Sin dal primo annuncio, infatti, questo Don Carlo aveva suscitato, e mai come in questa occasione, incredulità e meraviglia, a causa delle scelte di casting, che erano suonate un po’ a tutti in aperto contrasto con le leggi del canto, e, soprattutto,.. ..del buon senso!
Nessuna curiosità per i contenuti artistici serpeggiava nella Milano melomaniaca, quanto, piuttosto, una sorta di morbosa attesa, quasi una totoscomessa, per l’esito che i signori, impegnati in scena, avrebbero mai potuto sortire di fronte ad un pubblico sempre più stanco e deluso dal mondo del melodramma e dei suoi attori. Chiunque abbiamo incontrato per la strada in questi mesi postestivi non ha mancato l’interrogativo rituale: ma tu come credi che andrà a finire? Canteranno o non canteranno? Ce la faranno a passare?
Una vera noia, perchè quando l’arte è ridotta a questi argomenti soli, di certo non può più dirsi tale.
La Direzione del teatro ha tempestivamente scoperto, non so se proprio ieri o ier l’altro, che il protagonista prescelto non poteva essere mandato in scena senza rischi di sommosse da parte del pubblico. Tempestivamente, ossia dopo un anno di prestazioni più che criticate da parte del tenore in questione, due mesi di prove ( accompagnate da fughe di notizie a dir poco ferali ) ed una recita pubblica. In dirittura d’arrivo, le profonde convinzioni che avevano ispirato una delle scelte artistiche più assurde che si ricordino sono scemate e la paura ha prevalso ( perchè di paura e non di buon senso si tratta ): l’avvicendamento con il secondo protagonista, Stuart Neill, si è compiuta ieri.
Provvedimento scorretto per il modo e la tempistica, lesivo del cantante oltre le sue prestazioni specifiche e, di certo, non bastevole a sottrarre il teatro, ossia la Direzione Artistica, alle sue oggettive responsabilità. Non è sufficiente incolpare Filianoti, che, come ogni cantante, offre ciò che sa e può. Non vogliamo difendere il tenore, ma dire che così è troppo facile e comodo. Non si è credibili nel licenziarlo a fine corsa, dopo averlo avuto sotto mano ( ed orecchie !!! ) per due mesi, pergiunta dopo averlo scritturato in stagione anche per il prossimo Idomeneo. Una scelta non convinta, ma ultraconvinta direi, da parte del teatro! Una responsabilità oggettiva ed ineludibile, quindi. Inoltre, non è stata usata corretttezza nemmeno verso il sostituto, dato che ai giornali sono pervenute ( dall’ufficio stampa suppongo ) notizie come quel pubblicata su Repubblica online, in cui si affermava :”La Scala per tutto il giorno ha cercato invano un’alternativa a Neill, giudicato meno adatto per il suo fisico massiccio per la ripresa televisiva in mondovisione della Prima. Alla fine, però, la direzione ha preferito non rischiare“(http://milano.repubblica.it/dettaglio/Scala-cambia-a-sorpresa-linterprete-del-Don-Carlo/1558011). Altra dimostrazione della convinzione profonda che muove le scelte dei cast….!
Come se il problema di questo spettacolo fosse solo il tenore!!
Già, perchè è stata mera illusione pensare che bastasse, per salvare la qualità artistica della produzione, eliminare l’anello apparentemente più debole di tutto un cast mediocre.
Gli errori sono stati generalizzati e sostanziali, oltre la singola scelta di cast. La concezione iniziale di questo Don Carlo era del tutto infondata sul piano filologico ab origine e si è poi rivelata velleitaria al momento della sua realizzazione. Di quanto annunciato alla stampa è sopravvissuto il solo “Lacrymosa” del basso, mentre il duetto tra le due donne ad inizio atto secondo è finito tagliato via alle prove, riducendo a poco e niente la strombazzata “novità” di questa produzione. Una dimostrazione ulteriore, se ancora ve ne era bisogno, del non aver nulla di culturamente fondato da dire, sola peculiarità del nostro presente. Spettacoli come questi nascono senza sapere il perchè li si vuol allestire, pensando prima ai titoli in astratto, ma senza fare i conti con gli artisti realmente a disposizione oggi nel triste mercato delle voci, senza alcuna oculatezza e buon senso ( ossia capacità di valutazione delle cose ) e con una tragica, sconcertante assenza di idee e pensieri da parte di chi muove la barca, in questo caso, dopo l’input della Direzione Artistica, la coppia regista -direttore, che ha fallito su piano della gestione complessiva dello spettacolo.
Spazziamo via subito la solita questione in punto di allestimento. Qui, sotto ogni punto di vista, ci siamo trovati di fronte ad un’ennesima sagra della banalità, ultra déjà vue, oggi pseudo minimalista per motivi economici ( e questo ci và benissimo come concetto di fondo, anzi ), che ha funzionato poco o niente, non tanto perchè spoglia, quanto perchè……. insignificante. Prospettive centrali che parevano esercitazioni scolastiche di disegno prospettico; pavimenti in listone decolorato, pareti e sequenze tristissime di porte, anzi di brutti usci, visti già mille e mille volte, e che non ci dicono nulla, salvo il fatto che tutti questi registi tedeschi o tedescofili potranno in futuro, quando i teatri finalmente li licenzieranno, aprire magazzini edili. Il grande concertato sulla piazza di Nostra Dona de Atocha tutto schiacciato al proscenio senza un minimo di senso, i protagonisti tutti ammassati uno sull’altro con le guardie e i fiammighi, con la scena dell’autodafè che ancora una volta si colora di rosso, come già visto in altre produzioni. La variazione sul tema del cubo ove muore Posa, già del Macbeth o del Don Giovanni scaligeri. Un’eclettica contaminazione di produzioni recenti, che, fatto principale, non crea atmosfera, non suscita emozioni o pensieri, non evoca…..nulla. L’imperatore che entra da tutte le porticine e i pertugi più angusti come un servo( come dopo la morte di Posa ); l’inquisitore con il vestito bordato di pelliccia, come spetta ai Papi; Don Carlo che si rannicchia in posizione fetale sulla tomba nella scena finale; l’insistenza oltremodo insopportabile sull’idea dei bambini che accompagnano gli interpreti a simboleggiare l’ingenuità dell’infanzia. Nessuna regia, e, soprattutto, nessuna evocazione; nessun clima adatto all’opera; nessuna suggestione. Niente. L’inutile ed il brutto eretti a sistema. A noi, poveri vociomani retrò, poco importa di un teatro d’opera che muova dagli allestimenti: non siamo tanto intellettuali da poter capire, lo ammettiamo! Ma chi, negli ultimi trent’anni, ha anteposto gli allestimenti al canto si ritrova ora con un pugno di mosche in mano, ossia nel vuoto delle idee e con un teatro moderno che di fatto…non esiste, perchè incapace di funzionare. Gli allestimenti dovevano distrarci dalle magnagne delle compagnie di canto, l’idea originaria chiave era questa. Oggi questi allestimenti sortiscono l’effetto contrario, perchè deprimono lo spettacolo e mettono crudamente in primo piano il basso livello delle compagnie di canto medesime. Come stasera.
Se poi a questo si aggiunge una bacchetta incapace di una lettura pertinente al testo ed idonea al cast di cui dispone, ecco fatto il disastro. Ed il pubblico ha sottolineato da subito con durissimi dissensi, sin dal rientro dopo il primo intervallo, e, quindi, al successivo, la direzione incoerente, insensata ed oltremodo fracassona di Daniele Gatti. Quando leggemmo del cast, ad annuncio stagione, osservammo tra noi, che la bacchetta scelta non era molto adatta alla gestione di un’avventura simile. L’indaguatezza o i limiti di un cast possono essere ben gestita in certi autori ( come brillantemente fece l’anno passato Baremboim nel Tristan inaugurale ), ma è impresa assai impegnativa, da veri esperti direttori da opera, in un musicista come Verdi. Bisogna sacrificare parecchio delle proprie idee ed adeguarsi, come ci fece ben vedere Chailly nell’Aida ultima scorsa. Sempre alla ricerca di un lirismo estremo, di atmosfere tanto rarefatte da essere noiose o soporifere, Gatti ha dimenticato che occorre nerbo, sensualità, colore orchestrale da grande affresco storico. Il fracasso, i clangori della buca si sono alternati a momenti di lentezza esasperata o di vero.. silenzio. Momenti topici in negativo: il “terzettino dialogato” del primo atto tra Posa, Eboli ed Elisabetta, con un tempo troppo lento per il momento di conversazione oppure il duetto tra Filippo e Posa, di una mollezza incredibile, con l’orchestra incapace di sottolineare alcun momento ( e ce ne sarebbero infiniti…), alcuna frase dell’incontro di due giganti. Idem l’introduzione alla scena del giardino, o proprio il tanto decantato Lacrymosa, scentrato completamente per l’assenza di atmosfera. La Scena della piazza è apparsa anche poco provata, devo dirlo, con scarso affiatamento tra le trombe fuori scena e la buca. Il maestro ha chiesto raffinatezze assolute come le smorzature del Conte di Lerma o del Frate in apertura di opera, che son parse idee a dir poco micraniose di fronte alla mancanza di una visione generale e di “tenuta” di tutta l’opera. In compenso ha poi staccanto tempi troppo lenti per i cantanti al terzetto del giardino, alla canzone del velo, al duetto finale tra Carlo ed Elisabetta. Ma soprattutto ha mal concertato, dispensando un’orchestra o fracassone e pestacchiona, o molle e noiosa, e per questo motivo lo spettacolo non è riuscito a decollare. Un vero..autodafè! E la punizione per il maestro è stata durissima.
Il cast, non aiutato dall’allestimento e con una direzione che, di fatto, ha impedito allo spettacolo di decollare, è in parte andato oltre le funeste aspettative del gossip.
Su tutti, bravissimi e davvero commoventi, i 6 fiamminghi. Filippo Bettoschi, Davide Pelissero, Ernesto Panariello, Kahe Yun Lim, Alessandro Spina, Luciano Montanaro: bravi, bravi,bravi.
Stuart Neill, fisicamente impossibilitato ad essere scenicamente credibile, possiede una voce non bella, abbastanza grande, in parte artificiosamente ispessita. Gli acuti della parte gli riescono con facilità, ma sono ben lontani dall’essere squillanti. Il fraseggiatore è modesto, ma si sforza a tratti di dare forma al personaggio. Ripiega spesso su piani falsettanti ed indietro, come nell’aria di ingresso, e sfiora talvolta il bisbiglio ridicolo, come nel “Ma lassù ci vedremo..” al IV atto.
Ha svolto il suo compito di doppio ed è stato punito, a mio avviso, oltre il giusto dal loggione.
Fiorenza Cedolins era accreditata dal gossipp quale modesta Valois, di cui si dubitava la capacità di reggere la serata. Per parte nostra, la signora ci è apparsa……quella della Butterfly scaligera, forse con un filo meno di volume. La voce da Valois non la possiede, né l’ha mai posseduta nemmeno quando era una cantate nella pienezza dei suoi mezzi. La voce è piccola, adatta a Mimì piuttosto che a certa opera francese; il timbro non compromesso, almeno non stasera. Mancano però il volume e la cavata che la Valois richiede ( e credo anche gli acuti estremi, che qui però non sono scritti..).
Ha cercato di immascherare le note centrali, o, perlomeno, di simularne l’immascheramento, cantando sempre O ed U, parte permettendo, e ciò ha giovato rispetto alla voce incautamente spampanata esibita in Butterfly. Ha accentato bene a tratti, quando la tessitura glielo ha permesso, perché in zona grave è parsa anche verista, come nella fasi iniziali di “Un dì promessa” del duetto con Filippo. Si è difesa nella prima aria, “Non pianger mia compagna”, meglio nel “Tu che le vanità”, mentre improbabili sono parsi i pianissimi-falsetti di alcuni passaggi proprio dell’aria finale come del duetto finale col tenore. Non so quanto le qualità mostrate reggano sulla distanza. Una prova oltre le aspettative e di certo oltre un certo sciacallaggio di cui è vittima da un annetto in qua. E’ stata abbastanza applaudita, con svariati fischi sparsi in teatro.
Dalibor Jenis è un baritono non certo adatto a Verdi per dote vocale. Il mezzo di cui dispone è di volume modesto, privo di specifica qualità timbrica, abbastanza facile in alto. Spesso, però è nasale, oppure con la voce in bocca; il che da luogo ad una voce morchiosa, nella quale le durezze, per sua fortuna, finiscono per sentirsi poco rispetto a quanto si udirebbe in un voce più timbrata.
L’interprete è un po’”selvatico” sul piano scenico, più giovanile che nobile; gli manca del tutto l’allure del sontuoso ed elegantissimo baritono verdiano. Eleganza e linea di canto aristocratica sono necessari al personaggio di Posa, ma lontani dal buon Dalibor Jenis. Troppo grande il ruolo per lui; troppo piccola la voce per reggere la buca. Spinge nel duetto con Carlo; sopravvive alla scena con Filippo dove stenta ad imporsi; soccombe per manifesta inferiorità di voce nel terzetto del giardino come nel quartetto ( meglio in quest’ultimo, comunque); non dice nulla nella meravigliosa scena finale. In quest’ultima, poi, è stato spesso coperto dall’orchestra. Il pubblico lo ha applaudito con convinzione.
Dolora Zajick è stata la trionfatrice della serata, ad onta dell’età e di alcuni evidenti difetti vocali.
La signora, non più giovane, possiede un mezzo importante, ampio ed anche di bel timbro. La voce, però, ha ormai il caratteristico “buco” al centro, zona dove la cantante stenta a legare i suoni. Il registro acuto è a dir poco sfolgorante, mentre in basso canta solo di petto. E’ scesa ad evidenti compromessi nella “Canzone del velo”, in alcuni punti quasi accennata ( la coloratura in special modo); ha cantato la scena del giardino ora in modo straripante, di slancio, letteralmente sommergendo i due compagni di avventura, ora in modo difficoltoso, a causa di tempi troppo lenti in passi in cui la tessitura batteva là ove la voce ha il “buco”. Al “Don fatale”, però, ha cantato benissimo, con voce torrenziale : il do bemolle iniziale è arrivato enorme, sicuro, tenuto un ‘eternità. Ha cantato il resto dell’aria con vera dinamica, con numerosi piani e pianissimi. A meno del si bemolle finale, un po’ aperto, ha elettrizzato il pubblico, che le ha attribuito un grandissimo applauso alle singole. Il trionfo personale è suo.
Ferruccio Furlanetto da ben vent’anni veste i panni di Filippo II dall’ultima performance di Karajan. Non ha una voce né bella e né grande e, per giunta, non è mai stato un campione di raffinatezza e buon gusto, inclinando a quel gusto che, a torto, viene definito provinciale: nei momenti più drammatici, infatti, dispensa pacchianate veriste e gigionate da strapazzo come al duetto con l’Inquisitore e al successivo scontro con la moglie. L’ira di un re, per giunta da Grand Operà non è quella di compare Alfio. Peggio ancora il Lacrymosa: a prescindere dall’inopportunità di eseguirlo, non lo si deve fare quando il basso ha una voce dura, tubata e cavernosa in un brano che, al contrario, richiede rotondità e morbidezza. E’ un lamento sul cadavere di un uomo, un canto di dolore, non un bercia mento da piazza. Il pubblico, Dio sa perché, gli ha tributato una vera ovazione. Con qualche fischio, a cui mi associo in pieno.
Quanto poi al Grande Inquisitore del signor Kotscherga, è la più perfetta declinazione del latrato duro, fisso e gutturale applicato alla voce umana. E tacciamo delle sistematiche stonature sia in zona alta che bassa, un filo meno peggio al centro. Orrendo davvero. E il pubblico lo ha poco applaudito e parecchio sbuacchiato.
In conclusione: uno spettacolo sbagliato sotto molti punti di vista. Soprattutto con l’affaire Filianoti, che aveva tutto il diritto di comparire nell’arena dopo avere e a lungo provato, la Scala si è messa dalla parte del torto. Il cantante ha il diritto-dovere di sottoporsi al giudizio del pubblico, che può esser anche il più duro e feroce, ma l’uomo ha il diritto di essere rispettato.
Concordo con la splendida e attenta disamina effettuata dalla Giulia… Solo su due punti mi sento di dissentire. Trovo il giudizio nei confronti della Cedolins troppo indulgente. La voce della signora balla ovunque. Gli acuti sono al lumicino. Il timbro è completamente ingrigito. I piani sono falsetti e basta. Il legato è inesistente. I gravi sono ingolati. Non c’è regalità. Non c’è solennità. Non c’è linea vocale “verdiana”. Non c’è nemmeno onesto professionismo. Credo sia la peggiore Elisabetta mai udita, infinitamente peggiore anche di quella della Rigal.
Per quanto concerne l’orchestra devo dire che in alcuni momenti l’ho trovata abbastanza efficace, se non altro per lo splendore del suono, che in un’opera come Don Carlo, almeno in certi momenti, paga. Resta l’assoluta indifferenza della buca alle ragioni dell’opera, del canto e dello stesso Verdi (quanto di peggio possa esserci in un direttore d’orchestra che dirige un’opera!). Ciò non ostante il suono che proveniva dalla buca – sebbene solo suono – conferma ancora una volta dell’altissimo livello di preparazione dei musicisti della Scala.
Grazie per la critica giunta quasi in tempo reale, a dispetto della retorica decantata alla radio e spacciata per critica musicale. Un’ultima notazione: il cosiddetto “Lacrymosa” era una sorta di epicedio su una gloriosa istituzione musicale come La Scala, un tempo faro della lirica internazionale, oggi aia dove starnazzano anomali domestici di ogni tipo e dove il fare arte è diventato un vero e proprio optional.
Cara Grisi, le confesso che l’unico termine in grado di esprimere quello che sento è “rabbia”.
domani ne parliamo.
ora a nanna……..serata pesante
notte
Concordo su tutto e aggiungo solo una cosa.Se si decide di eseguire il cosiddetto Lachrymosa,esse deve essere fatto precedere dal recitativo della versione originale.Se lo si inserisce puramente e semplicemente nella versione riveduta,si crea una bruttissima frattura tonale.Ulteriore dimostrazione che Gatti del Don Carlo non ha capito proprio nulla.
Concordo praticamente con tutte le vostre considerazioni a eccezione di Furlanetto.
Capisco che la sua fonazione alquanto eccentrica (per usare un eufemismo) possa spiacere a dei ‘vociologi rétro’.. 😉 ma da lui (e dalla grande Dolora, beninteso) ho avuto gli unici brividi della serata di ieri…
Invece sono più severo con la Cedolins, ma evidentemente l’ascolto in teatro compensava alcuni limiti ingigantiti dalla ripresa radiofonica (per inciso di qualità tutt’altro che eccelsa)…
Buona Immacolata!
Secondo voi, il recente comportamento del FIALS non ha nulla a che vedere con lo “stato dell’arte”?
Caro Daland,
non saprei. Ce lo siamo chiesti pure noi.
Gatti, però, era accreditato di brutte performance concertistiche recenti sempre qui a Milano ( relata refero )e una scelta di tempi credo c’entri poco con prove travagliate….
Il suono dell’orchestra, però, non era bello, come altre volte.
Chi ha visto le prove ha parlato di vari scollamenti tra buca e cantanti, che ieri, salvo un paio di momenti,sono parsi minimizzati.
Vediamo se alle repliche cambia qualcosa…
Personalmente ricordo il Lohengrin ultimo scorso: cose belle, liriche, ma anche fracasso e pasticcci sparsi….lo scrissi anche.
Il direttore è buono, ma anche sopravvalutato a mio avviso.
Comunque Muti o Filianoti, come ha insinuato la TV, non c’entrano nulla di nulla. E’ stata contestazione vera e spontanea, e troppo grande per essere prezzolata. I bu arrivavano dappertutto….
Tipiche telefonate prese dal centralino della Scala un 7 dicembre qualsiasi:
1- “C´é una bomba in teatro”
2- Al sovrintendente:”Hanno venduto 24 fischietti nella cartoleria vicino al teatro”.
3- Alla moglie del direttore:”Suo marito va a letto con il soprano” (o con il tenore,a seconda delle tendenze)
4- Alla primadonna:”Ho fatto una novena a Sant´Antonio che,come a tante altre,ti fará andar via la voce”
5- Al tenore:”Sappiamo che sei lí perché hai un politico tra gli amici o un mafioso tra i parenti,ma stasera te la faremo pagare”
6- Al baritono:”Sei uno str….”
Milano é sempre stata cosí…hihihi
Non sono solito a scrivere su questo blog che leggo con molta regolarità. Mi sento oggi di farlo, pacatamente, perchè in parziale contrasto con quanto finora commentato.
Premetto che questo Don Carlo non mi ha entusiasmato e di sicuro non è stata una produzione degna dei tempi d’oro scaligeri. Tuttavia se posso condividere certi fischi della prima, non capisco l’acrimonia di alcune invettive.
Per chi finora ha commentato: quali altri interpreti avreste desiderato? Perchè una critica, per essere construttiva, deve indicare anche la soluzione, altrimenti è parlarsi addosso.
In questa direzione un tale livore contro la Cedolins, non mi pare giustificato. Magari non sarà la migliore elisabetta e di certo può non piacere, ma, diamine, il IV atto l’ha cantato, e soprattutto interpretato, bene (a parte la non condivisa scelta di far entrare carlo bambino durante il tu che le vanità) ma ne “il pianto gli è dell’alma” sembrava stesse davvero piangendo e in certi punti credo sia stata degna delle altre elisabette scaligere. Forse nel primo atto non arriva la sua voce, ma davvero non capisco questo scagliarsi contro lei.
Per continuare con un mio commento personale sull’opera: Dolora Zajick mi è piacuta e, certo, si sentiva e tanto. Tuttavia, in alcuni momenti mi ha fatto ricordare una vecchia pubblicità: la potenza è nulla senza controllo. E, sinceramente, a vederla (il 7 dal teatro sociale di Como) e sentirla (il 4 all’anteprima) attaccare il Don Fatale mi ha dato impressione che non avesse idea di ciò che stesse cantando.
Furlanetto è stato molto apprezzabile, forse è un po’ mancato in potenza durante la scena col grande inquisitore, ma mi pare legittima la sua scelta di dare una lettura intimista al suo personaggio.
Sul grande inquisitore: no comment.
Neil ha avuto il pregio di portare a casa la serata. Alla anteprima il Filianoti del IV atto era inascoltabile (sia perche non si sentiva, sia perchè, lui sì, aveva una voce rotta: cosa avrebbe detto Velluti al riguardo?). Certo, il don carlo dell’altra sera non aveva un fraseggio elegante e un accento e una dizione piacevole quanto quelli di Filianoti, ma anche in questo caso, chi d’altro? Concordo ovviamente che l’affaire Filianoti non è stata una prova di correttezza della Scala.
Pecca di Gatti è stata la sua perenne indecisione su quale lettura dare a Don Carlo e ha staccato a seconda tempi o troppo lenti o troppo veloci da trasformare il bataclan verdiano in una accozzaglia di suoni senza controllo.
Su scenografia e regia concordo con la recensione.
Caro Jacopo, grazie per i tuoi commenti. La diversità di opinioni è il sale del teatro d’opera, ma io direi dell’arte in genere. Una cosa però non te la lascio passare: l’accusa, che ci rivolgi, di livore nei confronti di Fiorenza Cedolins. Ho riletto la Grisi e non ho trovato traccia di livore nei confronti della cantante friulana, livore che invece è ben presente nelle recensioni del Don Carlo a opera di altre penne, che in passato ebbero per la medesima artista, alle prese con analoghe difficoltà vocali e interpretative, parole di assoluto elogio e santificazione spesso ai confini del ridicolo e oltre.
Sul pianto al IV atto posso solo ricordarti che Elisabetta non è Fedora (anch’ella principessa, ma nata in una ben diversa temperie culturale) e tanto meno è Santuzza, quindi le lacrime vere o presunte della cantante poco la aiutano a risolvere le difficoltà di una parte che mai come l’altra sera mi è parsa lunga, bassa di tessitura e sfiancante. E mancava il primo atto, non dimentichiamolo!
Un’Elisabetta alternativa? Magari proprio Giovanna Casolla, di cui si è parlato nei commenti ad altro post. Certo, la vedrei meglio come Eboli, ma trovo che la Valois le starebbe come tessitura e se non altro udremmo una voce “da Verdi” in questo ruolo avvezzo ai bonsai.
ah ah la Casolla cosi oltre alla balena spiaggiata avrebbe cantato la regina madre!
Caro Antonio, e cari lettori, mi scuso per non essere stato chiaro nel mio post precedente. Se è parso che mi riferissi, nella mia precedente difesa della Cedolins, alla recensione della Grisi, non ho trasmesso correttamente il mio pensiero.
In detta recensione non vi è infatti nessuna traccia di acrimonia. No davvero.
Mi riferivo, invece, al primo commento di Velluti e a certe frasi non molto educate del medesimo apparse sulla chat quali: ma ce l’hai le orecchie (apparsa l’8 dicembre alle 03:12), seguita dalla pronta replica dello stesso: credo tu non le abbia (e qui non si capisce se le due frasi sono rivolte a pasquale, a cui la serata non è spiaciuta o a Marianne_Brandt – commento dell’8 dic alle 03:02 – che addirittura ha detto che la cedolins è stata brava, DELITTO!)Forse che queste cadute siano da imputarsi all’ora tarda e a una passione – che poi ci accumuna tutti qui – per l’opera?
E’ questo il livore a cui mi riferivo, unito a quello, a mio avviso immeritato, di certa stampa.
Spero di aver spiegato l’equivoco e non me ne voglia l’utente che ho citato. L’ho fatto per rimediare a una mancanza di precisione e chiarezza del post precedente.
Spero non me ne voglia nemmeno la Grisi per il fraintendimento.
A proposito della Casolla: ho avuto l’occasione di sentirla in turandot la scorsa estate a roma e non mi è dispiaciuta. Potrebbe essere interessante. Io, comunque, continuo a ritenere che la Cedolins non sia una malvagia Elisabetta, tutt’altro.
Buona serata a tutti.
Ciao Jacopo.
Per quanto concerne la Cedolins: altri mi hanno accusato di troppa mitezza. A dire dalle recensioni che ha ricevuto su alcuni giornali ed altri fori ( un tempo a lei tanto amici ), mi pare di essere stata molto mite mentre prima , a dire su di lei delle verità doverose che nessuno diceva, ma pe questo ero un demone!
Non ero tra chi le ha tributato ovazioni esageratissime alla Butterfly; l’altra sera sono stata tra i pochissimi a concederle un applauso al IV atto, anche se di cortesia e per un certa forma di solidarietà (Peraltro sono stata zittita da due noti plauditores della Scala seduti a fianco a me):la signora ha pagato l’eccesso di quel successo precedente, il numero smodato di “amici”, che allora la spinsero oltre il dovuto, perchè in realtà al loggione milanese non piacque per nulla.
Ora come ora, mi fa una certa pena, perchè quando le folle di colpo ti abbandonano, coloro i quali ti incensavano smodatamente e senza ritegno, poi ti denigrano e non ti concedono nemmeno il dovuto…..e questo è tristissimo e penoso.
Furlanetto ha una emissione che mi impedisce l’ascolto di qualunque cosa canti. Ha sempre cantato con questa voce, tanto che è stato a lungo lontano dall’Italia, dove non poteva ambire a certi ruoli o a certi teatri. Oggi riappare….perchè siamo nel deserto.
E’ la negazione della regalità con quella voce tubata e dura.
Cantare Filippo, pemettimi una osservazione, non è solo qustione di potenza, come tu dici. Anzi, raramente il canto è potenza ( semmai, di ampiezza ): una voce indatta a Verdi seppe sortire un trionfo alla Scala in un bruttissmo don carlo. E si chiamava Samuel Ramey. Gli dissero che non era verdiano, ma gli bastò svettare in alto e …..fraseggiare un po’. Benissimo. prova un confronto….
Se poi ci mettiamo a sentire i grandi Filippo della storia, a cominicare da Kipnis, l’emissione del signor Furlanetto lo qualifica non tra i bassi ma tra i …..sifoni. ( perdonatemi la battuta…)
LA Zajick: credo che il pubblico le sia molto affezionato. E abbia voluto compensare l’ingiusto allontanamnto subito da questo teatro al don carlo precedente. La Scala ha un pubblico che ricorda a lungo. Il velo, certo,era bruttino, perchè il canto non era facile. Ma la signora ha più di 50 anni, ed anche questo sa il pubblico, che il suo velo l’ha sentito benissimo….Il “darci dentro” poi, è prerogativa di ogni Eboli….si sa. Guardati il trionfo dell’Obratzova a suo tempo, conun velo migliore ma anche con 20 anni di meno. Guarda la Bumbry nel video di Orange….Certo la tigre sensuale è ben latro, ma che il giusdizio sia anche relativo ai tempi è ormai chiaro…Va così. Che poi la Grisi possa immaginarsi una Eboli anche diversa….questo è da maniaci del vecchiume…..non volevo tediarvi…ma l’altra sera era la migliore……nonostante tutto.
a presto
Concordo in generale con quest’ultimo intervento della sempre puntuale madame Grisi. Su Furlanetto aggiungo che si tratta per me di un autentico mistero, soprattutto a considerare che conta non pochi ammiratori. Se non avessi avuto la ventura si ascoltarlo diverse volte dal vivo, fin da quella Sonnambula di Spoleto con Aldo Bertolo (1979, se ricordo bene), penserei a una “presenza vocale” d’eccezione, insomma a una di quelle voci che rendono più dal vivo che all’ascolto indiretto. Ma non è così: Furlanetto, almeno alle mie orecchie, ha sempre suonato allo stesso modo, lo ascoltassi in sala, via radio, su CD, su audiocassetta, su LP e, ne sono certo, la mia stima sulla sua emissione stomacale non sarebbe migliorata neanche se gli avessero fatto incidere dei cilindri di cera con un fonografo fine ‘800.
In quei lontani primi anni ’80, ricordo di avegli preconizzato una modesta carriera di provincia, magari ripiegando prima o poi su parti di fianco. Invece il nostro uomo ha finito per cantare con Karajan, calcare le scene più prestigiose e far parte del cast di importanti inaugurazioni, ultima delle quali questa del 7 scorso.
Non lo so, forse sono io che non capisco più nulla dell’arte del canto; o forse una volta di più, ci ha azzeccato la Giulia, le cui considerazionni finali si potrebbero riassumere col celebre “in tempo di ciechi, val bene un monocolo”. Del resto, se si vanno a spulciare i cast delle produzioni in giro per il mondo, capita di imbattersi in certi incredibili relitti del passato, che uno avrebbe creduto ritirati da decenni, a portare a spasso i nipotini…
…………ma la cosa più divertente è stata la dichiarazione fatta dallo stesso Furlanetto, che in tv, dopo la recita dei giovani, ha sostenuto che bisognerebbe svecchiare il loggione.Peccato che i plaudenti per lui, l’altra sera, fossero proprio i più vecchi loggionisti.
Per parte nostra, anche noi ameremmo poter ascoltare giovani cantanti capaci!
Salve,
personalmente trovo la nostra Grisi troppo buona nei confronti del tenore. Neill ha il materiale vocale del ruolo ma canta aperto e sguaiato, tutto fibroso e in più plebeo nel fraseggio, con pronuncia italiana paradilettantesca. Siccome il ruolo gravita molto in zona di passaggio per me ascoltarlo è stato uno stupro per le orecchie, degno del peggior Alagna, ma meglio comunque di Villazon. Poi quando nel duetto finale con Elisabetta ha voluto cantare a mezzavoce ed invece della mezzavoce gli è venuto fuori quel falsettino pettegolo è stato veramente orrido, se poi a questo si aggiunge che al contempo la Cedolins sfornava una “mezzavoce” fissa e dura come il fil di ferro, l’insieme di quel duetto finale è stato veramente al limite del sopportabile. Di tutto il cast (persino la voce dal cielo era vetrosissima e ingolatissima)mi sono piaciuti solo ed esclusivamente gli acuti della Zajick.
Per rispondere a coloro che dicono che la critica deve essere costruttiva e proporre alternative, rispondo loro che purtroppo la sola alternativa è che si incominci di nuovo a cantare colla tecnica giusta e non a vanvera, perchè lo stato attuale in cui versa il mondo del canto è infimo e non si potrebbe assolutamente oggi riunire una distribuzione per rappresentare come si deve un opera come il Don Carlos e non solo.
Caro signor Semolino,
a mia discolpa dirò che epur lo scrissi nella recensione che il signor tenore emetteva falsettini nel duetto Ah lassù…idem la Cedolins, che più che dura come il fil di ferro ( may be )….boccheggiava. Si sentì assai poco di antrambi, della signora in partcilare, che dopo l’aria stava decisamente a corto di carburante.
Seriamente: ho visto spezzoni del video. Sarà che le voci erano poco potenti, a parte gli acuti della Zajick e un po’ Furlanetto, ma in teatro forse i timbri erano meglio che epr radio.
quanto al tenore, mi ripeto: ha fatto il cover. Era solo …solido.
Spiaccionoi commenti coglioni sulla sua….rotodità, anche se davvero impressionante.
La Cedolins è stata in difficoltà per la durata di tutta la recita. Fra l’altro in tv era ancora più penoso vedere quanto boccheggiava.
E poi la dizione! E l’intonazione!
Furlanetto è eccessivo e la voce rimane orribile. Ha una gola di ferro (non una tecnica).
Luca.
Concordo con la Grisi nell’ultimo commento sulla Cedolins. Io stesso l’ascoltai in Butterfly alla Scala (una recita dove fu migliore che alla prima ma ugualmente deludente) dove apparve come una sorta di Tebaldi rediviva con folle di ammiratori, fedelissimi, innamorati e cicisbei di corte.
Sarebbe davvero il caso di dirlo con la Bolena : “Oh, dove mai ne andarono le turbe adulatrici?”. Già perchè nel sentire la Cedolins l’altra sera (ma anche in recenti audio come il da me recensito Poliuto, la Rondine e un Trovatore spagnolo) non ho notato una cantante gravemente declinata rispetto allo splendore della Butterfly. Lo “splendore” o meglio lo stato vocale e i “difetti” sono i medesimi della Butterfly.
Io trovo, invece, che sia peggiorata rispetto alla Butterfly dove, comunque, non mi fece per nulla alcun effetto. La Cedolins rimane un soprano appena lirico sottodimensionata per i ruoli che canta.
Caro Luca,
in cosa sarebbe peggiorata la Cedolins rispetto alla Butterfly? Sono d’accordo sul fatto che la Cedolins fosse impiegata in parti più pesanti del suo reale peso che era comunque di un buon soprano lirico in origine.
Nel fiato, ad esempio, sempre più corto. Nell’intonazione sempre peggiore. Sento un affanno che prima non sentivo. Alcuni difetti erano già presenti ma adesso sono davvero evidenti.
Io trovo che i difetti fossero tutti ben presenti già all’epoca e che intercorra poca differenza fra quella cantante e questa, quasi nessuna. Chi nota oggi un declino, e non mi riferisco necessariamente a lei Luca, avrebbe dovuto accorgersene anche due anni fa.
I difetti c’erano, come ho scritto prima, ma in qualche modo venivano camuffati e orecchie meno esperte e abituate potevano anche non accorgersene. Ma oggi che la natura non basta più e la “tecnica” non è sufficienti questi problemi mi sembrano molto più evidenti.
………..la tecnica c’è stata solo in parte. In parte.
La maestra di tecnica è invenzione dei fan.
Se avesse avuto tecnica non si sarebbe ridotta così…..
E’ quello che penso e che ho sempre pensati. Una tecnica sufficiente e consolidata non c’è mai stata. E adesso i nodi vengono al pettine…
Sulla Cedolins posso dire che l’ho ascoltata in un quasi debutto in un’Aida del san Carlo di Napoli una decina di anni fa (o poco meno), e l’ho trovata strepitosa, compresa la romanza del III atto eseguita con arcata legata completa senza presa di fiato fino a un do sovracuto in pp alla Tucci. Mi sembrava davvero erede della Tucci, allora, della quale possedeva facilità negli acuti e omogeneità dell’emissione. Devo dire che l’ho persa poi di vista e riascoltata in poche occasioni, trovandola sempre in progressivo peggioramento. Ma quello che si è ascoltato alla Scala l’ho trovato scandaloso. Se questo significa essere offensivi non saprei, ma è quello che penso, “pacatamente e serenamente!!!”. Oggi si ritiene che fare buona critica equivalga al “politically correct”, come ha giustamente ricordato la Grisi più su. Io credo che fare critica significhi motivare quello che uno pensa. E credo di averlo fatto nel blog. La voce della Cedolins balla… E non credo ci sia altro da aggiungere sul lato prettamente vocale. Sul lato interpretativo la lettura del personaggio mi è sembrata a metà strada tra il dimesso, il salice piangente e l’assoluta indifferenza. Anche la Scotto ballava nel Don Carlo del Met diretto da Levine, ma che fraseggio, che attenzione alla parola, che meraviglia di piani perfettamente appoggiati sul fiato e messi a servizio, sempre, dell’interpretazione! Di tutto questo non c’era traccia nel “canto” della Cedolins. Mi spiace ma la penso così… Che poi a fronte dell’Inquisitore e del baritono la Cedolins fosse il “meno peggio” posso anche concederlo. Ma Elisabetta è personaggio che non lascia scampo… E chi la interpreta deve prendersi il coraggio e la responsabilità della propria azione…
Voglio dire a JacopoRe che le vicende della chat a cui si riferisce, dandomi una rilevanza che forse non merito, riguardano una battuta – fors’anche acida, oppure certamente acida – che però proveniva da una serata a dir poco pesante e, almeno per me, veramente triste. Il caro Pasquale, però, non mi sembra che se la sia presa più di tanto a male… Non vorrei che la cosa rapresentasse un pretesto per continuare a sostenere che chi critica, fors’anche con acredine, fors’anche con eccessivo fuoco polemico, ma comunque critica, motivando, mettendo in luce un vero e proprio disastro, lo fa perchè desideroso di aizzare ulteriormente la bagarre. Le motivazioni del mio disappunto mi paiono abbastanza evidenti nel post. Il caro JacopoRe è invitato, almeno da me, a basarsi su quelle e non su una sciocca battuta di una chat notturna, successiva a una serata che, per quanto mi riguarda, segna il tramonto definitivo dell’istituzione Scala, e non solo sotto l’aspetto meramente esecutivo (cfr. vicenda di Filianoti).
La recita di ieri sera è stata ancora più deludente della prima trasmessa in tv.
Il tenore è ancora più fibroso, anche se sicuro, dal vivo. Il baritono ha una vocina chiara ed è completamente estraneo al personaggio. Salminen (Filippo II) è fuori parte: non lega, ha problemi con l’intonazione, con gli attacchi che sono strascicati e il personaggio lascia indifferenti. La Cedolins ha una vocalità sempre più svuotata ed incerta. Fatica a legare ed è in debito d’ossigeno. Per non parlare della dizione artefatta (perchè deve modificare in questo modo tutte le vocali?). Anche la Zajic non mi ha convinto e mi è parsa in difficoltà anche in “O don fatale”. Gatti ha limato alcune cose della direzione e ha regalato dei bei momenti. Taccio della messa in scena e preferisco non chiedermi quanto possa essere costata.