E poi le due interpreti rossiniane non ebbero in Pesaro la fama e la presenza che la loro arte avrebbe meritato. Corsi e ricorsi storici si potrebbe dire.
Il concerto che per il bicentenario della nascita di Rossini offrirono al Teatro dello Châtelet è stato uno dei tanti del tempo. Per una certa generazione di ascoltatori era la norma e la regola. Sia il programma decisamente ricco e vario e con qualche novità come Martine Dupuy, che affrontava il rondò di Elena della Donna del Lago o l’inserimento alla fine della barcarola “Giorno d’orror” di una delle cadenze delle Marchisio, sia le modalità tecniche ed espressive aderenti a quello che doveva essere la poetica rossiniana. Poetica rossiniana che nella sua compiuta realizzazione, muoveva da un controllo dell’emissione e dalla qualità del suono per rendere poi, sempre nell’imprescindibile rispetto della grammatica, il senso del personaggio e della situazione. Era per quella generazione di cantanti imprescindibile la correttezza dell’emissione, l’inserimento di varianti ed abbellimenti, che conseguissero il duplice risultato di esprimere il personaggio ed esaltare l’esecutore ed interprete nel contempo, perchè in nessun autore come Rossini il legame esecutore-interprete è così imprescindibile. E per la coeva generazione di ascoltatori, allora come nel 1830, non si poteva pensare un’esecuzione che non fosse prima di tutto vocalmente e musicalmente “bella”. Era talmente imprescindibile e impensabile che non fosse così che per questa generazione è impensabile ed inaccettabile un Rossini che non sia prima di tutto vocalmente bello, esatto e preciso.
Fin qui la presentazione di Donzelli, che, come alcuni di noi, ha avuto la ventura di assistere a questa e altre serate simbolo della Rossini-Renaissance. Quelle vere e non quelle finte. Ma chi, vuoi per l’età troppo tenera, vuoi perché in altre faccende affaccendato, non abbia sentito dal vivo le signore Cuberli e Dupuy, e oggi ascolti questi brani per la prima volta, che impressione ne ricaverà?
In fondo la registrazione poco toglie e poco regala alla performance: delle due la più avvantaggiata è Lella Cuberli, dal vivo penalizzata per il volume vocale ridotto, mentre il nastro è meno clemente con Martine Dupuy, il cui acuto risulta a tratti un po’ spinto. Certo, per chi abbia in mente gli ultimi – in senso assoluto, c’è da temere – cimenti di celebrate rossiniane odierne, rose e fiori. Così come alcuni suoni fiochi e calanti della Cuberli sembrano brillanti e precisissimi se paragonati a quelli di recenti Folleville e Bianche e un po’ meno recenti Semiramidi, anche e soprattutto pesaresi.
Quello che il nastro documenta fedelmente, e che è il vero portato storico del canto delle signore, è l’interpretazione, intesa non già come alternativa al canto di scuola, bensì come suo principale scopo e conseguenza. La vocalizzazione di forza, la precisione del virtuosismo, la dinamica mobilissima non sono fissazioni da melomani ottusamente conservatori, ma il solo modo di rispettare, nell’esecuzione, la poetica rossiniana, fatta – soprattutto nel Rossini tragico che di questo concerto costituisce l’ossatura – di slanci incandescenti, ma sempre calibratissimi, e languidi abbandoni, in cui il cantante occupa il centro della scena, a dispetto di registi e direttori che spesso si fanno scudo della supposta volontà dell’Autore solo per non farsi eclissare da chi sta sul palco.
E che i cantanti oggi accettino simili pretese, e riducano Rossini a un compitino da svolgere, nel bene o nel male (ma quasi sempre nel male), senza interesse per variazioni e cadenze, con l’unica preoccupazione di “giocare in difesa” e portare a casa la pelle, è per il pubblico, almeno per un pubblico che non si fermi all’epidermica simpatia per giovani buttati allo sbaraglio nell’arena rossiniana, una sofferenza non minore di quella procurata da sistematici squittii in acuto e gravi regolarmente intubati. Già, perché nel frattempo Rossini è diventato un autore da saggio d’accademia o da debutto di carriera. – AT
G. Rossini
Tancredi – Atto I: Tu che accendi…Di tanti palpiti – link alternativo
L’Assedio di Corinto – Atto III: Giusto Ciel, in tal periglio – link alternativo
Tancredi – Atto I: L’aura che intorno spiri – link alternativo
Il Viaggio a Reims – Atto unico: Partir, o ciel! desio – link alternativo
La Donna del Lago – Atto II: Tanti affetti – link alternativo
Bianca e Falliero – Atto I: Sappi che un rio dovere – link alternativo
Semiramide – Atto II: Giorno d’orror – link alternativo
Zelmira – Atto I: Perché mi guardi e piangi – link alternativo
Lella Cuberli – soprano
Martine Dupuy – mezzosoprano
Henry Lewis – direttore
Parigi, Théâtre du Châtelet
14 dicembre 1992
Ho il solito problema di download con le arie… comunque a me la Dupuy proprio non piace… sempre afonoide, suoni brutti, acuti spinti, stecche… mi sembra paradossale citarla dopo la prosopopea sulla bellezza dell’emissione ecc…
Ho aggiunto link alternativi per tutti i brani… e ti consiglio di ascoltare la Dupuy, caro Musicofilo, perché la voce sarà stata modesta (caratteristica comune a tutti o quasi i protagonisti della Rossini-Renaissance), ma quanto alla tecnica le si potevano muovere ben pochi appunti… le stecche e i suoni brutti, duri e forzati io li trovo piuttosto nel canto della Aldrich, della Barcellona, della Pizzolato etc.
Buon ascolto.
Caro musicofilo “sturati le orecchie”… La voce della Dupuy non è semplicemente ben emessa… E’ bellissima!!!! Saresti così gentile da citarmi un esempio di stecca della Dupuy? Posseggo moltissime registrazione della grande francese, e a memoria non rammento nessuno degli infortuni da te citati. Il suo Malcom è semplicemente il migliore del disco (nemmeno la Horne è arrivata a coniugare così bene elegia, pathos, lunare rapimento e vorticoso virtuosismo); il suo Romeo è paradigmatico, vera quintessenza del canto belliniano; il suo Orsino è stratosferico (ricordo uno spettacolo a Bologna… A fronte di una Ricciarelli abbastanza in difficoltà, la Dupuy non solo canta divinamente il brindisi, concluso da un do sovracuto di una bellezza raggiante, ma ha anche il coraggio di bissarlo, interpolando un secondo do sovracuto… Ti prego, citami qualche esempio attuale capace di cotanta meraviglia!!!). Afonoide la Dupuy? E la Ganassi cos’è? E la Barcellona? L’emissione della Dupuy è OGGETTIVAMENTE perfetta… E’ stata la vera erede della Berganza, a cui la lega soprattutto il timbro chiaro e opalescente e la vellutata naturalezza dell’emissione, tutta sul fiato, tutta facile e morbida, ma da cui la distanzia il volume, di certo maggiore… Il tuo commento richiama alla memoria una acuta storiella di Trilussa, quella della lumaca che pensa di passare alla storia per la traccia mucillaginosa che lascia dopo aver camminato sul millenario obelisco!!!
Proprio a Malcolm pensavo (La Scala 1992)… e lì i suoni afonoidi non si contano. I più imbarazzanti sono quelli nell’ingresso di Malcolm per il finale primo. In “su amici, amici guerrieri” che pena… e anche nell’Adelaide non brilla per pienezza di voce. Anche alcune sue variazioni tal volta mi sembrano fuoir luogo, perché portano lontano dalla linea originale, troppo lontano…
Poi ammettere l’afonia della Dupuy non vuol dire automaticamente che la Ganassi e la Barcellona siano migliori… mai detto e mai pensato. Certo timbricamente la Aldrich e la Pizzolato sono molto più dotate. Ora ascolterò i brani postati e vediamo se riusciranno a farmi ricredere.
Che il timbro della Dupuy fosse poco attraente, può anche essere. Ma la scarsa vaghezza timbrica non incide sulla perizia tecnica. Ed è qust’ultima che occorre in Rossini (e in ogni repertorio, ma soprattutto in Rossini). Comunque, dovendo trovare esempi di voci timbricamente maliose in campo mezzosopranile, penserei non già alle star della prossima Zelmira (una delle quali mi ricorda la sirena di un’ambulanza), bens’ a Ebe Stignani, a Irina Arkhipova e a Grace Bumbry.
Indicare la Aldrich e la Pizzolato come timbricamente dotate mi sembra fuori luogo. Soprattutto pensando a quest’ultima a che servirebbe un timbro se poi si risulta una piccola Baltsa vocalmente (così mi era parsa nell’Ermione).
La Dupuy ha sempre sofferto delle incisioni ufficiali e dei loro metodi di registrazione. Ma credo che vi siano sufficienti registrazioni in-house a testimoniare la morbidezza del canto della Dupuy, l’emissione da vera belcantista, il gusto praticamente perfetto e la sua saldissima tecnica.
Avevamo pubblicato a suo tempo l’aria del II atto di Malcolm da una recita del 1990, ti invito ad ascoltarla musicofilo, ma con attenzione e di ascoltare con attenzione anche la Aldrich e la Pizzolato, le cui emissioni sono veristeggianti in confronto alla Dupuy, per la quale basterebbe un solo ascolto del Romeo Montecchi a smentire quanto da te detto.
Caro Musicofilo,
tu non hai mai sentito la Dupuy in teatro.E ne dai prova in quanto affermi.
A parlare della sua afonia è solo un noto sicario radiofonico, che ha solo motivi personali per esprimersi……
In quegli anni l’afonia era forse di altri, e comunque non nella misura in cui tu lo affermi.
Nessun cantante afonoide avrebbe potuto trionfare in quel modo, perchè il palato del pubblico di allora non lo avrebbe consentito e quel palato non aveva nulla a che fare con quello odierno. Il pubblico di Rossini in particolare era di certo il più esigente e vociomane. Ed infatti oggi non và pressochè più a teatro….oggi, che l’afonia impera in ogni registro.
Ti dò ragione circa il fatto che il disco della Philips della Donna scaligera sia orrendo, e faccia alla Dupuy un pessimo servizio.
Provvederemo presto a farti sentire il live della Scala, ed avrai la misura del tuo errore.
Trionfi simili in quegli anni sarebbero stati impossibili per cantanti afonoidi.
Come pure non sarebbe stato possibile cantare Arsace per tante sere ( direi che siamo nell’ordine di grandezza della Horne come numero ) senza avere il registro basso…..
a presto
Ho ascoltato qualche brano da voi postato. Su certi punti (gusto, bellezza di emissione…) continuo a non concordare. Sì… c’è una bella differenza col Malcolm scaligero anche se i SI del rondò di Elena mi sembrano gridati. E’ pur vero che io posso affidarmi solo ai dischi: la Dupuy è sparita dalle scene piuttosto presto, diciamo quando ero poco più che fanciullo. Direi anche che la carriera della Dupuy è stata piuttosto corta. Forse la sua tecnica (che comunque è uno dei suoi punti di forza) non è stata sufficiente a conservare quel poco che la natura le ha dato.
Corta una carriera durata dal 1975 (che poi è stata la rivelazione internazionale al concorso di Peschiera del Garda, perché la signora cantava già da alcuni anni piccole parti all’Opéra di Marsiglia) al 2000 (e forse dimentico qualcosa)? Tutto è discutibile e criticabile, ma che la carriera di Mademoiselle Dupuy sia durata poco è, scusami, una sciocchezza. Auguro a tutte le cantanti attualmente in carriera una carriera “corta” come la sua. Quale poi sia stata la ragione del suo addio alle scene, credo attenga non solo e non tanto al declino vocale (che è anche nella natura delle cose: gli anni passano per tutti, anche per quegli artisti che ci sembrano invulnerabili ed eterni), quanto a problemi di natura privata che non è il caso d’indagare in questa sede.
A me personalmente gli acuti della Dupuy nel rondo di Elena mi paiono portentosi per pienezza di suono, timbratura e squillo, non vorrei che certe orecchie confondano gli acuti “troppo” squillanti con gli urli, che sono altra cosa. Il registro grave poi è molto più ortodosso di quello tutto trafficato e gutturale della Horne fine anni 70.
Non conosco la Aldrich e la Pizzolato è una sottodotata baroccara che vuole farsi una carriera al di fuori del barochismo e ci prova con Rossini. Ma la Pizzolato in Rossini può fare solo la comprimaria : Azema, Albina, Tisbe, Zaida ecc…già Berta colla sua aria dell’ultimo atto è parte per lei troppo ardua.
Cantare Arsace dal 1980 al 1997 mantenendo almeno fino al 1995 lo standard delle esecuzioni su livello alto-storico non è da pochi e non è neanche da carriera breve.
Mi chiedo in effetti, come ha ricordato giustamente la Grisi, quanto sulla Dupuy abbia influenzato la damnatio memoriae di determinati giornalisti. E’ sicuramente una delle cantanti che più hanno sofferto di tale scempio.
Continuo a non condividere i tuoi rilievi, che potrei condividere solo prendendo come unico grande mezzosoprano realmente valido Ebe Stignani.
Semolino: su Youtube c’è la cabaletta del primo duetto di Favorita cantata da Kate Aldrich e…Roberto Alagna… Se vuoi sentirla… a tuo rischio! 😉
Saluti, AT
Ah però non così corta allora… mai rintracciato nulla della Dupuy ante metà anni 80′ nè post metà anni 90′. Mi dispiace che abbia lasciato per problemi di natura privata… gli esiti della Donna del lago ’92 mi avevano fatto pensare ad un abbandono per usura del mezzo.
In effetti abbiamo divergenze inconciliabili. Dire che Il trionfo del tempo e del disinganno è mostruoso, che la Pizzolato è una sottodotata, che gli acuti della Dupuy sono squillanti e non gridati… niente… proprio orecchie diverse!
Forse non apparteniamo neppure alla stessa specie
Ah, dimenticavo… volevo chiedere a Velluti di spiegarmi l’oscura analogia tra la favola di Trilussa della lumaca (che non conosco) e il mio commento sullla Dupuy. Je ne comprends pas °_°
Mi piacerebbe sapere qual è il parametro oggettivo e indiscutibile che sancisce la “bellezza” di una voce… Secondo quale parametro la voce della Dupuy è “poco dotata”? Bubbole!!!!
Preciso e puntualizzo: mostruosa è la recente esecuzione madrilena del Trionfo (Rey Genaux Mijanovic Davislim – McCreesh), non certo l’oratorio in sé. La Pizzolato non mi pare una sottodotata, semmai una normodotata che non sa proiettare bene la voce e che, di conseguenza, esibisce centri assai smilzi e strilla in acuto. Il confronto con la Dupuy non si pone neppure.
Caro Musicofilo, te la spiego subito… Può capitare, talvolta, che qualche critico si illuda di passare alla storia solo perchè ha criticato un grande. Tale critico ritiene che, semplicemente parlando male o a sproposito di un personaggio veramente storico, egli possa passare alla storia così come il personaggio di cui disquisice. Ma – dice Trilussa – questo è un tentativo vano… Da qui parte la metafora, invero efficacissima (come tutte quelle del cinico scrittore romano… Un vero colosso della letteratura italiana!).
Dubito che una cantante che grida gli acuti riuscirebbe ad aggiungere due sicurissimi do ai due do scritti da Rossini nella Scena delle catene di Falliero, cantata con un tempo ampio e sfiancante. E dubito anche che sarebbe riuscita a coronare il rondò di Cenerentola con un trillo sul si naturale.
Francamente poi non riesco a capire l’eccezionalità della Pizzolato, che quest’estate a Pesaro nell’Ermione era sicuramente la meno peggio, ma ciò non toglie che ricordasse una piccola Baltsa con tanto di gravi aperti e acuti striduli (e questi striduli per davvero!).
Interessante dibattito, che mi fa pensare ai versi di una cleebre satira dell’Ariosto “Degl’uomini son varii gl’appetiti…”, vale a dire: i gusti son gusti!
Quanto a me, nel rispetto delle altrui preferenze, mi provo ad aggiungere qualcosa di mio a tente voci, prima ancora di ascoltare questo recital, che non conoscevo e per il cui dono non posso che ringraziare gli amici del “Corriere”, ormai da me eletti al ristretto Gotha dei miei personali benefattori.
Io ho ascoltato svariate volte dal vivo sia Martine Dupuy che Lella Cuberli. Non starò a dettagliare i motivi che allora e oggi suscitarono la mia ammirazione per queste autentiche fuoriclasse, cui ritengo sia forse arrisa una fama leggermente inferiore ai rispettivi meriti.
Quel che mi lascia lievemente perplesso nelle note di presentazione, è il riferimento a voci “piccole”, ciò che contrasta nettamente con i miei ricordi. Sarà perchè gran parte degli incontri con queste artiste (in special modo per la Cuberli) ebbero luogo nella vecchia Fenice di Venezia, sala che vantava un’acustica eccezionale, ma francamente non ho mai avuto l’impressione di voci di limitata espansione. Piuttosto direi che si trattava di artiste che, saggiamente, “cantavano con metà della loro voce”, ciò che al momento opportuno suscitava effetti di esaltante contrasto quando gonfiavano le gote allorché il momento drammatico lo richiedeva. Anche la voce della Horne, per dire, era tutt’altro che enorme, anzi! Però ricordo i meravigliosi duetti con la Cuberli in una leggendaria edizione veneziana del Tancredi (1983, in cui a tratti pareva di udire le voci più grandi, enormi e belle del mondo…
Voglio dire (ma via, questo lo sapete meglio di me) che la “grandezza” di una voce non è sempre di per sé indice di “grandezza” del cantante. Tanto per dire, la voce più enorme che io abbia mai udito in vita mia (una cosa davvero impressionante) era quella del baritono Giuseppe Scandola. Beh, non direi si tratti di una voce passata alla storia…
Gabriele Brunini
Grazie Gabriele per il tuo intervento. Le voci delle signore non saranno state enormi (non erano rispettivamente, tanto per parlare con franchezza, la Cerquetti e la Stignani) ma si espandevano, come dici tu, e “correvano” con facilità straordinaria. Il saggio principio “si canta sugli interessi e non sul capitale (vocale)” era poi legge, ma prima ancora buona norma di prudenza e indizio di oculata amministrazione del patrimonio medesimo.
Assolutamente d’accordo con Lele Bruni… Sulla Cerquetti voglio dire che sarà stata certamente una voce sontuosa e ampia (almeno così la documenta il disco), ma con acuti invero problematici, troppo stretti e a lama di coltello. Sulla Dupuy che dire… Io trovo la sua voce timbricamente fascinosa, forse non “bella” nel senso “canonico” (ma quale sarà poi sto canone…), sempre e comunque espressiva (ed è ciò che rende davvero “bella” una voce… Se non c’è espressività, non c’è vita, ergo non c’è bellezza)
Ora l’ho capita. Ma mi sento pochissimo lumaca comunque. Non ne avevo gli intenti e le pretese. Dicevo solo il mio parere su quello che testimoniano i dischi.
Caro Musicofilo, mi sembra che gli ascolti qui e altrove proposti testimonino altro.
finalmente riesco a postare un commento (almeno spero). ho ascoltato dal vivo le due signore in questione e voglio qui ribadire la mia sconfinata, totale e assoluta ammirazione per due artiste ingiustamente etichettate da certa stampa e di conseguena da una parte del pubblico, come cantati “d’elite”. dalla donna del lago di Pesaro alla semiramide di Parigi 1990 credo ,sono state un esempio di belcanto assoluto, inteso non solo come purezza di emissione, ma di espressività e di proprietà stilistica. i loro duetti a Pesaro nel Bianca e Falliero non si dimenticano tanto facilmente…ed è solo uno deitantissimi esempi che potrei fare. saluti a tutti.