Verdi iniziò nel 1839 e concluse nel 1893, ottuagenario, la propria parabola produttiva.
La produzione occupa, quindi, un cinquantennio in un secolo che, fra il 1850 ed il 1890 si identificò esclusivamente in Verdi per il melodramma e, forse anche, per la cultura in generale.
Or bene il Festival Verdi di Parma, per erudirci e ricordarci Verdi, la sua poetica, la sua parabola culturale e compositiva ci propone quattro titoli compresi nel decennio 1842-1851, i famosi “anni di galera” principiati, appunto, con il Nabucodonosor (Scala 9 marzo 1842) e conclusisi con il Rigoletto (La Fenice 11 marzo 1851). Degli “anni di galera”, stricto sensu, due fra i più flagellati dalla critica: Giovanna d’Arco e Corsaro.
Dalla prima rappresentazione si parlò di Ernani come di un capolavoro e riprese dell’ultimo cinquantennio ci hanno anche illuminati sui Foscari e, principalmente, su Attila.
Riflettendo sulla parzialissima scelta appare, però, un tratto comune a tutti i lavori del primo Verdi, la psicologia delle protagoniste. E, oltre alla psicologia il tratto vocale, che della realizzazione drammatica è il supporto.
Amazzoni o almeno guerriere e non solo perché armate di spada e di cimiero, anche se alcune di loro non esitano ad indossarlo, più e meglio degli uomini, ma tutte disposte alla battaglia per gli ideali di cui sono fiere e certe portatrici.
Questa è la caratteristica che accomuna praticamente tutte le primedonne di Verdi da Abigaille alla duchessa Elena dei Vespri siciliani. Nessuna viene meno.
In alcuni casi armate e belligeranti anche per ideali immorali e, pertanto, condannate alla soccombenza come Abigaille e Lady Macbeth, altre volte, le più, dalla parte della ragione in quella battaglia fra Bene e Male che connota il romanticismo letterario e musicale.
Senza fare facile sociologia da salotto sono anche una generazione più “avanti” ed evoluta delle primedonne donizettiane. Mi spiego: la virago donizettiana per eccellenza, Lucrezia Borgia, uccide di veleno, e la sua degna compare Elisabetta, sia di Devereux che di Stuarda, segna condanne capitali, perché regina nell’esercizio del proprio legittimo potere, discendente da Dio.
Dilettanti davanti a Lucrezia Contarini Foscari, che arringa con il titolo di “barbaro genitore” il suocero, doge per giunta, dopo avere insultato il Senato di Venezia, dove forse siede il proprio di genitore, o ad Odabella, novella Giuditta per autodefinizione, che svela alla potenziale vittima il progetto subdolo e femminile di Ezio, già armato di veleno, solo perché lei deve uccidere di spada, paterna, precisamente; o della duchessa Elena, che incita i poco reattivi palermitani all’insurrezione contro l’oppressore e non esita, altra tentata omicida, ad alzare il pugnale sul tiranno.
Ho il sospetto, ma solo tale, che la primadonna verdiana nasca da parte del musicista dall’osservazione delle dame di rango milanesi, fossero una Giuditta Sidoli od una Costanza Arconati, piuttosto che la Maffei o Adelaide Bono Cairoli.
In fondo le guerriere verdiane, come le citate sono tutte dame (damazze avrebbe detto il Carlo Porta, che, forse, le conosceva assai meglio di Verdi, ossia ben oltre l’apparato scenico del loro lignaggio) di alto rango, quando non di rango regale e oltretutto non sono solo furie inesorabili e vindici, ma anche spesso donne innamorate, tenere amanti. Certo i piedi non se li fanno pestare. Più facile che li pestino, se attaccate nei capisaldi della loro esistenza.
Il fatto che abbiano peculiarità, che le differenzia dalle dame della generazione operistica precedente, si riverbera sulle loro specificità vocali.
L’autentica primadonna donizettiana, per non dire rossiniana non si trovava a suo agio con la scrittura vocale di Verdi e Verdi con loro.
Il rapporto con Jenny Lind fu diffidente (vedasi corrispondenza Verdi/Muzio) e, comunque, il maestro scrisse per lei la parte più donizettiana del proprio catalogo.
Una piccola chiosa, poi, meritano i rapporti con le divine Grisi e Tadolini, papabili Lady Macbeth, poco accette a Verdi, benché la prima famosa Leonora del Trovatore e Lucrezia Contarini e la seconda, prima Alzira. All’epoca delle censure verdiane la Grisi era ormai al capolinea della propria carriera e la Tadolini (siamo se non sbaglio nel 1850) non più freschissima e, stando alla scrittura di Alzira, non certo il soprano drammatico dall’ampiezza e dal fraseggio pensato da Verdi, stando allo spartito ed ai racconti di Marianna Barbieri Nini.
Addentrandoci nelle scritture vocali delle amazzoni ci sono comunanze e peculiarità a seconda della cantante destinataria della parte o del carattere del personaggio.
Ad esempio Sofia Loewe, prima Elvira dell’Ernani e prima Odabella, piuttosto che Marianna Barbieri Nini, prima Lucrezia Contarini, Gulnara di Corsaro e Lady Macbeth erano molto dotate in basso: sia la cavatina di Elvira “Ernani, Ernani involami” che il successivo duetto con Don Carlo insistono molto nella zona grave della voce. Eppure nel terzetto seguente Elvira arriva più volte al do e quanto ad Odabella dopo tre o quattro battute, a gola fredda è chiamata al salto di sedicesima dal do acuto, per giunta munito di corona, al sin nat grave, che dell’ira del soprano verdiano è la sigla inconfondibile (vedasi entrata di Abigaille e recitativo della grande aria del secondo atto). Eppure Sofia Loewe (il cui repertorio prevedeva tutte le prime parti di Donizetti) è chiamata a languidissime fiorettature, legature continue con tanto di tessitura acutissima e scala cromatica al do acuto, con indicazione di leggerissimo e legato sugli “amati spiriti” nella seconda aria di Odabella “Oh nel fuggente nuvolo”. Quanto, poi, al Macbeth prima versione, anche privo della aria del secondo atto “ La luce langue” il registro basso è impegnato in maniera rilevante: basti pensare alla frase “ o notte ne avvolgi” della cabaletta, solo che, poi, la Lady deve eseguire una serie di sinistre fiorettature nel duetto con il protagonista, poi omesse nella versione parigina, e svettare sulla massa orchestrale nei concertati. E dulcis in fundo alla fine del sonnambulismo compare in ppp il famoso re bem. Per inciso l’ho sentito eseguire in teatro solo da Ghena Dimitrova all’Arena di Verona nel 1982.
Le problematiche vocali della Foscari sono le stesse a partire dallo slancio del recitativo di sortita con ascesa sino al si nat con tanto di salto di ottava, sulla parola “perdono” cui segue un andante fiorettato “Tu al cui guardo onnipossente” sino alla rovente cabaletta, alla impervia frase del duetto con il Doge che culmina con il do acuto di “barbaro genitore”.
Sotto questo profilo, credo che Sofia Loewe, con la Barbieri Nini, fosse, delle prime interpreti verdiane, quella tecnicamente ed interpretativamente più agguerrita e dotata, in quanto al massimo delle possibilità vocali ed espressive sia nel genere grande agitato che in quello patetico. Per rendersi conto di quanto richiedesse Verdi alla prima Odabella è sufficiente ascoltare la sortita registrata nel 1964 da Joan Sutherland o l’aria del primo atto di Montserrat Caballé. Aggiungo che nel suo “Tu che le vanità” Rodolfo Celletti immagina la di Carlo (alias la Callas) alle prese proprio con il personaggio della vergine guerriera.
Viene anche un sospetto, che Verdi, come Bellini, non sempre, complice la foga compositiva, piuttosto che un’esperienza diversa da quella degli altri grandi musicisti italiani non sempre sapesse prendere le misure con le esigenze vocali delle sue primedonne. A suffragio della tesi la scrittura vocale di Abigaille, riservata a quella che oggi definiremmo un soprano lirico di agilità, ossia la Strepponi. Se poi la Strepponi fosse già provata vocalmente o il Nabucco le abbia dato “il colpo di grazia” è difficile dirlo. Una circostanza è certa: la vera Abigaille non fu Giuseppina Strepponi, ma Teresa de Giuli Borsi, che cantò ben 47 repliche sempre alla Scala nella stagione successiva la prima e che doveva essere di inaudita resistenza fisica, oltre che cognizione tecnica, atteso che durò in carriera ben trent’anni.
Però se leggiamo quanto ha scritto Gino Monaldi su Erminia Frezzolini prima Giselda e prima Giovanna dobbiamo concludere che Verdi tenesse conto delle caratteristiche delle sue primedonne. E non dimentichiamo la scrittura di Amalia dei Masnadieri, ruolo, appunto, destinato alla Lind. Lo slancio e l’ardore insurrezionale non mancano, insito nel personaggio storico per la pulzella di Orleans, inventato per l’avventurosa ragazza rhodense, che finisce in un harem ed in vena di assoluto revisionismo, post concilio vaticano secondo, arringa i crociati con il titolo più consono che la storia regalò loro: predoni. Però Verdi evita alla Frezzolini l’uso del registro basso delle parti composte per la Barbieri Nini e la Loewe, e quando la impegna nella zona acuta (vedi rondò che chiude il secondo atto, piuttosto che la polacca “Non fu sogno” e un re bem toccato nella cavatina di Giovanna) evita l’attacco di slancio delle note acute, riservati alle altre due primedonne, con un rispetto della voce che se non è rossiniano guarda almeno a Donizetti. I due andanti di Giselda, poi, chiamano in causa la zona medio alta della voce e l’espressione dolente è molto prossima a quella di personaggi del catalogo donizettiano, che era il luogo privilegiato della prima interprete. Fra l’altro la Frezzolini doveva disporre di un controllo e distribuzione dei fiati di grandissima scuola, esaminando la linea vocale dei due passi, dove o si dispone di polmoni eccezionali o si sa “rubare” alla perfezione il fiato se non si vuole interrompere la linea musicale. E che le differenze ci siano lo ricordano le esecuzioni di una Scotto, quasi a suo agio quale Giselda, assolutamente in difficoltà vocale quale Abigaille. E fortuna, con buona pace dei suoi numerosi tifosi fra i quali non possiamo mancare, che ha tralasciato Odabella!
Gli ascolti
Giuseppe Verdi
Nabucco
Parte I – Prode guerrier…Io t’amava – Ghena Dimitrova
Parte II – Ben io t’invenni…Anch’io dischiuso un giorno…Salgo già del trono aurato – Maria Callas
I Lombardi alla prima crociata
Parte III – Dove sola m’inoltro…Oh, belle a questa misera – Cristina Deutekom & José Carreras
Ernani
Parte I – Surta è la notte…Ernani, Ernani involami – Marcella Sembrich, Montserrat Caballé
Parte I – Quel cor tentiamo…Da quel dì che t’ho veduta – Anita Cerquetti & Ettore Bastianini
Parte IV – Ferma, crudele, estinguere – Grace Bumbry, Lando Bartolini & Nicolai Ghiaurov
I due Foscari
Atto I – Tu pur lo sai – Cristina Deutekom & Jan Derksen
Atto II – Ah! padre! – Carlo Bergonzi, Maria Vitale & Giangiacomo Guelfi
Atto III – Più non vive – Leyla Gencer
Attila
Prologo – Allor che i forti corrono – Rita Orlandi-Malaspina
Atto I – Oh, nel fuggente nuvolo – Leyla Gencer
Atto I – Qual suon di passi – Maria Chiara & Veriano Luchetti
I Masnadieri
Atto II – Tu del mio Carlo…Carlo vive – Joan Sutherland
Atto II – Io t’amo, Amalia – Renato Bruson & Ilva Ligabue
Jérusalem
Atto III – Mes plaintes sont vaines – Leyla Gencer
I vespri siciliani
Atto I – In alto mare…Coraggio, su, coraggio – Maria Callas, Anita Cerquetti
Sono d´accordo con una vostra osservazione,che trovo molto pertinente.E´vero che Verdi,nella prima fase della sua carriera,a volte non valutava perfettamente le caratteristiche delle voci a sua disposizione.Un esempio di questo é per me il ruolo di Ernani,che alterna una scrittura da tenore di grazia a passi di declamato spinto,tanto che é sempre stato molto difficile per i tenori rendere entrambe queste caratteristiche con eguale incisivitá.
Saluti.
ciao
se poi aggiungo che fra le prime versioni e le definitive i miglioramenti sono notevoli (esemplare la paesanissima festa che chiude il primo atto di Simone,poi, sostituita con lo splendido quadro del palazzo degli Abati, e si che Verdi aveva già scritto grandi scene di festa come in Traviata o Vespri) viene il dubbio che spesso Verdi fosse poco attento alle esigenze dei cantanti e peggio ancora.
Quanto ad Ernani ritengo però opportuna una precisazione ossia che nelle scene di maggior furore la scrittura è piuttosto centrale e quindi può essere affronata anche da un tenore a quei tempi definito di grazie, che per essere chiari non era come gli attuali Florez e derivati.
ciao