La Pons, la Pagliughi e la Berger in carriera tutte dalla metà degli anni venti sino alla fine degli anni cinquanta non frequentarono gli stessi palcoscenici se si esclude il Met ove dalla stagione 1949 si esibì, oltre a Lily Pons, anche la Berger. Per altro in ben differente repertorio.
Il Met, però, fu il regno di Lily Pons, presente sulle scene costantemente dal 1931 al 1956. Gli inizi di carriera di Lily Pons non furono facili, perchè, debuttante nel 1924, languì, motivamente, per parecchi anni nella provincia francese. L’idillio con il massimo teatro americano fu, in realtà un matrimonio di interesse fra un teatro che, perso l’astro Galli-Curci, cercava, dopo vari tentativi falliti per vari motivi, un soprano di coloratura e si “accontentò” della francesina, che in patria aveva frequentato la provincia. Francese per giunta.
Per altro le ragione della lunga gavetta e del matrimonio di interesse sono abbastanza evidenti, tenuto conto delle doti canore e tecniche tutt’altro che esimie. Il pregio maggiore rimane la figura slanciata ed elegante, perfetta per le sedicenni folli per amore come Lucia, Lakmè e Gilda o per le piccanti primedonne comiche come la Rosina del Barbiere.
Insomma la Pons aveva quello che mancava alla Pagliughi, che, benchè americana e figlia di immigranti (romagnoli, però e non napoletani come quelli della più famosa immigrante della lirica Rosa Ponselle), mai calcò le scene del massimo teatro americano e, pure lei languì per anni in teatri di provincia. Italiana, però. Il limite, noto in tutto il mondo operistico e fonte di famose ironie, non era certo rappresentato dalla voce (la Gilda della debuttante Pagliughi è un capolavoro), ma della complessione fisica. La Lina, che sarebbe stato più consono definire Linona, anche ventenne, stava oltre il quintale di peso e nonostante la sua non fosse epoca di veline, imprestate alla lirica, l’ingombro della Pagliughi mal si conciliava con adolescenti innamorate. Questo le limitò la presenza nei più grandi teatri del mondo, condannandola a quelli di provincia e nella fase finale della carriera a prestazioni radiofoniciche, alcune esemplari per interpretazione e canto, come la Traviata alla Rai nel 1951. E non dimentichiamo che la Pagliughi in Italia soffrì anche la concorrenza della Toti, nella prima parte della carriera e dalla camerata Carosio, fra l’altro donna molto avvenente, nella seconda.
Decisamente senza nessun intoppo e difficoltà, invece, la carriera della Berger, lunghissima (dal 1925 al 1955) in tutti i maggiori teatri tedeschi, a Vienna, al Festival di Salisburgo e, persino a quello di Bayreuth, poi a Londra (1934) a Parigi (naturalmente con Karajan nel 1941 in piena occupazione delle truppe del Reich) sino al debutto, nel 1949, come Sofia al Met. Ed anche in questa occasione la fortuna arrise a Frau Berger accolta con grandissimo successo dallo stesso pubblico che, invece, si dimostrò ostile, per le stesse ragioni (infondate) alla rentrée della amatissima Kirsten Flagstad.
Parlare di ultimi bagliori della coloratura lascia intendere un giudizio se non negativo almeno di inferiorità rispetto alle generazioni precedenti.
Giudizio che è insindacabile verso Lily Pons quando si ascolta il finale della Figlia del Reggimento dove la protagonista inserisce (ignoro se motu proprio o in ossequio ad una tradizione precedente) la cabaletta della Rosmonda d’Ingilterra, trasformata in una serie di staccati e picchettati in zona centrale. Passi per l’inserimento, ma è l’esecuzione mediocre sotto il profilo pirotecnico (che è il solo che la giustifica), che deve essere censurata. E le cose non migliorano con l’aria di Philine da Mignon, dove la voce appare precaria nell’appoggio in zona centrale. Le esecuzioni confermano come le ultime rappresentanti del genere coloratura ritenessero il virtuosismo soddisfatto con serie di staccati e picchettati, oltre qualche sovracuto, dimentiche che le formule acrobatiche più tipiche del belcanto consistessero in terzine e quartine vocalizzate, volate, arpeggiati, scale e trilli, come ben documentato dalle registrazioni della Galli-Curci o della Kurz. Va anche detto che il repertorio francese, a differenza di quello italiano, riduce i rischi di cattive figure.
Inoltre la Pons (e lo si nota soprattutto in Mignon) come buona pare dei soprani del tempo tende ad emettere suoni aperti nei centri, scelta che, se da un lato, aveva il pregio per gli esecutori di configurare il personaggio infantile, sotto il profilo vocale e musicale impediva nella zona centrale della voce una autentica dinamica e, quindi, una credibile interpretazione nella zona privilegiata per il canto.
Paradossalmente in Lily Pons il difetto è meno percepibile nell’esecuzione della “vendetta” del Rigoletto.
Abbiamo detto che il vizio-vezzo dei suoni aperti al centro fosse tipico di molti soprani di coloratura nei paesi italiani e spagnoli, soprattutto. Aveva connotato sul primo passaggio il canto di Luisa Tetrazzini, maestra e mentore della Pagliughi. Nella Pagliughi, però, il difetto era meno accentuato e, se lo era, accadeva nella zona medio alta della voce. Quanto alla medio grave, invece, le cose funzionavano meglio come documenta l’esecuzione dalla cavatina di Semiramide, brano di scrittura centralizzante e dove la cantante esibisce un registro medio di insolita ampiezza e penetrazione per un soprano di coloratura. Sicchè sorge il dubbio che le sbiancature della pazzia di Lucia nascano più dall’idea interpretativa, mutuata dalla Toti, che non da difetti tecnici di partenza.
Come virtuosa non solo la Pagliughi non può competere con le dive del dopo Callas, ma risulta inferiore anche alla propria maestra, di cui non possiede il mordente e lo slancio. Anche nei passi acrobatici, sopratutto in Bellini e Donizetti, è sempre la corda patetica a vibrare, sentire la cabaletta della pazzia o la sortita di Linda. Personaggi come Amina, Linda, Lucia trovano per il canto di Lina Pagliughi la loro definizione nella voce smaltata e nel timbro dolcissimo del soprano romagnolo, esente dalle svenevolezze della Toti. In questo senso la Pagliughi sembra anticipare gusto e limiti della Devia.
Dove la Pagliughi, almeno, nella prima parte della carriera è la vera allieva della Tetrazzini è nei sovracuti. Quello (mi bem) che chiude la scena della vendetta (per inciso con un Carlo Tagliabue, che umilia tutti i Rigoletti venuti dopo di lui) al Covent Garden è assolutamente impressionante per penetrazione e lucentezza.
Stranamente per una abituale frequentatrice della Regina della Notte, anche oltre la cinquantina, Erna Berger evita alla chiusa della vendetta il canonico sovracuto. Esibisce, però, anche in una pagina dalla vocalità pesante per un soprano di coloratura un centro solido e ricco. Caratteristica e qualità di tutte le più complete colorature di area middleuropea ed, in fondo, la loro superiorità rispetto alla scuola italiana e spagnola. Poi a svantaggio delle colorature middleuropee vanno pesati acuti e sovracuti fissi, fatta, comunque, la tara con le tecniche di registrazione.
La Berger, senza affrontare Marescialla, Butterfly o Tosca come la Kurz e la Siems vantava un centro pieno e sonoro. La rotondità della voce e la sua pienezza, frutto di una tecnica di emissione che, salvo rari casi, copre sistematicamente i suoni al centro emerge nell’esecuzione di brani liederistici, nonostante il timbro non sia accattivante. Quelli della Berger erano gli anni di voci straordinarie tipo Reining e Lemnitz come qualità canora. Come tutte le liederiste dell’ante guerra la Berger (il cui modello è l’insuperata Schumann) è misurata e ricorda come il lied non sia un trattato filosofico, ma semplicemente un breve racconto, un bozzetto, una tranche de vie. Le caratteristiche della saldezza di emissione nella zona centrale ricompaiono anche nell’esecuzione della prima aria della Regina della Notte, di indiscutibile difficoltà,non per i sovracuti, ma per la necessità di una esecuzione fluida e regolare dei lunghi passi di coloratura melismatica della sezione conclusiva, che compaiono identici nell’ Allelluja del mottetto “Exsultate jubilate”. Le registrazioni sono del dopo guerra. La Berger deve fare qualche conto con l’età e la carriera onerosa. Li fa, però, molto meglio della Pons. Più difficile il confronto con il timbro veramente bello e dolce di Lina Pagliughi.
Gli ascolti
Lina Pagliughi
Donizetti – Lucia di Lammermoor
Atto III – Ardon gl’incensi…Spargi d’amaro pianto
Donizetti – Linda di Chamounix
Atto I – O luce di quest’anima
Rossini – Semiramide
Atto I – Bel raggio lusinghier (1942)
Verdi – Rigoletto
Atto I – Gualtier Maldé…Caro nome (1927)
Atto II – Sì, vendetta (con Carlo Tagliabue – 1938)
Lily Pons
Donizetti – Lucia di Lammermoor
Atto III – Il dolce suono…Ardon gl’incensi…Spargi d’amaro pianto (1937)
Donizetti – La fille du régiment
Atto II – Par le rang…Salut à la France…Toi, par qui mon coeur (1940)
Thomas – Mignon
Atto II – Je suis Titania (1940)
Verdi – Rigoletto
Atto II – Sì, vendetta (con Lawrence Tibbett – 1939)
Erna Berger
Donizetti – Don Pasquale
Atto I – Quel guardo il cavaliere (1939)
Mozart – Ridente la calma (1949)
Mozart – Exsultate, Jubilate (1949)
Mozart – Die Zauberflöte
Atto I – O zittre nicht (1951)
Strauss – Ariadne auf Naxos
Atto I – Grossmachtige Prinzessin (1935)
Verdi – Rigoletto
Atto II – Sì, vendetta (con Heinrich Schlusnus – 1944)
La voce della Berger sarebbe tonda? Mah!!!! Io la sento solo nasale (e in alcuni punti fissa). E poi… Con quell’accento sussieguoso, da ninnolo di carillon viennese… Un orrore… Una bambina spiritata!!!