La stagione dei recitals di canto del Teatro alla Scala è proseguita ieri sera con l’esibizione, in un concerto di brani cameristici, di Ben Heppner, tenore di spicco nel panorama lirico mondiale, star del Metropolitan e rinomato interprete wagneriano.
Nonostante il nome e la fama, il richiamo per il pubblico non è stato poi così forte da riempire il teatro, che vantava all’incirca 70 palchi vuoti e almeno 175 posti vuoti in platea (per tacere del loggione mezzo vuoto), forse a causa di una carriera lontana dai nostri palcoscenici. Ciò nonostante il pubblico presente in sala ha tributato al tenore canadese calde ovazioni terminate in sonore richieste di bis, cui il tenore si è simpaticamente prestato fino all’ultimo quando ha deciso di accompagnarsi da solo in un brano jazz (o rock, non sappiamo!).
Il programma era di quelli molto vari nel toccare brani cameristici del repertorio tedesco (Schubert e Strauss), inglese (Britten), francese (Duparc) e persino italiano (Bellini, Donizetti, Verdi e Puccini) : tentativo di creare un programma interessante e non la “solita” pura Liederabend, con inserzioni cameristiche di diverse aree geografiche ed epoche. Va detto che stilisticamente il tenore canadese si è trovato a suo agio più in Strauss, Schubert e Britten che nei brani di Duparc o del repertorio italiano (censurabilissima l’idea di rendere il Brindisi verdiano come il canto di un ebbro …sperando che l’effetto fosse davvero voluto!!!) mentre vocalmente si sono percepiti chiaramente grossi segni di usura vocale, scotto da pagare nel tempo quando si affronta per sistema un repertorio troppo pesante rispetto alla propria natura vocale. Heppner è certamente un cantante molto interessante sotto il profilo della personalità artistica, che non è certo mancata l’altra sera. La voce è sempre quella di un lirico spinto di qualità, dotata di ampia sonorità, ma comunque sempre imprestato ai ruoli di cosiddetto Heldentenor. Per questo motivo spiace rilevare il declino del mezzo vocale, tale da inficiare le belle intenzioni mostrate nel corso della serata, varietà di fraseggio, ricerca di sfumature e nuances anche nel repertorio da camera, che vanno si ricercate ma anche correttamente eseguite. Nella zona medio grave della voce, infatti, il suono tende ad oscillare (nei primi lieder di Schubert soprattutto), ogni tentativo di cantare piano o di effettuare una messa di voce si è tradotto in suoni indietro, spesso rotti vistosamente a dare l’effetto anche della stecca vera e propria (per esempio in “Dolente immagine di Fille mia”, come pure in alcuni lieder di Strauss).
L’incostanza della resa vocale lo ha fatto fatica re non poco per arrivare alla fine della serata.
Nei bis Heppner si è poi cimentato con l’opera italiana (Fedora e Fanciulla del West) in cui ha vistosamente “domingheggiato” con voce voluminosa ma bassa di posizione ed acuti spinti e fibrosi. Da ultimo Heppner si è accompagnato da solo al piano in un brano moderno, in cui ha mostrato grande verve e simpatia oltre che talento pianistico.
Un’occasione senz’altro interessante per sentire un artista dalla grande carriera che, personalmente, fatichiamo ad immaginare oggi come oggi in un’opera completa, specie del suo repertorio, come le recenti vicende newyorkesi provano.
Nonostante il nome e la fama, il richiamo per il pubblico non è stato poi così forte da riempire il teatro, che vantava all’incirca 70 palchi vuoti e almeno 175 posti vuoti in platea (per tacere del loggione mezzo vuoto), forse a causa di una carriera lontana dai nostri palcoscenici. Ciò nonostante il pubblico presente in sala ha tributato al tenore canadese calde ovazioni terminate in sonore richieste di bis, cui il tenore si è simpaticamente prestato fino all’ultimo quando ha deciso di accompagnarsi da solo in un brano jazz (o rock, non sappiamo!).
Il programma era di quelli molto vari nel toccare brani cameristici del repertorio tedesco (Schubert e Strauss), inglese (Britten), francese (Duparc) e persino italiano (Bellini, Donizetti, Verdi e Puccini) : tentativo di creare un programma interessante e non la “solita” pura Liederabend, con inserzioni cameristiche di diverse aree geografiche ed epoche. Va detto che stilisticamente il tenore canadese si è trovato a suo agio più in Strauss, Schubert e Britten che nei brani di Duparc o del repertorio italiano (censurabilissima l’idea di rendere il Brindisi verdiano come il canto di un ebbro …sperando che l’effetto fosse davvero voluto!!!) mentre vocalmente si sono percepiti chiaramente grossi segni di usura vocale, scotto da pagare nel tempo quando si affronta per sistema un repertorio troppo pesante rispetto alla propria natura vocale. Heppner è certamente un cantante molto interessante sotto il profilo della personalità artistica, che non è certo mancata l’altra sera. La voce è sempre quella di un lirico spinto di qualità, dotata di ampia sonorità, ma comunque sempre imprestato ai ruoli di cosiddetto Heldentenor. Per questo motivo spiace rilevare il declino del mezzo vocale, tale da inficiare le belle intenzioni mostrate nel corso della serata, varietà di fraseggio, ricerca di sfumature e nuances anche nel repertorio da camera, che vanno si ricercate ma anche correttamente eseguite. Nella zona medio grave della voce, infatti, il suono tende ad oscillare (nei primi lieder di Schubert soprattutto), ogni tentativo di cantare piano o di effettuare una messa di voce si è tradotto in suoni indietro, spesso rotti vistosamente a dare l’effetto anche della stecca vera e propria (per esempio in “Dolente immagine di Fille mia”, come pure in alcuni lieder di Strauss).
L’incostanza della resa vocale lo ha fatto fatica re non poco per arrivare alla fine della serata.
Nei bis Heppner si è poi cimentato con l’opera italiana (Fedora e Fanciulla del West) in cui ha vistosamente “domingheggiato” con voce voluminosa ma bassa di posizione ed acuti spinti e fibrosi. Da ultimo Heppner si è accompagnato da solo al piano in un brano moderno, in cui ha mostrato grande verve e simpatia oltre che talento pianistico.
Un’occasione senz’altro interessante per sentire un artista dalla grande carriera che, personalmente, fatichiamo ad immaginare oggi come oggi in un’opera completa, specie del suo repertorio, come le recenti vicende newyorkesi provano.
Franz Schubert
Dem Unendlichen D 291
Im Abendrot D 799
Gott im Frühlinge D 448
Die Allmacht D 852
Richard Strauss
Befreit op. 39 n. 4
Das Rosenband op. 36 n. 1
Du meines Herzens Krönelein op. 21 n. 2
Zueignung op. 10 n. 1
Benjamin Britten
Da The Holy Sonnets of John Donne op. 35
Batter my heart
Da Winter Words op. 52
The Choirmaster’s Burial n. 5
Proud Songsters n. 6
Henri Duparc
Extase
Chanson triste
Le manoir de Rosemonde
Phidylé
Vincenzo Bellini
Dolente immagine di Fille mia
Gaetano Donizetti
Su l’onda tremola
Giuseppe Verdi
Brindisi
Giacomo Puccini
Canto d’anime
Pianoforte : Thomas Muraco
Gli ascolti
Schubert – Die Allmacht – Jacques Urlus
Strauss – Zueignung – Jussi Bjorling