Giulia Grisi trovò al Teatro degli Italiani a Parigi dopo il 1832, fuggitiva dalla Scala dove era stata destinata a parti di seconda donna o, comunque, all’ombra di una primadonna quale la Pasta, asilo e fama. Ed il pubblico parigino trovò la sua diva, brava e bellissima.
Diva amatissima che per oltre vent’anni fra Parigi e, poi, Londra rappresentò il paradigma ed il modello di canto italiano. La descrizione della voce è comune e concorde a partire da Scudo, Gauthier sino a Monaldi, dolce e vigorosa al tempo stesso, capace di agilità e di grande ampiezza al tempo stesso, estesa dal do sotto il rigo al do sopracuto. Insuperata nella Semiramide, che era la sua opera. Abbastanza scontata la predilezione perché Semiramide consente anche a soprani lirici d’agilità di eccellere nel canto tragico.
Il profilo drammatico era nel raffronto con le divine della generazione precedente il tallone d’Achille della Grisi, che soprano assoluto e non usurpato, non disponeva della ampiezza della zona grave che era stato della Pasta e della Malibran, tanto è che Bellini storse il naso sull’approdo della Grisi a Norma, che pure fu una delle opere da lei più cantate. Del resto il pubblico parigino non aveva udito nel titolo né la Pasta né la Malibran.
Pur soprano assoluto era o era considerata una primadonna tragica perchè mai affrontò parti di mezzo carattere, che al des Italiens erano riservate alla Tacchinardi Persiani. Anche se, è opportuno precisarlo, tutte le volte che uno spartito veniva accomodato per la divina Grisi l’inserimento di cabalette era la regola. Vedasi la Borgia e la Rohan di Donizetti.
Tutto questo, secondo le nostre idee fa pensare ad un soprano lirico di agilità. Tipo Sutherland, Anderson dei giorni nostri o Sembrich e Siems del periodo fra Otto e Novecento.
Bellini e Donizetti (non dimentichiamo che nel 1835 Giulia Grisi fu anche la prima Elena del Marino Falliero) per le opere 1835 destinate al des Italiens si attennero alle caratteristiche vocali ed interpretative della Grisi.
E se per certi versi Giulia Grisi rappresentò il superamento del soprano usurpato e il prototipo del soprano d’agilità tipo Lind e Patti, fu ben lontana dal modello del soprano di coloratura, che nel tempo si appropriò del personaggio. Spartito alla mano Elvira risplende per la capacità di eseguire il canto legato (andante del duetto con Giorgio, l’intero finale primo, la prima sezione della pazzia e il duetto finale) ed in ogni forma di canto di agilità, volate, terzine e sestine vocalizzate di sapore rossiniano, particolarmente nel duetto con Giorgio e nella cabaletta della pazzia. La Grisi, pur non essendo mai impegnata nel registro basso, non canta su tessitura astrali, né è chiamata ad emettere note oltre il do5. Ad esempio lo spartito non prevede i re bem del finale primo o i sovracuti all’unisono con il tenore, che fanno, oggi, parte della normale prassi dell’esecuzione del personaggio. Non sappiamo come si comportasse nelle aggiunte e varianti della polacca e della pazzia Giulia Grisi. Devo, però, azzardare sul presupposto che la difficoltà di reperire la coppia protagonistica limitò la circolazione dei Puritani, e sul fatto che, persino, le registrazioni di inizio secolo riportano varianti all’alto oggi in uso e, quindi, accreditate nel tempo: molte potrebbero risalire a Giulia Grisi. È, ripeto, solo un’ipotesi ( che speriamo vedere sondata dagli studiosi ), avallata anche da un altro elemento, ossia i trasporti verso l’alto che Rossini stesso predispose per la Grisi come Desdemona in Otello. La Grisi fu Elvira a Parigi per 5 volte, alla prima del ’35, quindi all’inaugurazione della stagione successiva, alla ripresa alla sala Ventadour, nel 1838, dopo l’incendio della vecchia sede, poi all’Odeon nel ’38 ( ove il cast della prima esecuzione venne interamente riproposto con un successo trionfale ), quindi nella ‘45/’46, a fianco del marito Mario, che succedette nel ruolo di Arturo a Rubini. Qualche anno dopo fu l’arrivo di un’altra primadonna fenomenale, grande virtuosa, e giustificare la ripresa dei Puritani nel 1853: Ermina Frezzolini. Quindi la bellissima Adelina Patti nel 1867, poi Emma Albani nel 1878.
Il caso di Elvira, però, ricalca quello di Amina. Ossia il carattere del personaggio, il lieto fine dell’opera dopo la follia o il sonnambulismo (che all’epoca era ritenuto una forma di delirio) attenuano la tensione drammatica, richiamano più Nina di Paisiello che non Norma e, quindi potevano essere adatti ai mezzi vocali ed espressivi dei soprani di agilità di limitata potenza drammatica.
Se pensiamo alle due protagoniste del Met antecedenti la Sutherland, ossia Maria Barrientos e Marcella Sembrich, la differenza di peso specifico e di ampiezza fra le due voci è evidente anche dagli incunaboli a 78 giri, e la stessa registrazione di Fanny Torresella compagna di palcoscenico di due storici Arturo, Checco Marconi e Alessandro Bonci, è assai simile, per peso e per volume a quelle delle più accreditate dive del dopo Callas e non certo ai soprani cosiddetti leggeri, tipo Capsir o Galvany. Ad onor di completezza ricordiamo un’altra Elvira celeberrima documentata dai 78 giri, Regina Pinkert, alla Scala come a Napoli negli anni ‘97-’98 in compagnia di Alessandro Bonci.
Diva amatissima che per oltre vent’anni fra Parigi e, poi, Londra rappresentò il paradigma ed il modello di canto italiano. La descrizione della voce è comune e concorde a partire da Scudo, Gauthier sino a Monaldi, dolce e vigorosa al tempo stesso, capace di agilità e di grande ampiezza al tempo stesso, estesa dal do sotto il rigo al do sopracuto. Insuperata nella Semiramide, che era la sua opera. Abbastanza scontata la predilezione perché Semiramide consente anche a soprani lirici d’agilità di eccellere nel canto tragico.
Il profilo drammatico era nel raffronto con le divine della generazione precedente il tallone d’Achille della Grisi, che soprano assoluto e non usurpato, non disponeva della ampiezza della zona grave che era stato della Pasta e della Malibran, tanto è che Bellini storse il naso sull’approdo della Grisi a Norma, che pure fu una delle opere da lei più cantate. Del resto il pubblico parigino non aveva udito nel titolo né la Pasta né la Malibran.
Pur soprano assoluto era o era considerata una primadonna tragica perchè mai affrontò parti di mezzo carattere, che al des Italiens erano riservate alla Tacchinardi Persiani. Anche se, è opportuno precisarlo, tutte le volte che uno spartito veniva accomodato per la divina Grisi l’inserimento di cabalette era la regola. Vedasi la Borgia e la Rohan di Donizetti.
Tutto questo, secondo le nostre idee fa pensare ad un soprano lirico di agilità. Tipo Sutherland, Anderson dei giorni nostri o Sembrich e Siems del periodo fra Otto e Novecento.
Bellini e Donizetti (non dimentichiamo che nel 1835 Giulia Grisi fu anche la prima Elena del Marino Falliero) per le opere 1835 destinate al des Italiens si attennero alle caratteristiche vocali ed interpretative della Grisi.
E se per certi versi Giulia Grisi rappresentò il superamento del soprano usurpato e il prototipo del soprano d’agilità tipo Lind e Patti, fu ben lontana dal modello del soprano di coloratura, che nel tempo si appropriò del personaggio. Spartito alla mano Elvira risplende per la capacità di eseguire il canto legato (andante del duetto con Giorgio, l’intero finale primo, la prima sezione della pazzia e il duetto finale) ed in ogni forma di canto di agilità, volate, terzine e sestine vocalizzate di sapore rossiniano, particolarmente nel duetto con Giorgio e nella cabaletta della pazzia. La Grisi, pur non essendo mai impegnata nel registro basso, non canta su tessitura astrali, né è chiamata ad emettere note oltre il do5. Ad esempio lo spartito non prevede i re bem del finale primo o i sovracuti all’unisono con il tenore, che fanno, oggi, parte della normale prassi dell’esecuzione del personaggio. Non sappiamo come si comportasse nelle aggiunte e varianti della polacca e della pazzia Giulia Grisi. Devo, però, azzardare sul presupposto che la difficoltà di reperire la coppia protagonistica limitò la circolazione dei Puritani, e sul fatto che, persino, le registrazioni di inizio secolo riportano varianti all’alto oggi in uso e, quindi, accreditate nel tempo: molte potrebbero risalire a Giulia Grisi. È, ripeto, solo un’ipotesi ( che speriamo vedere sondata dagli studiosi ), avallata anche da un altro elemento, ossia i trasporti verso l’alto che Rossini stesso predispose per la Grisi come Desdemona in Otello. La Grisi fu Elvira a Parigi per 5 volte, alla prima del ’35, quindi all’inaugurazione della stagione successiva, alla ripresa alla sala Ventadour, nel 1838, dopo l’incendio della vecchia sede, poi all’Odeon nel ’38 ( ove il cast della prima esecuzione venne interamente riproposto con un successo trionfale ), quindi nella ‘45/’46, a fianco del marito Mario, che succedette nel ruolo di Arturo a Rubini. Qualche anno dopo fu l’arrivo di un’altra primadonna fenomenale, grande virtuosa, e giustificare la ripresa dei Puritani nel 1853: Ermina Frezzolini. Quindi la bellissima Adelina Patti nel 1867, poi Emma Albani nel 1878.
Il caso di Elvira, però, ricalca quello di Amina. Ossia il carattere del personaggio, il lieto fine dell’opera dopo la follia o il sonnambulismo (che all’epoca era ritenuto una forma di delirio) attenuano la tensione drammatica, richiamano più Nina di Paisiello che non Norma e, quindi potevano essere adatti ai mezzi vocali ed espressivi dei soprani di agilità di limitata potenza drammatica.
Se pensiamo alle due protagoniste del Met antecedenti la Sutherland, ossia Maria Barrientos e Marcella Sembrich, la differenza di peso specifico e di ampiezza fra le due voci è evidente anche dagli incunaboli a 78 giri, e la stessa registrazione di Fanny Torresella compagna di palcoscenico di due storici Arturo, Checco Marconi e Alessandro Bonci, è assai simile, per peso e per volume a quelle delle più accreditate dive del dopo Callas e non certo ai soprani cosiddetti leggeri, tipo Capsir o Galvany. Ad onor di completezza ricordiamo un’altra Elvira celeberrima documentata dai 78 giri, Regina Pinkert, alla Scala come a Napoli negli anni ‘97-’98 in compagnia di Alessandro Bonci.
Gli ascolti
Bellini – I puritani
Atto I
O amato zio…Sai com’arde in petto mio – Joan Sutherland & Justino Diaz (1963)
Son vergin vezzosa – Fanny Torresella (1902), Beverly Sills (1974), Mariella Devia (1985)
Ah! Vieni al tempio – Maria Callas (1952), Leyla Gencer (1961)
Atto II
O rendetemi la speme…Qui la voce sua soave…Vien diletto – Joan Sutherland (1966), Maria Barrientos (1905)
Atto III
Finì, me lassa…Vieni fra queste braccia – Christine Deutekom & Alfredo Kraus (1972), June Anderson & Rockwell Blake (1987)
Ah! Sento, o mio bell’angelo – Joan Sutherland (1963)