Non è stata serata divertente, né di grande musica, né di grande canto. Ma nemmeno una cattiva serata. Direi, piuttosto, una serata insignificante, anche perché l’opera, che dell’aiuto dei signori esecutori necessita, non ha trovato alcun interprete in grado di trasmetterci alcunché.
La barca, e nel caso del Corsaro possiamo ben dirlo, era guidata dalla bacchetta di Carlo Montanaro. Il maestro, questa volta, non ci ha sconvolto come in quel di Milano, nella Traviata u.s.. Ha gestito bene l’orchestra come il rapporto con i cantanti, senza quegli sfasamenti e scollamenti che suscitarono tanto dissenso a Milano. L’orchestra mi è parsa avesse tempi e colori idonei alla partitura ed ai cantanti. Non ho udito una direzione travolgente o particolare, ma un buon mestiere, amministrato in uno spazio in cui la gestione delle sonorità è di certo anomala e non facile, anche se nel preludio il suono dell’orchestra, complice lo spazio, era decisamente sgradevole.
Quello in cui è mancato il maestro Montanaro,come tutte le odierne bacchette, è stata la capacità di guidare i cantanti su uno stile che fosse in generale meno provinciale ed ordinario, saper pretendere da loro una cifra stilistica meno generica, in alcuni casi anche un po’ volgare, di quella udita. Maria Callas e Carlo Bergonzi, oltre ad avere in comune una registrazione di Tosca hanno l’opinione che ai parmigiani piacce sentire cantare forte ed a squarcia gola.
La distribuzione degli applausi nel corse ed a fine serata lo ha confermato ed ha confermato come il pubblico abbia ben poco chiara l’idea che un sifatto melodramma, anche per la sua provenienza letteraria abbia rapporti molto stretti con Donizetti, salvo poi, l’arrivo delle marce, bande e raddoppi verdiani, specie nelle strette.
Dei quattro primi interpreti, del resto, nessuno era adatto al ruolo sostenuto. Tutte voci leggere, di poco corpo ( forse il baritono era quella sulla carta migliore “ in arnese “…), non verdiane. E qui siamo andati davvero sul “mignon”, tanto che dubito che in un teatro di normali dimensioni avrebbero sortito lo stesso esito positivo, accordato dal pubblico.
Il protagonista, Salvatore Cordella, ha diviso i migliori consensi con il collega Salsi. Non lo abbiamo trovato a Bergamo nell’annunciata Favorite, cui sarebbe assai più idoneo per timbro e peso specifico. Lo abbiamo ritrovato qui, in una parte centralissima, ad impersonare un romantico corsaro, bel tenebroso da romanzo ottocentesco, solitario, introverso e spavaldamente eroico, con una presenza scenica un po’ limitata, ma, in particolare, una evidente inadeguatezza al ruolo. Ha cantato correttamente, con una voce che però non può non suonare molto chiara a chi sia avvezzo a qualche voce tenorile verdiana, troppo chiara per la scrittura vocale ed il personaggio. La centralità della parte su un tenore, che sarebbe da operismo precedente gli ha causato qualche cambio di intensità del suono, difficoltà anche nei primi acuti, risolti piuttosto con la dote naturale.
E nonostante la “comodità” della parte Cordella è stato molto piatto, nella cavatina di sortita che per scrittura e situazione drammatica richiama Ernani ed anche nel duetto con Medora dove sono mancati gli accenti, la dinamica e le sfumature che competono all’amoroso romantico e che nella scrittura di Corrado non creano le difficoltà di un Fernando o di un Edgardo.
A sostenere la terribile Gulnara, ruolo predisposto per Marianna Barbieri Nini, prima Lucrezia Foscari e Lady, la signora Dalla Benetta, soprano leggero di voce non bella, talora davvero stridula in alto perché piegata della parte di grande vigore. Una maggiore attenzione del costumista le avrebbe giovato a dare maggiore nobiltà d’aspetto alla sua Gulnara, una nobiltà che nel canto davvero latitava, ancor più che per difetto tecnico ( qualche strillo in questi ruoli c’è sempre ….) per mentalità, per concezione del canto, dello stare in scena e, forse, del suo personaggio, un po’ troppo volgare nell’ancheggiare e troppo poco romantica eroina innamorata. Il pubblico l’ha apprezzata nella misura in cui, lo abbiamo detto mille volte, il gusto presente è quello dello strillo forte e sonoro. Ma il soprano drammatico di agilità da Verdi è altro, non grida ma in sourplesse canta con vigore, dà senso alla coloratura scomoda, accenta ben diversamente i duetti…
Quanto al signor Luca Salsi, Seid, ci sembra giusto ricordare che nella invocazione a Maometto del secondo atto, il personaggio richiama addirittura il Maometto rossiniano e che nel terzo atto la grande aria, preceduta da uno splendido recitativo (richiamo di quelli del precedente Macbeth), ripropone la situazione di altre coppie “ con problemi di rapporti ” (!) vuoi donizettiane vuoi belliniane. In più i personaggi sono nobili, vivono secondo un certo codice etico e si esprimono secondo un certo linguaggio. Morale: certi accenti del parlato, suoni più grossi che penetranti e ben sistemati nella maschera, e ben sostenuti dalla respirazione inficiano la resa del personaggio. Anche Verdi avrà i suoi torti, però…..!
Peraltro il limitatissimo spazio del teatrino Verdi di Busseto è rivelatore della tecnica di canto degli esecutori chiamati ad esibirsi. A distanze ravvicinate appare evidente che tutti indistintamente soprano drammatico, tenore e baritono credono che la respirazione professionale, quella che consente il fantomatico “ sostegno” o “appoggio” debba essere praticata talvolta e solo quando debbano essere eseguite frasi di lunga durata o di tessitura scomoda. Conseguenza quanto sopra detta, che si risolve, poi, in canto forzato e monotono ed in realizzazioni del personaggio limitate ed incomplete.
Sempre dal privilegiato osservatorio del teatro mignon si è potuto osservare che Irina Lungu, pratica un poco di più una corretta respirazione. Anche lei non sempre e con costanza, però, e questo in una parte che di fatto è di soprano centrale e, forse, converrebbe ad un mezzo acuto soprattutto nel duetto e nel terzetto finale ha messo in rilievo suoni nella zona grave piuttosto ovattati, che si ripercuotono sul legato e sull’intonazione nella zona altra della voce (la migliore della Lungu). Irina Lungu dovrebbe essere impiegata in quelle che un tempo erano chiamati i soprani assoluti. Tipo Fanny Tacchinardi Persiani.
Allestimento gradevole, semplicemente olegrafico, pur nello spazio angusto del piccolo teatro Verdi, ove la possente architettura di una nave o la suggestione di un harem potevano soltanto essere schizzati. Le distanze ravvicinate svelano gli arcani del palcoscenico, dei costumi, delle scene, del trucco degli artisti, insomma, tutti i dettagli che i teatri normali velano agli occhi dello spettatore, trasformando la simulazione in illusione scenica. E questo è un altro limite del fare teatro in questo piccolo ma elegante spazio bussetano.
Corrado SALVATORE CORDELLA
Medora IRINA LUNGU
Seid LUCA SALSI
Gulnara SILVIA DALLA BENETTA
Selimo GREGORY BONFATTI
Giovanni ANDREA PAPI
Un eunuco ANGELO VILLARI
Uno schiavo ANGELO VILLARI
Maestro concertatore e direttore CARLO MONTANARO
Regia LAMBERTO PUGGELLI
Scene MARCO CAPUANA
Costumi VERA MARZOT
Luci ANDREA BORELLI
Maestro del coro MARTINO FAGGIANI
Gli ascolti
Verdi – Il corsaro
Atto I
Tutto parea sorridere…Sì, de’ Corsari il fulmine – Carlo Bergonzi
Egli non riede ancora…Non so le tetre immagini – Barbara Frittoli, Mariella Devia
Atto II
Nè sulla terra…Vola talor dal carcere…Ah! Conforto è sol la speme – June Anderson, Maria Dragoni
Atto III
Vieni Gulnara – Renato Bruson & Angeles Gulin
Seid la vuole…Schiava son io, corsaro!…La terra, il ciel m’aborrino – Angeles Gulin & Giorgio Casellato-Lamberti
Voi tacete…Per me infelice…O mio Corrado, appressati – Rosalind Plowright, June Anderson & Alfonso Navarette
Tanti eccellenti ascolti ma è impossibbile fruirne! Si può fare qualcosa? Grazie
Pazientate, cari lettori, ci stiamo lavorando…
Stupenda la Anderson nella parte di Gulnara… Una meraviglia senza confronti (altro che la “SBRAGONI” postata a mo’ di confronto!!!)… Rende quasi credibile la parte (il che ce ne vuole!!!). Ho sempre reputato la voce della Anderson una voce piuttosto chiara, ma non l’ho mai sentita in teatro, ergo la mia era un’idea meramente astratta. Ma sentendola in Gulnara ci si accorge che si tratta di una voce di peso, che svetta sull’orchestra con una facilità oserei dire sutherlandiana… Che spettacolo è? Che anno? Avete ricordi in merito? Vi avete assistito?
Perchè nessuno risponde?
E’ una recita del 1982 a San Diego. Personalmente non vi ho assistito.
per velluti
mi hai offerto la possibilità di una piccola riflessione, ossia ripensamento sulla anderson.
Quanto 1982 uscì e divenne subito famosa ( e come poteva accadere diversamente) non mi piaceva troppo la trovavo noiosa quale fraseggiatrice, brava ma non strepitosa come virtuosa. Insomma preferivo sia pure molto, molto meno dotate una Serra o una Cuberli.
Certe prove fine anno ’90 (Norma o Trovatore) potevano definirsi disastrose o quasi, riferite ad una cantante di fama quasi planetaria ed alla quale era stato “permesso” molto. La Anderson era specilizzata nell’andersene sbattendo la porta, magari fra un atto e l’altro.
Poi il tempo passa e in questo ultimo anno mi è capitato di risentire June.
Quanto ha scritto, con riferimento al recital di Aix, GG è pensiero condiviso. Ed un recente concerto parigino conferma che al momento June Anderson è ancora una grandissima cantante d’opera.
L’infelice e miserella Anna Erisso pesarese, la stentata Gulnara bussetana, e prevedendo nel breve giro di un anno o due la ripresa di molti titoli del primo Verdi, non solo al festival a ciò deputato, ma anche nel massimo teatro italiano portano a concludere che il soprano di Boston sarebbe insostituibile ed esemplare nei panni delle eroine del primo Verdi.
Anche adesso over 55 e con qualche suono duro ed un poco fisso.
ciao
domenico
Assolutamente d’accordo con DD