Serie B a chi ?!? – quarta puntata


Nel panorama lirico degli anni ’50 e ’60 si segnalarono pure per diverse ragioni, due giovani voci di soprano lirico guadagnandosi via via una carriera teatrale di prim’ordine : Rosanna Carteri e Gabriella Tucci.
Entrambi soprani lirici per natura, percorsero vie in parte diverse, la prima sempre si mantennne nel repertorio del soprano lirico affrontando anche ruoli da lirico leggero, mentre la seconda, forse anche per la qualitàdella dote vocale, si spinse verso il repertorio del soprano lirico spinto e drammatico.

Rosanna Carteri, veronese di nascita e padovana d’adozione, studia pianoforte fin da bambina e da subito rivela una spiccata propensione per la musica e l’arte del canto. Le prime apparizioni in concerti vocali avvengono addirittura durante la minore età mentre il debutto vero e proprio avviene a Caracalla nel 1949, a soli diciannove anni, come Elsa nel Lohengrin. Ammesso e non concesso che la nostra Rosanna non avesse il vizio-vezzo di cavarsi qualche anno. Un debutto che fece puntare gli occhi sul talento del giovane soprano, che si guadagnò subito grande fama e scritture nei principali teatri italiani oltre che numerose esibizioni ed incisioni per la RAI, all’epoca con una vera e propria stagione lirica al suo attivo. A Rosanna Carteri toccò, fra l’altro, l’onere della prima opera televisa prodotta dalla Rai: Traviata nel 1956. Non dimentichiamo che il soprano veronese era davvero una bellissima ragazza. Il repertorio praticato, come già detto, era quello del soprano lirico : Mimì, Violetta Valery, Suzel dell’Amico Fritz, la Matilde del Guglielmo Tell (interpretata in anni in cui, vale la pena ricordarlo, l’alternativa potevano essere colleghe del calibro di Renata Tebaldi o Gabriella Gatti), la Manon di Massenet, Liù, Magda di Civry de La rondine pucciniana, ma anche ruoli ritenuti più da lirico-leggero come la Giulietta Capuleti, Susanna ne Le nozze di Figaro, Adina, Norina, Linda di Chamounix, Zerlina, Lucieta nei Quatro Rusteghi. Interpretando questi ruoli miete successi in molti teatri italiani affermandosi definitivamente come una delle più interessanti cantanti della sua generazione. La carriera della Carteri continua fra successi fino al 1966, quando dopo un Otello a Parma, decide di ritirarsi per la famiglia. Un ritorno alle scene avviene nella stagione 1971/1972 con alcuni concerti, l’esecuzione dello Stabat Mater e della Petite Messe Solennelle di Rossini e un’ultima recita di Traviata.
Il successo di Rosanna Carteri fu, dunque, immediato e di grande portata, e le ragioni di questo successo vanno ricercate in una voce dal bellissimo timbro, corposa, piena, governata da una solida tecnica e da grande professionismo, che consentirono alla Carteri di poter sostenere i ritmi di una grande carriera e di mantenersi sempre all’altezza della sua fama. Questo professionismo e questa serietà sono oggi motivi che rendono la Carteri come modello d’eccezionalità forse anche più che per la straordinaria dote vocale.
Gli ascolti proposti vanno a corprire praticamente tutto l’arco della carriera di Rosanna Carteri e il suo repertorio, permettendoci di analizzarne e ascoltarne pregi e difetti.
Nel finale di Suor Angelica si apprezza la sicurezza del canto della Carteri. Nella prima parte la salita ai due temibili do di La grazia è discesa dal Cielo, viene risolta abbastanza bene, anche se si rileva un pò di tensione. Nonostante gli ufficiale vent’anni all’epoca della registrazione (una delle prime per i microfoni della RAI, in seguito stampate per la Fonit Cetra) la Carteri mostra una voce rotonda e piena al centro, cui una corretta tecnica permette di scendere abbastanza agevolmente (i mi in primo rigo di “Suor Angelica ha sempre una ricetta” sono suoni raccolti e immascherati) e di mantenere una notevole sicurezza di linea pur in una parte pesantissima ( a rigre da lirico spinto) come Suor Angelica, addirittura proibitiva per una debuttante, salvo che essa possieda una solidissima tecnica. L’accento è, poi, semplice, curato nella dizione, tratto tipico della grande tradizione di canto italiano, ma efficace, attento, mai caricato o inappropriato al momento drammatico. Si percepisce che il modello a cui la Carteri guarda sono la Tebaldi e la Caniglia, le due Voci per eccellenza della sua genereazione e di quella precedente, a questo forse è riconducibile un certo aprire i suoni al centro in cerca di maggiore ampiezza, cosa che spesso porta a pregiudicare i primi acuti, che risultano spinti.
Interessante è l’ascolto dell’aria di Sinaide dal Mosé di Rossini, interpretata alla RAI nel 1956 sotto la direzione di Tullio Serafin in compagnia di Nicola Rossi-Lemeni, Anita Cerquetti e Giuseppe Taddei. Nonostante il ruolo sia scritto in tessitura da mezzo acuto la tradizione esecutiva italiana degli anni 30-50 era solita affidarlo ad una voce più leggera (da contrapporre al soprano drammatico inteprete di Anaide) e, quindi, anche più facile nell’eseguire i passi più acuti della parte. La voce della Carteri in questo ascolto appare sontuosa per la bellezza della dote vocale, davvero regale, e ammirabile per la sicurezza con cui scende nella zona bassa del pentagramma (pur ricorrendo al registro di petto, i suoni sono raccolti e mai spinti, e quindi mai aperti e volgari) per, poi, salire ad acuti di rara luminosità. Anche i passi vocalizzati sono risolti con grande professionismo pur non avendo la precisione o lo slancio di altre interpreti, contemporanee o di poco seguenti.
Veramente bellissimi sono gli ascolti pucciniani, fra cui bisogna segnalare il duetto del primo atto di Madama Butterfly con Carlo Bergonzi. Non so quale sia stata l’effettiva frequentazione teatrale col ruolo per la Carteri, certo dall’ascolto ci troviamo di fronte ad un’esecuzione pressoché ideale. La voce bellissima, piena, da autentico soprano lirico è ideale per Butterfly, ben rendendo l’aspetto di gioventù che il personaggio deve mantenere ma capace di reggere l’orchestrale e la scrittura pucciniana, spesso impervia. Nel duetto la Carteri si distingue soprattutto nella seconda parte, per l’attenzione ai segni d’espressione e per un legato d’alta scuola che le permette di essere seducente ed espressiva con accento semplice ma efficace, sostenuto com’è dalla salda linea di canto.
Ideale è la sua Mimì, giustamente uno dei suoi cavalli di battaglia, che brilla per virtù vocali ed espressive. La Carteri è attentissima ai segni d’espressione che Puccini spande a larghe mani in tutta la parte, esegue con attenzione i vari “ritenuto” e tutti i segni di legatura, anche quelli fra due note come nel caso del mi e del re di “involgi tutto quanto in un grembiale“) che la Carteri risolve con un piccolo portamento. La voce è in grado di alternare soavi pianissimi, di grande effetto ed espressione, come su “a intesser finti fior”, o il secondo “se vuoi”, mentre sul primo “se vuoi” e sul finale “se vuoi serbarlo a ricordo d’amor” la voce si espande in tutta la sua pienezza per dare a Mimì quella che è e sarebbe la sua vera voce.

Di più lunga durata e più vasto repertorio fu la carriera di Gabriella Tucci, la quale dopo aver terminato gli studi presso l’Accademia di Santa Cecilia nella nativa Roma vince il Primo Premio del Concorso Internazionale di Canto di Spoleto che le permette di debuttare dapprima come Suzel nel 1951 e poi come Leonora de La forza del destino accanto a Beniamino Gigli l’anno seguente. Facendosi notare per la bellezza della voce unita a quella della figura Gabriella Tucci comincia la sua carriera lirica che prima la vede impegnata in una onerosa gavetta (che la stessa Tucci in numerose interviste ha sempre riconosciuto come una fortuna, fonte di esperienza e maturazione professionale) che la porta a debuttare numerosi importanti ruoli in provincia (Traviata, Otello, Faust fra gli altri) e a rivestire seconde parti in importanti produzioni accanto a grandi primedonne (Anna nel Nabucco accanto a Maria Caniglia nel 1951, Glauce in Medea accanto a Maria Callas a Firenze, Venezia e Roma, I Cavalieri di Ekebù con Gianna Pederzini). Il successo internazionale viene raggiunto nel 1959 anno in cui dapprima si fa notare come interprete di Otello, Traviata e Carmen a Tokyo (di cui esistono anche delle riprese video), incide I pagliacci accanto a Mario Del Monaco per la Decca e debutta alla Scala in Boheme e Carmen. L’anno seguente altri due importanti debutti fra i mille impegni : il debutto al Metropolitan Opera House come Madama Butterfly e il debutto al Covent Garden in Tosca. La carriera di Gabriella Tucci procede così fra la giusta gloria e un repertorio gravoso che le fa alternare Butterfly, Boheme, Traviata, Don Giovanni (sia come Donna Anna, sia come Donna Elvira) ad Aida, Trovatore, Tosca, Puritani, Rigoletto, Andrea Chénier, Un ballo in maschera, opere che interpreta nei maggiori teatri internazionali e soprattutto al Met, dove la Tucci canta abitualmente fino al 1972 in tre/quattro produzioni all’anno. L’ultima fase della carriera è fatta di apparizioni più diradate rispetto ai massacranti ritmi mantenuti per più di venti anni fino ad allora, ma la vedono ancora impegnata in ruoli come Butterfly, Liù, Mimì, Leonora della Forza del destino, Aida, addirittura il debutto come Rosina nel Barbiere di Siviglia nel 1979 e due ultime opere nel 1988, Suor Angelica e Un ballo in maschera al Central Park di New York City, ma anche e soprattutto una intensa carriera come concertista.

Gabriella Tucci, come molte colleghe sue contemporanee, è un emblema di professionismo vocale, un’Artista seria e scupolosa che, forte di una dote naturale eccezionale per bellezza e duttilità e di una tecnica ferrata e sicura, ha potuto reggere i ritmi di una carriera internazionale in un repertorio vastissimo (e spesso più pesante del dovuto, la Tucci essendo per natura un soprano lirico, lirico-spinto più che un vero soprano drammatico) mantenendo sempre alto il proprio livello esecutivo.
Neanche Gabriella Tucci era priva di difetti. Anche in lei è possibile notare come soprattutto al centro si volesse aiutare la Natura, già di per sè molto generosa, cercando di rendere i centri appunto più sontuosi aprendo un pò il suono (sul modello della Tebaldi probabilmente), col risultato di scoprire poi i primi acuti (in ispecie sol e la), non sempre belli. Questo è possibile notarlo per esempio nell’entrata di Butterfly dove però, se i primissimi acuti appaiono un pò spinti, la Tucci è, però, in grado di chiudere con un re bemolle attaccato piano e rinforzato. Prodezza che ripete nel do dei Cieli azzurri proposti, la cui esecuzione è da manuale, tanta è la facilità del canto e l’accuratezza dell’espressione, lirica e dolente, con grande attenzione alle indicazioni dello spartito.
Anche in Butterfly è possibile notare una accuratezza nel seguire le indicazioni dello spartito oltre che una grande cura della dizione e dell’espressione drammatica, mai sacrificata al canto, anzi molto sicuro, tanto da permetterle di rendere benissimo l “allargando” che Puccini prescrive sul la naturale di “Ei torna e m’ama”, con grande effetto per il pubblico che giustamente prorompe in una meritatissima ovazione per la Tucci.
Altro interessantissimo ascolto è il Tu che le vanità dal Don Carlos, da una registrazione in-house del Metropolitan diretto da Claudio Abbado. La Tucci propone una Elisabetta più sul versante lirico che drammatico, ma la registrazione permette di capire benissimo quanta e di che qualità fosse la voce della Tucci, sontuosa al centro e soprattutto in alto proiettatissima e ampia, tanto da reggere facilmente l’orchestrale verdiano, con vero effetto di “grandioso” in più punti, come prescritto da Verdi.
Particolarmente bello è il Libera me Domine del Requiem verdiano. Con una voce lirica, ma importante la Tucci pone grande attenzione ai segni di dinamica, è bravissima soprattutto ogni qual volta alla voce è richiesto di smorzare o rinforzare i suoni. Nella prima parte del Libera me Domine la Tucci propone un’esecuzione molto dolce e lirica, è bravissima poi nella sezione centrale, Requiem aeternam, dove è ammirevole la saldezza della Tucci nel cantare piano, mantenendo la voce sempre sul “dolcissimo” prescritto da Verdi ma riuscendo a smorzare e rinforzare a piacimento i suoni, concludendo poi con un si bemolle di rara bellezza e pienezza sonora. Nell’ultima parte è possibile notare invece qualche acuto spinto e ghermito (due la naturali) laddove è chiamata a cantare su coro e orchestra con forza, prima di salire nel finale ad un sicuro e svettante do.

Rosanna Carteri e Gabriella Tucci sono state e restano due cantanti ai loro tempi di fama e grande carriera, oggi, in sede di riesame e ripensamenti, eccezionali, mirabili per la serietà con cui hanno saputo affermarsi come grandi Primedonne del loro tempo non tanto con atteggiamenti divistici quanto piuttosto con la saldezza del loro canto e la serietà con cui erano solite presentarsi in teatro. Le loro carriere, come quelle di molte cantanti ( e ci limitiamo, per ora a quelle italiane) di cui abbiamo parlato dovrebbero perciò giustamente essere prese come modello e fonte di ispirazione per molti cantanti, divi affermati o giovani debuttanti, del nostro, (misero?) presente.

Gli ascolti

Rosanna Carteri

Puccini – La bohème
Atto IIIDonde lieta uscì (1952)

Puccini – Madama Butterfly
Atto IViene la sera…Vogliatemi bene (con Carlo Bergonzi – 1960)

Puccini – Suor Angelica
La grazia è discesa dal Cielo (1950)

Rossini – Mosé
Atto IIAh! D’un’afflitta il duolo…Calma quell’ira e cedi (con Gianni Jaja – 1956)

Rossini – Stabat Mater
Inflammatus et accensus (1972)

Verdi – La traviata
Atto IIInvitato a qui seguirmi…Alfredo, Alfredo (con Nicola Filacuridi & Carlo Tagliabue – 1955)

Verdi – I vespri siciliani
Atto VMercé dilette amiche (1960)

Gabriella Tucci

Puccini – Madama Butterfly
Atto IIUna nave da guerra!…Scuoti quella fronda di ciliegio (con Helen Vanni – 1962)

Rossini – Guglielmo Tell

Atto IIS’allontanano alfin…Selva opaca (1957)

Verdi – Il trovatore
Atto IVEcco la torre…D’amor sull’ali rosee…Miserere (con Franco Corelli – 1964)

Verdi – Don Carlos
Atto IVTu che le vanità (1968)

Verdi – Aida
Atto IIIQui Radames verrà…O patria mia (1962)

Verdi – Messa di Requiem
Libera me Domine (1963)

12 pensieri su “Serie B a chi ?!? – quarta puntata

  1. Che dire? Due colossi… Stupenda la Suor Angelica della Carteri; a mio avviso la migliore della discografia… E che dire della Tucci? Un’Aida paradigmatica… Voce proiettatissima, assolutamente “avanti” in ogni zona della tessitura, con centri benissimo focalizzati… Non ho mai ascoltato la Tucci dal vivo, quindi non so come la sua voce rendesse in teatro. Dagli ascolti si avverte comunque che è una voce non ampissima, ma sonora, ben proiettata e, quindi, “che corre” con facilità (d’altronde, nei duetti con Del Monaco dell’Aida, la voce della Tucci non scompare mai… Anzi, spesso è proprio la forza bruta di Del Monaco ad avere la peggio!!!). A mio avviso le esecuzioni verdiane della Tucci danno l’esatta misura di che cosa significhi essere una “voce verdiana” (quasi una chimera secondo il mio modesto parere). La Tucci è prova evidente che per Verdi non siano necessarie fiumane di voci… Serve “solo” una tecnica eccellente, che permetta di addolcire e sfumare laddove necessario, e declamare con forza laddove è altresì necessario… Grazie davvero per aver ricordato due grandi che meritano davvero un posto d’onore nella storia della lirica…

  2. Grazie per il ricordo e per gli ascolti di questi due autentici mostri sacri.

    Ho trovato interessante la proposta dell’Elisabetta, di estrazione decisamente lirica, di Gabriella Tucci; in tal proposito vorrei chiedere agli amministratori di questo Blog, che in genere so essere contrari alle liricizzazioni di ruoli come Elisabetta, quali sarebbero le differenze tra una Tucci, qui lodata, ed una Freni (altra grande Elisabetta “lirica”) più volte criticata, su queste ed altre pagine, per avere affrontato il ruolo.

    Mi permetto di linkare una registrazione in house dell’aria “Tu che le vanità” della cantante emiliana.

    http://it.youtube.com/watch?v=JTkWP15Q4cA

    Ancora grazie per l’articolo interessante e gli ascolti bellissimi!

  3. caro orbazzano,
    nei prossimi giorni credo andremo a singolar tenzone sulla Scignora Fregni in arte Mirella Freni.
    Sai bene che il per te “infame” ,che commentò “bravina” la Valois scaligera sono io, perchè altri in altro luogo si è premurato di “spantegarlo in giro” (come si dice a Milano). A parte il folcklore operistico il problema non è la liricizzazione del personaggio, perchè tanto per fare un esempio non esiste Gioconda o Aida più lirica di Giannina Arangi Lombardi il cui peso e la cui ampiezza erano indiscutibilmente da soprano drammatico. E lo stesso discorso vale per Elisabeth Rethberg o Maria Reining o Tiana Lemnitz.
    Il problema è che una voce di schietto soprano lirico come quella della Freni da repertorio post Verdiano non si adatta alla Valois.
    In teatro accanto a voci di peso ampiezza e consistenza verdiane la voce di Mirella Freni mostra tutti i propri limiti. Non per nulla la Freni, che ha sempre detto di guardare a Rosetta Pampanini come modello di gestione della carriera (e la Pampanini è documentato copriva cantanti come Gigli) ha sempre evitato il tardo Verdi da cosiddetto sopranone, ossia Aida (due sole volte) Ballo e Forza (solo in disco). Non sarà un caso!!!!
    Quanto all’ipotetica similitudine fra la Freni e la Tucci ti facci opresente che per tutta la carriera la Tucci ha macinato (in epoca di voci ben più sontuose e autenticamente verdiane) il tardo Verdi, la Tosca e la Butterfly.
    Per la cronaca la voce di Mirella Freni, che ho ascoltato in teatro dal 1970 era chiara argentina dolce, ma nulla aveva del soprano cosiddetto spinto. Sotto questo profilo era una “sublime mistificazione” al pari di quelle della senora Caballe. E, ma questo non è colpa di nessuna delle due, di queste mistificazioni paghiamo il pesante prezzo.

  4. Assolutamente d’accordo sulla valutazione del Verdi della Freni (a mio avviso, però, fa eccezione l’Amelia del Simone, personaggio verdiano che sta particolarmente bene alla Freni, fors’anche grazie alla lettura che ne fornisce Abbado). Un po’ meno d’accordo sono sull’analogia Freni/Caballè. La voce della Caballè è dotata di maggiore peso specifico, è certamente più ampia di quella della romagnola… La Giovanna d’Arco della Caballè è un vero e proprio must (e lì non si può certo dire che la voce della Caballè non sia ampia o ingrossata ad arte… Il suo “Sempre all’alba” presenta delle vere e proprie bordate di suono tutte sul fiato e tonde, con acuti più centrati di quelli della giocane Tebaldi, che non a caso taglia la battutta dell’impervio reb!!!), così come la sua Luisa Miller, l’unica della discografia a rispettare tutte le sottili dinamiche dello spartito (è certamente uno dei ruoli sopranili più impervi pensati da Verdi; penso soprattutto al Live della Carnegie Hall… Un’esecuzione superba… Altro che la Miller della Moffo o di Katia… Qualsiasi confronto è improponibile!!!!).

  5. per velluti,
    rispondo subito. La mia riflessione e comparazione era riferita all’accento relativo al tardo Verdi.
    Quindi Giovanna d’Arco e Luisa Miller, ossia il Verdi a cabaletta sono altra cosa.
    In teatro negli anni d’oro ho sentito sia la Freni che la Caballè che erano le dive che il massimo teatro milanese serviva al proprio pubblico più frequentemente, obliandone altre.
    Il volume era il medesimo sopratutto attorno al 1975-’76 anno in cui la Caballé cantò Norma e la Freni una Margherita di Faust di impressionante sonorità (vedi scena della Chiesa e finale). Poi i pianissimi della Caballè ammaniti al momento oppportuno creavano l’opportuno contrasto con il canto a voce piena. Ma nel Ballo in maschera febbraio 1976 (se non sbaglio) è evidente che la Montserrat gioca ad arrivare al “morrò ma prima in grazia” che amministra ed ammansisce ai suoi splendidi, ma non verdiano mezzi.
    In quegli stessi anni al concerto d’addio sentii la Tebaldi ed in Attila la Orlando Malaspina.La Tebaldi era da sfasciacarrozze, cantava con metà della sua voce (così diceva chi l’aveva sentita nella golden age, ma la voce era il doppio di quella bellissima della Caballe; quanto alla Orlandi Malaspina in Attila nel duetto con Foresto e nel concertato atto secondo aveva uno slancio ed un accento che erano ben differenti da quelli della Caballé.
    ciao
    dd

  6. Mi fa molto piacere che finalmente parliate di Gabriella Tucci,che ho l´onore di conoscere personalmente oltre ad ammirarne l´arte straordinaria.Obietto solo che anche in questo caso non si tratta di serie B.La Tucci negli Stati Uniti era considerata una diva ed anzi fu,insieme alla Steber,alla Milanov ed alla Nilsson,la vera diva del Metropolitan,molto di piú della Callas.Che poi oggi non sia ricordata come una Callas o una Tebaldi,a mio avviso é dovuto al fatto che anche mezzo secolo fa esistevano i monopoli discografici.Di fatto,negli anni Cinquanta solo la Callas,la Tebaldi,Del Monaco e Di Stefano incidevano regolarmente.Agli altri,toccavano le briciole.Questo dscorso vale anche per la Carteri,pur tenendo in considerazione la sua decisione di ritirarsi molto presto.
    Concludo prendendo spunto dall´ultima frase di Donzelli.Alle serate che tu menzioni c´ero anch´io.Potreste dedicare uno dei prossimi post proprio a Rita Orlandi Malaspina?Lei sí,insieme per esempio ad Oriana Santunione,é una tipica cantante definita a torto di serie B,come del resto tra i tenori il povero Flaviano Labó…
    Saluti

  7. rita orlandi malaspina è in cantiere!
    quindi non ti rimane che aspettare.
    Il termine serie b, forse lo abbiamo già detto, è ironico!!! proprio perchè incidevano solo callas e tebaldi ( e sino al 55 la steber e la milanov per RCA, ma con commercializzazione solo USA) vennero a torto giudicate di serie b.
    Molti anni fa alla radio Anita Cerquetti, dopo un ascolto della Stella se ne sortì, nel suo splendido italiano con la frase ” Ah ridatece Antonie!!!”.
    Questo è lo spirito di queste riflessioni.
    Tornassero veramente quelle oneste, preparate, serie cantanti saremmo a teatro felici e contenti tutte le sere. Sono queste signore le regine le dive, che sognamo per i nostri palcoscenici oggi calcati da pin up, aspiranti fotomodelle e registi di bassa lega brechtiana che francamente ci hanno …….. r.o.t.t.ooooooo!!!

  8. Ringrazio tutti per gli interessanti commenti. Volevo sottolineare come il titolo “Serie B a chi ?!?” sia proprio un’esclamazione ironica a sottolineare quanto queste dive fossero grandissime cantanti, per nulla serie B. Negli anni della loro attività forse potevano essere messe in ombra dai meriti o dalla fama di qualche collega, ma restano comunque delle grandissime cantanti alle quali tributare il giusto onore.

  9. Ringrazio Domenico Donzelli per la cortese risposta.

    Capisco la tua posizione anche se continuo a pensare che la Freni, conscia dei suoi limiti (lei stessa racconta sempre che alla generale del Don Carlo a Salisburgo sarebbe voluta fuggire, per timore di essere inadatta al ruolo), grazie ad una grande tecnica (soprattutto per quanto riguarda l’immascheramento e la proiezione del suono), e grazie alla collaborazione con i grandi direttori che l’hanno accompagnata in questo ruolo, sia comunque riuscita a creare una “sua” Elisabetta, magari distante dall’originale verdiano, ma comunque plausibile e a suo modo storica ancora oggi.

    P.S. “Bravina” è un po’ troppo…dai… :-) soprattutto pensando che per un’Elisabetta così oggi (ma anche all’epoca) ci spelleremmo le mani!

  10. Per DD: c’è da dire che il Verdi di Luisa Miller è però già un Verdi che preannuncia molto dell’ultimo Verdi (mi riferisco soprattutto all’ultimo atto della Luisa, vero capolavoro del teatro verdiano…). Per quanto concerne la Caballè, tu fai riferimento agli anni di una Caballè oramai “silver”, non certo “golden” (gli anni golden della Caballè sono 68-max 75, almeno secondo il mio gusto personale). Ecco: la Giovanna è, mi pare, anno 1971 (cito a memoria), mentre la Luisa della Carnegie Hall è addirittura 68 (sempre se non erro). Per non parlare poi della splendida Elisabetta della Caballè, quella diretta da Giulini, sempre appartenente alla fase “golden” della Caballè (improponibile il confronto con la Freni, a mio parere almeno…). E’ vero, il contrasto di dinamiche – nelle esecuzioni della grande catalana – è sempre di grande efficacia; sarà pure una forma di “inganno” (io preferirei impiegare il termine di tromp l’oeil; secondo me rende meglio l’idea), ma che inganno, però!!! Una sorta di mistificazione che è, però, essa stessa arte… A trovarla oggi una cantante che sa giungere a quel livello di “mistificazione”!!! Come dimenticare il miracolo di quella voce che, in “Non pianger mia compagna”, riesce a fare tutta l’arcata di “Ti seguirà il mio cor” senza mai prendere fiato, dal pp al ff per tornare poi di nuovo sul pp? Mi sia concesso dire: altro che la Freni… Tra parentesi: per la Freni sarebbe stato impossibile legare in quel modo un’arcata così lunga, dato che – come ha avuto modo di sostenere lo stesso Mageira in un volume dedicato alla ex-moglie – la stessa Freni era conscia di non essere dotata di fiati lunghi e arcate ampie, e che spesso doveva trovare il modo (oserei dire l’escamotage) di non soccombere di fronte a frasi lunghe (d’altronde, confrontando la romanza del III atto dell’Aida della Caballè con quella della Freni appare già chiaro il nocciolo della questione: la Freni prima del do, che non riesce ad eseguire in ppp, come espressamente richiesto da Verdi, interrompe l’arcata con un’orrida presa di fiato. La Caballè, come tutti sanno, quasi schiaffeggiando e umiliando quasi tutte le precedenti esecutrici, una delle poche eccezioni è proprio la suprema Arangi Lombardi, non solo riesce ad eseguire il do in ppp, ma senza prendere fiato, almeno già dal mib che dà inizio alla fase ascensionale… Un miracolo!!!! E non regge nemmeno la questione della sala d’incisione, come ha recentemente malignato, malevolmente, qualche “critico”: anche l’Aida della Freni è in sala d’incisione… Eppure non riesce a fare quello che fa la Montserrat!!!). Come testimoniano i casi della Tucci, della Arangi Lombardi, della stessa Sutherland, la cui Desdemona è, a mio parere, strabiliante, per fare bene Verdi non è necessario avere per forza voci torrenziali… Solo quello dà dei veri e propri aborti… E’ l’aderenza della musica alla parola e alla linea d’emissione che fa una grande cantante verdiana (la “parola scenica”), a prescindere dal peso specifico della voce, che pure è rilevante in taluni momenti delle opere verdiane, per il momento scenico particolare (e la Tucci, la Caballè, la Arangi Lombardi non saranno state voci alla Dimitrova, alla Mancini o alla Malaspina, ma comunque correvano in teatro, altro che… Come dimenticare il finale del Don Carlos dell’Arena di Verona della Caballè? Un si acuto che si mangia orchestra e orchestranti, tenuto per più di 20 secondi… Una colonna di suono purissimo eppure vibrante, sonoro, pieno… Scusate, ma che volete di più?)… Cose di un altro mondo!!!

  11. Grazie mille per aver messo questo post sulla Tucci e la Carteri. La Tucci, ancora non la conoscevo ed ora cercherò di colmare la lacuna, mentre la Carteri è una cantante che ho conosciuto con il dvd de La Rondine di Puccini, e da quel momento ho iniziato a cercare tutti i suoi dischi (pochi purtroppo) che era possibile trovare in commercio (a proposito dove avete trovato lo Stabat Mater?). In lei ho trovato una cantante di un’intensità drammatica sconvolgente, e, considerato che adoro Puccini, è diventata una delle mie favorite in assoluto. In Suor Angelica è straordinaria, ma, se è possibile, lo è ancor di più nelle due arie più famose di Liù, “Signore ascolta” e “Tu che di gel sei cinta”: lì tocca delle vette emotive assolute, non penso che un essere umano possa andare oltre (in quelle due arie è persino superiore alla Callas!). Dispiace constatare che oggi non sia ancora famosa quanto merita, ma sono sicuro che le verrà fatta giustizia al più presto.
    Nel mio piccolo l’ho citata in un libro che ho scritto da poco, si intitola «Lucio – Episodi della vita di un ‘eretico’». Tra i vari temi che tratto, ricorre spesso la musica, in particolare Puccini, del quale ho ripreso anche alcune idee drammaturgiche. Inoltre ho cercato di scagliare una pietra contro l’immondezzaio musicale attuale; non so che diffusione avrà il libro (è la mia prima opera), ma mi farebbe piacere che spronasse qualcuno a ribellarsi alle schifezze che propone la tv.
    http://nonsolopaologiordano.blogspot.com/

Lascia un commento