o metafisiche: Edgardo non sublima i suoi sentimenti, attraverso il canto, ma li esprime e li esalta, con rabbia, ardore, malinconia, forza, debolezza. In una scrittura che non insiste molto sul registro acuto (tanto che le pochissime puntature scritte, appaiono come corpi estranei e quasi “stonano”) o sul virtuosismo vocale, ma sulla colorazione della linea musicale e sull’emotività che essa esprime, sull’ampia costruzione di ogni frasi e sugli strappi lirici di certi incisi. Va anche aggiunto che la scrittura insiste su una zona quella del passaggio superiore che talvolta, sopratutto, ai giorni nostri, risulta ancor più ostica da reggere che gli acuti estremi. Quattro sono i momenti fondamentali: il N. 4 – Scena e duetto, finale I; N. 9 – Scena e quartetto nel finale II (il celebre sestetto); N. 11 – Uragano, scena e duetto (spesso omessa: anche immediatamente dopo le prime rappresentazioni, con l’intento di spostare l’attenzione sulla sola Lucia oppure di alleggerire la parte del tenore, a volte in affanno); N. 15 – Aria finale. Senza analizzare analiticamente i brani suddetti si possono riconoscere alcuni caratteri comuni: prevalere di tempi moderati, larghi, con una linea vocale morbida e giocata sulle mezze voci, fatta di frasi ampie e legate. La partitura rivela una grande quantità di segni d’espressione (forcelle, crescendi, alternanza di piani e forti) e una scrittura vocale che, come si diceva, non insiste su di una tessitura particolarmente acuta, né sul canto d’agilità (salvo qualche quartina alla scena della sfida, per certi versi quella che più vive delle riminscenze vocali del passato recentissimo come la sfida dei Puritani, ormai facenti parte della tradizione come gli scontri dei tenori, il contraltino ed il baritonale, che infiammano i titoli tragici di Rossini): vi è una puntatura al MI BEMOLLE acuto al termine del duetto dell’atto primo (spesso omesso peraltro) e una variante in acuto al DO nella seconda parte dell’aria finale (che non mi risulta essere mi stata eseguita – almeno non vi sono testimonianze – e che in realtà nuoce alla bellezza della linea melodica).
E che Edgardo abbia un tasso indiscutibile di modernità, appunto quello che compete ad un personaggio, che completa e chiude una evoluzione artistica e psicologica emerge anche dalla fama dei primi interpreti. Abbiamo in altro post ricordato come Lucia fu al tempo stesso l’opera per il tenore della maledizione (Gaetano Fraschini) e per il tenore dalla bella morte (Napoleone Moriani) momenti del capolavoro che sono gli estremi del personaggio. Siccome abbiamo dedicato a suo tempo un post sulla bella morte di Edgardo qui equilibrio e novità impicano una riflessione sulla scena della maledizione e della sfida.
La scrittura vocale del grande finale del secondo atto non implica zone acutissime, ma sempre e costantemente zone scomode della voce. Scomode per chi non sappia cantare. E’ sul passaggio la prima sezione “il chi mi frema” dove Edgardo pencola fra lo sdegno ed il rimpianto, poi l’eroe romatico deve affermare davanti a tutti gli ideali di cui è il triste portatore ossia l’odio contro gli Asthon e lo sdegno per il tradito amore, ultimo oltraggio degli infami rivali. Sono due capisaldi della filosofa dell’eroe romantico e lo saranno ancora di più e nel prosieguo della produzione di Donizetti (vedi il Fernando di Favorita) e al loro massimo grado con Verdi (Ernani, Corrado del Corsaro sino a Manrico del Trovatore). Donizetti qui fa cantare Duprez su una scrittura vocale che richiama per certiversi non gli amorosi, ma gli antagonisti rossiniani (come Rodrigo di Dhu nella Donna del Lago) ossia con note tenute e tenute sino allo spasimo, come accade con il “hai tradito il cielo e amore” ed il “vi disperda”, che rappresenta l’incipit del concertato finale. Vale forse la pena di ricordare, a conferma delle scelte vocali di Donizetti, che il primo Edgardo quando era il divo dell’Opera tornava agli Italiani, esibendosi in duo con Rubini o nella sfida di Otello o in quella di Ricciardo e Zoraide, vestendo i panni degli antagonisti, riservati al tenore bergamasco quelli degli amorosi.
Le cose non cambiano molto alla scena della sfida, che la tradizione ha sempre tagliato, sino a recenti riprese. Devo dire che le esecuzioni dell’ultimo decennio danno ragione alle scelte della tradizione, mentre il rimpianto del taglio è evidente con riferimento ad Edgardi del calibro di Pertile, Bergonzi (che l’ha solo incisa in disco). Devo anche aggiungere che gli ascolti teatrali, ad esempio Kraus, esemplificano come la scena della sfida costi fatica e perda efficacia quando Edgardo sia affidato ad un tenore di grazie e confermano che l’aspetto più rivoluzionario del personaggio stia nelle modalità di realizzazione vocale dei sentimenti del personaggio medesimo, più che nei sentimenti medesimi, che erano già comuni a Gualtiero, Arturo ed anche a Romeo Montecchi.
Gli ascolti
Donizetti – Lucia di Lammermoor
Atto I
Lucia, perdona – Alain Vanzo & Renata Scotto (1970), Rockwell Blake & June Anderson (1982), Hermann Jadlowker & Frieda Hempel (1908)
Atto II
Dov’è Lucia? – Carlo Bergonzi (con Scotto, Zanasi, Marciandi, Clabassi, Fiorentini – 1967), Luciano Pavarotti (con Rinaldi, Braun, Khanzadian, Grant, Nadler – 1968)
Atto III
Orrida è questa notte – Flaviano Labò & Franco Bordoni (1980), Alfredo Kraus & Vicente Sardinero (1983)
Tombe degli avi miei – Flaviano Labò (1980), Hipólito Lázaro (1931)
Un’ulteriore notazione: il file postato come duetto Vanzo-Scotto è in realtà un doppione del duetto Jadlowker-Hempel.
Ci spiace per l’errore commesso caro Velluti, rimedieremo quanto prima al piccolo errore!
Grazie della segnalazione, il problema è ora risolto. – AT