Molto diverso appare – ad esempio – l’approccio romantico italiano rispetto a quello del nord e centro Europa (Germania e Inghilterra soprattutto). Pur conservando i caratteri di reazione al razionalismo settecentesco, attraverso un recupero di aspetti prima ignorati o sottovalutati e tramite le suggestioni di una natura misteriosa ed evocativa (parallelamente allo sviluppo di una coscienza storica che “scopre” i secoli bui e su cui fonda le proprie fantasie), le differenze culturali e sociali legate all’ambiente hanno determinato un’incidenza particolare del romanticismo sulle esperienze nostrane. In Italia, il mancato sviluppo di un autentico spirito nazionale, l’influenza politica e culturale dello Stato Vaticano, la persistenza di una forte tradizione “classica”, e la stessa armonia di un paesaggio assai più rassicurante e “morbido” rispetto alle asperità di certi scenari nord europei, hanno necessariamente influito sullo sviluppo (rectius sul mancato sviluppo) di una vera estetica romantica (ricollegabile, cioè, a quanto Schiller, o Byron, o Shelly, esemplificavano per la loro cultura nazionale). Limitandoci alla musica, si può dire che il grande romanticismo e pre romanticismo europeo, penetra in Italia per via indiretta: non attraverso un’esplicita adesione d’intenti, ma attraverso compromessi ed adattamenti dei modelli originali. Riferendoci all’opera lirica si può rilevare che esso è più presente nei soggetti letterari dei libretti, piuttosto che nella realizzazione musicale dell’opera. I titoli di molti lavori del primo ottocento italiano derivano da opere letterarie di grandi scrittori “romantici” europei: Schiller, su tutti, poi Lord Byron e Scott. Tuttavia, una volta affidati ai librettisti, essi venivano “normalizzati” perdendo molti dei loro tratti caratteristici e spesso erano ricondotti ad un intreccio di rassicurante compostezza. Al contrario, nelle esperienze europee, veniva esaltato ciò che in Italia si tendeva a eliminare o smussare: l’irrompere di una natura selvaggia e misteriosa, quasi pagana, le passioni contrastanti, la presenza dell’irrazionale e del demoniaco, si traducevano in musica attraverso un uso evocativo dell’orchestra e delle voci. Contemporaneamente si assisteva ad un recupero della tradizione popolare che attraverso il lied, la ballata, il racconto, scardinava le strutture formali dell’opera, pur restando nell’ambito del numero chiuso.
Capostipite del genere è riconosciuto in Carl Maria von Weber, il quale con il suo Freischutz si pone a modello di tutti gli sviluppi successivi, e che verrà legittimamente indicato come il fondatore dell’opera tedesca. Già nei suoi lavori sono presenti e ben compiuti tutti gli elementi che caratterizzeranno il genere , almeno fino al Wagner di Tannhauser (e per certi aspetti fino al Tristan). Innanzitutto l’irrompere della natura che compare come forza oscura, misteriosa, spirituale (fin dall’Ouverture si percepisce l’intento dell’autore di tradurre in note il senso di timore dell’uomo nei confronti di una forza così grande, sconosciuta e, potenzialmente terribile) poi i rimandi alla tradizione popolare (il lied di Kilian, il valzer, il coro dei cacciatori, la ballata di Agathe), infine la presenza costante del sovrannaturale (che traspare sovente in orchestra, attraverso un tema ricorrente, o un accordo, o un particolare colore strumentale), sino all’apparizione notturna del demonio, in un ambientazione quasi infernale in cui la natura stessa scatena i suoi elementi in una visione apocalittica e violenta. Tutto questo riverbera nel tessuto orchestrale e nelle voci, attraverso l’uso sapiente di una ricchissima strumentazione (già sinfonica) e dei temi popolari che colorano le già variopinte melodie. A ben guardare il Freischutz, apre la strada dell’opera romantica ad un indirizzo più propriamente gotico: ambientazione cupa e notturna, personaggi malvagi o vittima di maledizioni, amori perduti, conflitti interiori, presenze diaboliche e sovrannaturali, suscitando un senso di terrore e di sublime. Mentre Weber, però, dopo aver sfiorato il genere tornerà con Euryanthe e Oberon ad un romanticismo meno macabro e più cavalleresco, fatto di un medioevo sognato e reinventato come luogo di idealità, avventura e purezza (in letteratura si può trovare un paragone in Scott), la fortuna dell’opera gotica continuerà attraverso Marschner prima e il Wagner dell’Olandese Volante poi sino alla metà del secolo.
Nato nel 1795 e morto nel 1861, Heinrich Marschner si forma musicalmente nell’ambito della temperie romantica del primo ‘800: fin da subito indicato come l’unico degno rivale (e poi erede) di Weber, strinse amicizia con Beethoven e Mendelssohn, l’eco dei quali – in particolare del secondo – si avverte chiaramente nella sua opera, sia per l’elaborata costruzione sinfonica sia per la fantasiosa ispirazione melodica. L’attenzione di Marschner, dicevo, si concentra in quel particolare aspetto del romanticismo che può identificarsi con la corrente gotica. Si ritrova nei suoi lavori quel gusto per i soggetti sovrannaturali, paganeggianti e macabri (il dilettevole orrore caro ai romantici), che tanta fortuna fecero al genere. Il suo capolavoro (e anche l’unica opera dell’autore in qualche modo sopravvissuta all’ingiusto oblio, peraltro favorito dall’ingombrante presenza wagneriana – e dei suoi osannanti accoliti – che ha fagocitato tutta la tradizione romantica precedente, ridotta a mero schizzo preparatorio della sua parabola artistica) testimonia l’attenzione di Marschner per i soggetti gotici: con Der Vampyr (1828) infatti si ha la prima raffigurazione – ispirata al folklore balcanico – del “non morto” che per continuare a vivere è costretto a nutrirsi del sangue di giovani fanciulle. Tanta fortuna avrà poi il tema sino al romanzo di Bram Stocker, che ne consacrerà il mito e lo porterà poi ad essere usato ed abusato nelle successive trasposizioni anche cinematografiche. L’opera, che conserva la struttura del singspiel (presentando i numeri musicali alternati a dialoghi recitati), si mantiene saldamente nel solco tracciato da Weber, anche se sono percepibili gli intenti dell’autore di forzare le convenzioni creando episodi omogenei e di grande tensione in cui si succedono senza soluzione di continuità ariosi, recitativi, cantabili, interventi corali. Sulla stessa linea il più tardo Hans Heiling, una cupa vicenda ambientata tra il popolo degli gnomi e il regno degli spiriti, il cui principe si innamorerà non ricambiato di una fanciulla mortale – la cui rappresentazione musicale servirà da ispirazione alla Senta di Wagner (ma tutta l’opera influenzerà L’Olandese Volante, sia dal punto di vista narrativo, sia per i dettagli musicali e per il trattamento vocale del protagonista baritono). Un ritorno al romanticismo più cavalleresco si avverte in Der Templer und die Jüdin, ispirata all’Ivanhoe di Walter Scott, e già tesa al superamento del numero chiuso verso un unico e continuo flusso narrativo musicale affidato all’orchestra (echi della partitura si avvertono persino in Lohengrin). Wagner, infatti, al di là della facile vulgata che lo vede come un lampo improvviso capace da solo di creare la “musica dell’avvenire” e totalmente svincolato dalle tradizioni operistiche precedenti, ha molti debiti nei confronti dell’opera romantica (e non solo). Già ne ho parlato nell’intervento dedicato a Die Feen, ma conviene qui ribadirlo: almeno fino a Tannhauser la musica wagneriana è fortemente influenzata, tra gli altri, da Weber, Mendelssohn e Marschner appunto (le cui opere gli erano ben note quando, in gioventù, come direttore dei teatri di Magdeburgo, Konigsberg e Riga, ne allestì diverse rappresentazioni). E in fondo che cos’è L’Olandese Volante se non una vera e propria opera gotica? Ne possiede, infatti, tutti i caratteri distintivi: l’ambientazione tenebrosa e notturna, l’amore perduto di Senta, l’apparizione demoniaca, la natura paganeggiante, la inseriscono a pieno titolo nello stesso filone del Vampiro. Stesse considerazioni per quanto concerne gli aspetti strutturali e musicali, i richiami al folklore, alla ballata e al Lied.
Una volta identificato l’ambito estetico e le radici culturali di queste opere, grave errore sarebbe – in una eventuale rappresentazione – farne dei drammi musicali ante litteram (come peraltro è accaduto e accade tuttora con Weber). La tentazione è favorita dall’errata valutazione dell’opera wagneriana, letta sempre alla luce degli sviluppi nibelungici successivi e mai inquadrata nel più corretto orizzonte romantico. Così come sarebbe un errore fare di Lohengrin, Tannhauser o, soprattutto, Olandese Volante, dei pesanti macigni consacrati a ipertrofiche orchestre e a volumi sonori e vocali tanto ampi quanto poveri di colore, ugualmente sarebbe sbagliato (anzi sarebbe ancora più sbagliato) riservare il medesimo trattamento a Marschner e al suo Vampiro, nell’erronea convinzione che la sua opera tendesse (o preparasse il terreno) agli esiti wagneriani. Lo stesso approccio vocale e la scelta degli interpreti dovrebbe tenerne conto: così come in Weber, in Fidelio e nello stesso primo Wagner, le voci istruite (o distrutte?) dai dogmi di Cosima, producono risultati inaccettabili, pure in Marschner ne sortirebbero effetti grotteschi. Al contrario, e se si riflette – come sarebbe doveroso – sui primi interpreti, su quelli, cioè, per cui l’opera è stata composta, si scoprirà che l’orizzonte stilistico del primo ottocento tedesco è completamente diverso, legato cioè alla tradizione immediatamente precedente, ancora belcantista nell’impianto e che, al di là delle differenze e delle varie forme che il romanticismo musicale assumeva nelle diverse culture, erano le stesse che cantavano Bellini, Mozart e Donizetti.
Affascinante tema.
Bravo per la sua disertazione sulle romanticismo e la sua variata experience. Trovo molto fedeli le due linee de confrontazione , a le fine , per me ,assorbiti per quelli due spugne que eri Verdi e Wagner, le due grandi e diversi paradigme romantiche.