Per la terza puntata della nostra disamina sulle grandi Artiste dei teatri italiani ed esteri l’attenzione sarà rivolta ad alcune cantanti (soprattutto le ultime due) che a tutti gli effetti hanno fatto la storia dell’interpretazione e non possiamo perciò, a scanso di equivoci, che rimarcare l’ironia del titolo, volto a sottolineare quanto le artiste proposte non siano state affatto prodotti di serie b, ma grandi cantanti e figure importantissime per la Storia dell’Opera.
Marcella Pobbe debuttò nel 1948 come Marguerite nel Faust, dopo aver copiuto gli studi vocali con Tancredi Pasero e dopo esser risultata vincitrice di numerosi concorsi lirici italiani. Era dotata di una bellissima voce da autentico soprano lirico, ed è soprattutto in questo tipo di repertorio che la Pobbe iniziò inizialmente a farsi notare. Nel corso della carriera la Pobbe fu capace di un grande eclettismo tale da congiungere a Boheme e ad Adriana Lecouvreur con l’Isabeau di Mascagni (La Pobbe si distingueva anche per la bellissima figura), Tosca, Un ballo in maschera, Trovatore, fino ad Aida, interpretata in fine di carriera. Un repertorio dunque molto vario che includeva anche Giulio Cesare, Ifigenia in Aulide, ma anche l’Orontea di Cesti e gli Ultimi quattro Lieder di Strauss, pochissimo praticati dalle cantanti italiane. La Pobbe soffrì probabilmente di questo eclettismo, che se può costituire un vanto nondimeno non sempre lascia indenni chi lo pratica, specie quando una voce di lirico autentico si spinge fino al lirico-spinto e soprattutto al drammatico. La linea musicale specie nella prima parte di carriera dunque era bella, nella più piena tradizione del vero soprano lirico, dal legato pressochè immacolato unito ad un fraseggio semplice, laddove l’espressività, sempre un pò generica nella Pobbe, era benissimo resa già dalla linea vocale, ben governata dalla tecnica. Nell’aria della Pulzella di Orleans di Tchaikosvky, pagina in genere affrontata da mezzosoprani o soprani drammatici, la voce lirica della Pobbe non è affatto a disagio nell’affrontare la tessitura centrale e centro-bassa dell’aria, in cui la Pobbe non cerca di scurire artificiosamente i suoni, ma rispettando comunque la propria natura vocale. La Pobbe non si tradisce neanche negli altri ascolti, la composta nobiltà di Elsa o la semplicità di Micaela ben vengono rese dalla bellissima voce della Pobbe, e anzi bisogna dire che non siamo certo abituati a sentire una Micaela con questo corpo di voce e capace di fiati lunghi e corone di grande effetto. Interessante è anche l’ascolto di Parisina, per molti motivi. In primis la voce è adatta per il peso vocale, e ben dovremmo ricordare oggi a che tipologia di voce questi ruoli appartengono e a che voci invece vengono oggi affidate (penso alla leggerissima Ciofi annunciata a Londra e alla sua sostituta, la petulante Siurina, voci adatte a rendere le volubili passioni di Zerlina o Despina piuttosto che le grandiose linee vocali della nobile Parisina d’Este). La preghiera è lontana dall’interpretazione della Caballè, meno raffinata, e l’espressione è forse più da Vissi d’arte, bisogna però dire che questa bellissima voce sa donare al brano tutta la nobiltà che merita il cantabile donizettiano. Inoltre questa voce non soffre nelle frasi centrali e anche dal punta di vista espressivo il risultato è molto differente rispetto a quello di una voce dura e leggera, incapace della giusta ampiezza. Solo nella cabaletta la Pobbe si lascia andare a qualche eccesso verista, qualche effetto e soprattutto qualche acuto ghermito nelle volate della parte in allegro, riconducibile al gusto e alla poca pratica di questo repertorio. Difetti decisamente perdonabili, specie in un periodo di completo travisamento dei ruoli del primo ottocento e di cantanti non solo stilisticamente ma soprattutto tecnicamente inadeguati al repertorio che affrontano.
Un posto particolare e di rilievo merita nella storia dell’Opera Virginia Zeani, cantante straniera ma di formazione e tecnica decisamente italiana. Nata in Romania, Virginia Zahan (cognome poi italianizzato in Zeani) studia dapprima in patria con il soprano di coloratura russo Lydia Lipkovskaia (che a sua volta aveva studiato in Italia, a Milano, presso Vittorio Vanzo) per poi proseguire gli studi in Italia nel 1947 con Aureliano Pertile. Il debutto arriva presto, nel 1948, con Violetta ne La traviata al Teatro Duse di Bologna, ruolo che la Zeani riprende da subito in moltissimi teatri italiani ed esteri, facendone il suo ruolo d’elezione (dal 1948 al 1973 ne canterà ben più di una produzione all’anno tutti gli anni!). Oltre a Violetta, per tutta la prima parte della carriera, Virginia Zeani si afferma nel repertorio del soprano lirico/lirico-leggero cantando in numerose produzioni di Faust, Boheme, Pagliacci, Carmen (Micaela), Manon, Elisir d’amore fino a ruoli chiave del repertorio belcantistico quali Lucia di Lammermoor, Gilda nel Rigoletto, Elvira nei Puritani (che debutta a Firenze nel 1952 riprendendo Maria Callas, produzione dove incontra per la prima volta il futuro marito Nicola Rossi-Lemeni), Amina ne La sonnambula partecipando a numerose riprese come Il conte Ory a Firenze nel 1954, La scala di seta nel 1955, Otello di Rossini nel 1960 (che canterà più volte fino al 1975), Maria di Rohan nel 1962 e Zelmira nel 1965. Voler citare tutti i ruoli di un repertorio immenso sarebbe inutilmente dispendioso, ma al lettore che ben vuole prendere coscienza dei ritmi di lavoro di una cantante solida come la Zeani e che volesse farsi un concetto di gavetta invitiamo a dare un’occhiata alle cronologie di Virginia Zeani, consultabili qui. Scorrendo queste cronologie si può notare che Virginia Zeani era costantemente presente nei teatri italiani che in lei trovavano una professionista solidissima in primis, ma anche una figura che ben sapeva stare in palcoscenico e una interprete attenta e sensibile delle opere che andava a interpretare.
Nell’arco di una carriera lunghissima Virginia Zeani, partendo dai ruoli di soprano lirico/lirico-leggero arrivò verso la metà degli anni 60, forte di un centro sicuro e di una tecnica salda, a intepretare anche ruoli da soprano lirico spinto come Tosca e Manon Lescaut e addirittura di soprano drammatico come Aida, intepretata costantemente tra il finire degli anni 60 e la prima metà degli anni 70…e con signori partner, basti pensare che nel solo 1969 interpretando Aida a Firenze e Napoli la Zeani doveva affrontare l’Amneris di Shirley Verrett prima e quella di Grace Bumbry poi…delle serate che decisamente non si dimenticano. Proprio in quest’ultima occasione possiamo ascoltare Virginia Zeani guardare a testa alta la ferina Amneris della collega americana, ribattendo alle frasi della collega con sicurezza, pur in una tessitura centro bassa molto scomoda per una voce della sua natura, dall’alto di una tecnica e di un professionismo inossidabile per cui, nonostante l’ascendenza lirico-leggera, non risulta per la Zeani un problema affrontare l’orchestrale verdiano (una difficoltà anche per voci che oggi vengono additate come pesanti…soprattutto da reggere!) riuscendo anche a effettuare delle sfumature e a fraseggiare (esemplare Pietà ti prenda del mio soffrir, dove la Zeani sfuma e cerca colori in una scena di difficoltà immane per Aida senza mai soccombervi).
Nella grande aria di Maria di Rohan, parte da grande primadonna donizettiana, la Zeani si fa apprezzare per le arcate vocali lunghissime congiunte ad un fraseggio appassionato sempre controllato da una linea vocale che non permette mai lo sfocio nell’urlo perchè governata con sapienza dalla cantante, a questo si unisce la naturale bellezza della voce che si congiunge alla malinconica melodia donizettiana in perfetto connubio che per nulla fa rimpiangere la grande Leyla Gencer. Nella cabaletta “Benigno il cielo a ridere”, eseguita con il da capo benchè senza variazioni, il permetto governo del fiato permette alla Zeani di venire a capo delle difficoltà del brano senza incappare in alcun problema, la voce brilla soprattutto nella zona acuta dove trova una grande espansione, anche le agilità della cabaletta sono eseguite bene dalla Zeani che corona il brano con un mi bemolle tenuto, di grande effetto, perfetto coronamento della grande scena che scatena il giustificatissimo entusiasmo del pubblico partenopeo che arriva persino a chiedere insistentemente un bis!
Sottovalutata ingiustamente è poi la sua Amina, che nell’entrata dispiega un fraseggio dolce, di nobile semplicità che accompagna un canto facile e solido in zona centrale all’esecuzione pulitissima dei passaggi acrobatici e alla consueta facilità in acuto.
E’ una rarità anche l’ascolto della scena della Contessa Adele nel Conte Ory, che la Zeani interpretò in una delle prime riprese del titolo a Firenze nel 1954 (la prima, se non erro, avvenne nel 1952 sempre a Firenze sotto la direzione di Vittorio Gui). Nell’esecuzione dell’aria della Contessa la Zeani si distingue nel canto di agilità e per la voce, di natura lirico-leggera, ma con un centro che per l’ascoltatore moderno è importante, vista la diversa abilità e tecnica di cantanti come la Zeani di cantare in questa zona della voce. Unico difetto di quest’ascolto, se difetto può essere, sono taluni picchettati dall’effetto un pò coccodè, altrimenti la Zeani è una Contessa meravigliosa, perfetta esecutrice dei do picchettati, che non rinuncia a fraseggiare e ad essere interprete anche in una pagina di grande virtuosismo anzi usando proprio il virtuosismo a fini espressivi.
Di grande interesse l’ascolto della sua Gilda, interpretata secondo gli stilemi della tradizione del soprano di coloratura con l’inserimento di cadenze e picchettati (escluso il mi bemolle finale cui la Zeani preferisce l’esecuzione del lungo trillo sul mi, come scritto). Questa Gilda di tradizione si esprime però tramite l’uso immacolato del legato, in una voce che ha il centro perfettamente omogeneo e saldo sia con la parte acuta della voce, al solito splendida (la Zeani smorza e rinforza a piacere in questa zona della voce, con grande facilità – capacità oggi preclusa anche alle voci più leggere, vedasi il Rigoletto di Parma), sia nelle discese al grave, sempre attenta alle prescizioni di dinamica e d’accento dello spartito della quale è fedele inteprete pur senza essere interprete di edizioni critiche o filologiche.
Parlare di Virginia Zeani senza parlare della sua Violetta sarebbe farle un torto visto che la Zeani è per merito e diritto una delle più grandi Violette della storia interpretativa, come abbiamo già ricordato e com’è facilmente consultabile dalle cronologie della cantante la Zeani ne è stata interprete praticamente ogni anno dal 1948 al 1973 ininterrottamente. La grande scena di Violetta è interpretata in maniera praticamente perfetta, la grande interprete è presente fin dalle prime battute del recitativo, per poi dare il massimo nella sezione centrale, sfumata e cantata in maniera impeccabile, con attenzione estrema alle indicazioni dello spartito, come per esempio l’espansione che Verdi prevede alla frase “A quell’amor, quell’amor” che la Zeani rende perfettamente dispiegando la voce fino a quel momento tenuta tra il mezzoforte e il piano. La cabaletta di Violetta è infine luogo per la Zeani di sfoggiare un registro acuto facilissimo e bellissimo, dai re bemolli di “Gioir”, facili e gioiosi, fino agli ultimi do ribattuti e al mi bemolle finale, perfetto coronamento di una grandissima esecuzione.
Virginia Zeani è un monumento di professionalità e coscienza artistica, per come ha gestito la sua carriera e la scelta dei ruoli e per come ha affrontato il palcoscenico, sempre con onestà e grande professionalità, la professionalità che solo i grandi Artisti hanno.
Notevole importanza nel panorama lirico italiano acquisì fin da subito Gigliola Frazzoni, soprattutto nel repertorio Verista e pucciniano, suo terreno d’elezione. Soprattutto nella prima parte della carriera anche Verdi venne praticato dalla Frazzoni, autore trascurato a favore di Puccini e degli autori del Verismo dove la voce non bellissima e il grande temperamento della Frazzoni trovavano più piena realizzazione. Celeberrima la sua Minnie, tanto da poter essere considerata il suo cavallo di battaglia, insieme a Tosca, Mimì, Butterfly, la Maddalena di Coigny dell’Andrea Chénier, Loreley di Catalani, la Frazzoni fu anche la prima interprete del ruolo di Mère Marie nella prima scaligera dei Dialogues des Carmelites di Francis Poulenc. Soprattutto nell’ascolto di Aida, in compagnia di un 64enne Giacomo Lauri-Volpi (declinante ma capace ancora di offrire più di un interessante spunto nella sua interpretazione di Radames), si apprezza l’ampiezza della voce della Frazzoni, sonora tanto da non rilevare alcun problema nell’affrontare l’orchestrale di Verdi o Puccini. Grande attenzione la Frazzoni rivolgeva alla parola, alla corretta dizione tale da favorire l’espressione del personaggio, legata sicuramente a stilemi più antiquati di molte sue contemporanee ma nondimeno cercata e resa nell’ambito di un canto che si apprezza nonostante non sempre sia perfetto, prediligendo la Frazzoni l’interpretazione e la resa del personaggio anche a discapito di qualche suono.
Negli anni 50, fra la Callas e la Tebaldi, ha avuto modo di risplendere (è il caso di dirlo) Antonietta Stella, una fra le più alte glorie del canto lirico italiano, che ha avuto modo di imporsi per più di vent’anni come grande inteprete di un repertorio vastissimo.
Nativa di Perugia, Antonietta Stella studia prima pianoforte per poi diplomarsi in Canto lirico presso l’Accademia di Santa Cecilia. Nel 1950 vince il Concorso dello Sperimentale di Spoleto, che lancia la sua carriera. Da subito infatti Antonietta Stella è artista richiestissima in Italia e all’estero. Il repertorio è da subito quello del soprano drammatico verdiano soprattutto, Leonora della Forza del destino e del Trovatore, Amelia del Simon Boccanegra. In breve tempo affronterà anche opere come Un ballo in maschera, Otello, Aida, Don Carlos, Aroldo, Violetta ne La traviata, Luisa Miller, Elena nei Vespri siciliani, approda in piena epoca callassiana (e cerquettiana) più volte anche alla Norma di Bellini e in seguito anche titoli come L’Africaine, Linda di Chamounix, Don Giovanni, La fiamma, Lohengrin, senza dimenticare Puccini, altro suo autore d’elezione, del quale è interprete rinomata di ruoli come Tosca, Butterfly (in entrambe le opere avvalendosi della direzione d’orchestra di Dimitri Mitropoulos), La fanciulla del West, Suor Angelica e il Verismo affrontato con Cavalleria rusticana, Andrea Chénier e Fedora. Il repertorio è quello del soprano drammatico e lirico-spinto, come fu quello di Maria Caniglia, ma affrontato in maniera più moderna per quanto concerne per esempio lo stile e il canto d’agilità, praticato più che decorosamente. Voce timbricamente eccezionale, sicura tanto in basso quanto in alto, omogenea, di grande ampiezza.
L’entrata di Elena, ottimo luogo per un confronto con le contemporanee Callas e Cerquetti già proposte, è esemplare nell’interpretazione della Stella, e ce ne fanno apprezzare ancor più oggi rispetto a ieri le eccezionali doti timbriche, vocali e tecniche. La voce è giustamente ampia e nobile perchè bellissima e perchè nobile è la linea vocale della Stella (ricordiamo sul podio Tullio Serafin, grande direttore d’orchestra e grandissimo accompagnatore delle Voci), notevole è il canto di agilità e la sicurezza del registro acuto, sicurissimo. Stesso dicasi dell’aria di Selika, primadonna meyerbeeriana prediletta, in quanto scrittura di tipo Falcon, da tutti i grandi soprani drammatici anteguerra, che pur interpretando magari Don Carlos e Aida non avevano problemi a cimentarsi con la scrittura di slancio e con le fiorettature che Meyeerbeer affida a Selika in questa difficile scena. Il modo in cui la Stella domina l’orchestrale e la tessitura passando da note sotto al rigo ad acuti ribattuti senza incappare in strilli o notacce, ma sempre nell’ambito di un canto dolce, espressivo, rendono l’idea della grande cantante e dell’Artista Antonietta Stella, al di là di Verdi e Puccini.
In epoca in cui Norma è oggetto di dibattiti e di performance interlocutorie (ultima l’esperienza romana, inqualificabile) ascoltare Antonietta Stella alle prese con il duetto Norma-Pollione è educativo e interessante. Nell’affrontare le note gravi, pur ricorrendo alle note di petto, la voce rimane morbida, bella, le frasi vengono scolpite senza ricorrere ad esagerazioni di sorta da finte Callas, inutili quanto ridicole. Pur a fine serata il canto della Stella è sicurissimo, svettando in acuti e risolvendo senza problemi passi come i Romani a cento a cento, pur omettendo i trilli in zona medio bassa di poco seguenti. E che dire della sicurezza del volume con cui questa Norma risponde a testa alta a Mario Del Monaco, Pollione tonitruante quanto sonoro?
Grande, grandissima Artista Antonietta Stella, bisogna ricordare ovviamente anche il suo Verdi, all’epoca abituato a voci di simile pasta, ma oggi certamente non più, per cui riascoltare la Stella nell’entrata di Leonora (dove anche le agilità, esclusi i trilli, le riescono da grande professionista), cui dona malinconia e nobiltà, ma soprattutto nell’aria di Amelia dal Ballo in maschera, è sorprendente. Amelia trova anche screziature sensuali grazie alla musica unita al timbro sontuoso della Stella, e la linea vocale è quantomai sicura, omogenea, capace di fraseggiare mai a discapito dello spartito, per il quale vi è grande fedeltà, fino alla salita al do, sicuro e splendente (e in una voce non certo poco estesa al centro e in basso) e alla seguente cadenza, resa con voce morbidissima, priva della benchè minima durezza. E in tempi in cui Balli madrileni vengono additati come grande Verdi è un dovere riascoltare Antonietta Stella per ricordarci come debba esprimersi e soprattutto come debba cantare un grande soprano drammatico e verdiano.
Gli ascolti
Marcella Pobbe
Bizet – Carmen
Acte III – C’est de contrabandiers…Je dis que rien ne m’epouvante (1960)
Donizetti – Parisina d’Este
Atto III – No, più salir non ponno…Ciel, sei tu che in tal momento…Ugo è spento (1964)
Tchaikovsky – La pulzella d’Orleans
Atto I – Adieux forets (1956)
Wagner – Lohengrin
Atto I – Sola ne’ miei prim’anni (1961)
Gigliola Frazzoni
Giordano – Andrea Chénier
Atto III – La mamma morta (1956)
Puccini – Tosca
Atto II – Vissi d’arte (1956)
Puccini – La fanciulla del West
Atto I – Laggiù nel Soledad (1956)
Verdi – Aida
Atto IV – La fatal pietra…O terra addio (con Giacomo Lauri-Volpi – 1956)
Virginia Zeani
Bellini – La sonnambula
Atto I – Come per me sereno…Sovra il sen la man mi posa (1959)
Donizetti – Lucia di Lammermoor
Atto III – Il dolce suono…Ardon gl’incensi…Spargi d’amaro pianto (1964)
Donizetti – Maria di Rohan
Atto III – Havvi un Dio…Benigno il cielo arridere (1962)
Rossini – Le comte Ory
Acte I – En proie à la tristesse (1957)
Verdi – Rigoletto
Atto I – Caro nome (1955)
Verdi – La traviata
Atto I – E’ strano…Ah! Fors’è lui…Sempre libera (1956)
Verdi – Aida
Atto II – Fu la sorte dell’armi…Pietà ti prenda (con Grace Bumbry – 1969)
Antonietta Stella
Bellini – Norma
Atto II – In mia man alfin tu sei (con Mario Del Monaco – 1956)
Meyerbeer – L’Africaine
Acte II – Sur mes genoux (1963)
Verdi – Il trovatore
Atto I – Tacea la notte placida…Di tale amor che dirsi (1960)
Verdi – I vespri siciliani
Atto I – In alto mare…Coraggio, su, coraggio (1957)
Verdi – Un ballo in maschera
Atto II – Ecco l’orrido campo…Ma dall’arido stelo divulsa (1956)
Verdi – Aida
Atto III – Qui Radames verrà…O patria mia (1958)
per curiosità e per colmare dei vuoti (uno dei tanti) ho ascoltato virginia zeani come gilda. L’ascolto dovrebbe essere dedicato alle recenti protagoniste al festival verdi di parma. Il timbro della zeani è splendido per natura, nessuna svenevolezza delle gilde (sopratutto in voga in quesgli anni dove il mito della toti imperversava) facilità in alto, ovvio, e nessuna traccia del difetto che, talvolta, la zeani avrebbe evidenziato ossia qualche centro aperto. Oggi scatenerebbe alemo 10 minuti di applausi!!!!
Credo che sarebbe opportuno riflettere sopratutto perchè la zeani dimostra la differenza fra una professionista e le principianti e le imposte che oggi circolano non solo applaudite, ma eleogiate da pubblico e critica che non sa o non vuole riconoscere le differenze.
domenico
So che il pezzo non è recente, ma leggevo i vostri pareri sulla Stella, una cantante che ho scoperto su questo blog e che dall’acquisto del Don Carlo con Filippeschi, mi ha assolutamente conquistato! La trovo superba per la voce bellissima e, soprattutto, per la sicurezza su tutta la gamma (acuti a posto e non facilmente calanti o “sgradevoli” come spesso Cerquetti, Tebaldi e anche la Caniglia, cantanti che comunque amo molto, o inesistente nei gravi come moltissime altre) e la sua dizione scolpita Si sarà capito che per me non è assolutamente di serie B XD
Non è che potreste ripostare qualcosa della sua Africana o anche solo l’aria? Vi ringrazio comunque