Parma ha inaugurato ieri sera il suo Verdi Festival con la riproposizione di quello che da molti è considerato il titolo meno riuscito dell’intera produzione verdiana, la Giovanna d’Arco.
Proposta ardita, in quanto l’opera, carente in inventiva musicale e struttura drammaturgica, necessiterebbe di essere gestita da un cast di straordinario livello, protagonista in primis. Protagonista che , ad onta della storia intepretativa recente, che annovera esecutrici discografiche somme come la Caballè, meno nobili e precise come la Ricciarelli, brave quanto improbabili come la Devia, dovrebbe appartenere al novero dei soprani drammatici, o comunque a quelle che Donzelli ha indicato come “amazzoni” verdiane. Ed invece la Direzione artistica di Parma, fedele al Verdi liricizzato e….“mignon” odierno, e facendo anche di necessità virtù, ha affidato questa parte ostica ad una cantante poco adatta al reale peso vocale di Giovanna, il soprano Svetla Vassileva, sortendone un risultato discutibile e, di fatto, apertamente discusso dal pubblico del loggione.
Quello che pare il Kharma di questo ruolo, impervio, di scrittura vocale difficoltosa e pergiunta, alla fine, avaro di successo e soddisfazione per le interpreti, ha preso forma di nuovo ier sera. La Vassileva ha lottato duramente per domare una parte per lei, soprano appena lirico leggero, davvero troppo pesante per esigenze di accento, ampiezza di fraseggio, estensione sul pentagramma e lunghezza, sortendo effetti alterni, plausibili soltanto a tratti. La voce del soprano bulgaro, infatti, è inadatta in primo luogo per colore e spessore, al ruolo di Giovanna: i suoi connotati timbrici naturali si confanno piuttosto a Gilda che non alla drammatica Pulzella guerriera. Suoni gridati negli acuti estremi per la propensione a cantare sul forte – fortissimo,“ spingendo” con tutta evidenza la voce, e numerosi piani – pianissimi, il più delle volte sporchi, o malfermi perchè privi del necessario appoggio, sono stati i due modi del canto della Vassileva. Esito che sortisce chi canta una parte troppo pesante, gonfiando la voce al centro in maniera artificiosa, che dà luogo ad una dinamica….finta, fortissimo – pianissimo, che è meglio di niente, certo!, ma fallace, soprattutto se le forze vengono meno con l’andare della serata, e si finisce ad urlare sul forte e con i piani rotti. Stavano a disagio in questo ruolo voci ben più importanti e corpose come la Ricciarelli, cui la critica ancora sveglia del 1972 si premurava opportunamente di consigliare parti più liriche e non di siffatto peso drammatico al fine di garantirsi una carriera duratura( ! ).
Sicchè, era logico immaginare che la Vassileva finisse per franare sotto il peso del concertato atto II, “ Contro l’anima percossa”, cantato con voce davvero stridula, tanto da causare i primi manifesti sbuacchiamenti, e nell’atto III, che richiede maggior ampiezza di voce, qualità di legato e fiato nell’”Amai ma un solo istante”, e maggior freschezza nella stretta veloce, eseguita invece con voce fissa per la stanchezza. Tutto ciò ha poi dato licenza ai signori del loggione di contestarla apertamente all’uscita singola allorquando il soprano ha lanciare la spada in terra per la stizza ….! Ingiusto, perche in fondo il pubblico di Parma aveva già tollerato gli acuti striduli e le note spinte l’anno passato, in Traviata ed in Boheme, dove, a rigore, non giocava al gioco della rana e il bue come ieri sera.
Di fatto la Vassileva ha retto giusto il recitativo di ingresso ma poi già all’aria sono subito arrivate le difficoltà, ossia i forti troppo forti, i piani in chiusa pericolosamente velati e la cadenza orrendamente….miagolata.
Peccato, perchè và riconosciuto alla Vassileva che le idee interpretative c’erano anche: l’idea pareva quella di una Giovanna lirica ma anche isterica, sentimentale e sofferente, irruente e tragica. I momenti migliori sono stati la scena III dell’atto primo che precede il duetto con Carlo, davvero ben risolta, come l’“Oh fatidica foresta”, e buono anche il duetto con Carlo, a meno sempre della solita insistenza sul forte in alcuni passaggi. Alla fine, però, la sua Giovanna non ha convinto, e questo perchè le “amazzoni” verdiane sono fatte così: se il soprano non ha il peso vocale sufficiente la parte finisce per schiacciare la cantante, una vera sopraffazione dove questa può solo urlare sin tanto che l’agognata fine dell’opera non sopraggiunge. E con questa…i legittimi fischi! Ed il futuro porta nuvole nere e dense sui prossimi impegni di questa signora che ha “sveltamente” intrapreso la via del drammatico di agilità verdiano……….
Non ho potuto fare a meno di pensare all’immensa saggezza di direttori che tanto tempo fa suggerirono ad un monumento vocale e tecnico di nome Giannina Arangi Lombardi di non cantare questo titolo, che non valeva l’onere della prova………o alla storia ottocentesca di Giovanna d’Arco, smarrita per più di vent’anni una volta dismessa da quel mostro che fu la Frezzolini, per una ripresa della Stolze, soprano assolutamente drammatico nel 1867, ed alla Patti nel 1871, soprano formalmente lirico d’agilità, ma regolarmente Norma e Semiramide. Ad ogni modo, tutte toccate e fuga! Chissà perchè?!
Quanto al resto del cast, Ewan Bowers non è stato all’altezza della parte di Carlo. Improbabile scenicamente perchè privo sia della regalità necessaria per sembrare un re che della figura idonea all’amoroso, non è stata in grado per un solo momento di uscire dall’anonimato, regolarmente sopraffatto dalla Vassileva e da Bruson. La voce, del resto, pare collocata in gola, perfettamente ovattata e ferma sul palco. Il solo acuto scritto, nell’aria di ingresso, perfettamente ragliato ed indietro, in una organizzazione vocale non professionale. Le voci gestite nella maschera hanno ben altra sonorità, proiezione e legato. Persino il timbro è insignificante. La scena finale, poi, “Chi più fedel amico”, si è distinta per la noia letargica che trasmetteva.
Parlare di Renato Bruson dimenticandone l’età sarebbe ingiusto. La voce, infatti, manca quasi del tutto nel registro alto, oscilla con evidenza al centro, spesso suona nasale, sul piano si sfuoca e và indietro, perchè… l’età è oggettivamente straordinaria. Ciò nonostante è stato il mattatore della serata. Dopo un bellissimo recitativo di ingresso ( per avere la prova di come Bruson appartenga davvero ad un altro e diverso mondo dell’opera basta l’esecuzione dei recitativi a dimostrarlo…) ha sofferto nell’aria del primo atto, quella di tessitura più acuta, dove le frasi “ Chiedo tra voi pugnar” sono state cantante davvero con fatica e senza la voce giusta. Ma in ogni momento in cui la tessitura era gestibile ed il canto aveva una connotazione lirica e patetica, il leone dava la sua zampata, sommergendo tutti con il suo antico talento. La seconda aria, infatti, di tessitura centrale, è stata eseguita con accento dolente e patetico tanto intenso che Bruson ha strappato una grande ovazione dal pubblico. La sola della serata! Alla scena di Giovanna, all’inizio del III atto, ha letteramente umiliato la Vassileva con I suoi interventi, sebbene con voce malferma. Che dire? Altra origine, altro mondo, altra concezione del teatro lirico, altra preparazione.
Sul podio un direttore amatissimo e stimatissimo da chi scrive, Bruno Bartoletti. Ha diretto con perizia, tempi esatti e consoni al palcoscenico, cercando di dare senso ad una partitura talvolta davvero povera di inventive, e dove è facile sfociare nel fragore quarantottesco. Non ci sono nevrosi nella Giovanna di Bartoletti, ma sobrio vigore, colore ottocentesco da Italia preunitaria, ritmo, e momenti lirici intensi, ariosi ampi ed eleganti……Verdi permettendo ! Forse alcuni sfasamenti con il coro e I solisti, ma tutto efficace e di qualità.
Spettacolo bellissimo e ben riuscito di Gabriele Lavia. Un allestimento tradizionale, mirato al buon gusto ed alla sobrietà, pur nell’evidente richezza di mezzi, costumi in primis. Goticismi sobri, retti da cromie calde, marroni e bronzi; una foresta romantica e a tratti un po’ alla Zhang Yimou, con un albero gigantesco e suggestivo che si colora di viola; una battaglia con ombre cinesi su un fondale rosso; creature fantastiche e costumi medioevaleggianti, ricchi di contaminazioni rinascimental-borgognone, ed una regia sobria, molto incentrata sulla protagonista, sempre in calzoni, stivaloni e spada, acconciata come la Giovanna d’Arco della Bergman. Insomma, una produzione elegante, che ha suscitato il ppieno aprrezzamento del pubblico.
Personaggi Interpreti
Carlo VII EVAN BOWERS
Giacomo RENATO BRUSON
Giovanna SVETLA VASSILEVA
Delil LUIGI PETRONI
Talbot MAURIZIO LO PICCOLO
Maestro concertatore e direttore BRUNO BARTOLETTI
Regia GABRIELE LAVIA
Scene ALESSANDRO CAMERA
Costumi ANDREA VIOTTI
Maestro del coro MARTINO FAGGIANI
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Gli ascolti
Verdi – Giovanna d’Arco
Prologo
Sotto una quercia parvemi…Pondo è letal, martirio – Flaviano Labò (1972)
Oh, ben s’addice…Sempre all’alba…Son guerriera – Renata Tebaldi, Carlo Bergonzi & Rolando Panerai (1951)
Atto I
Franco son io, ma in core…So che per via di triboli – Mario Sereni (1972)
O fatidica foresta – June Anderson (1996)
Ho risoluto…Dunque, o cruda…Vieni al tempio – Margaret Price & Carlo Bergonzi (1985)
Atto III
Un suon funereo…S’apre il ciel – Katia Ricciarelli, Flaviano Labò & Mario Sereni (1972)
Tanti eccellenti ascolti ma è impossibile fruirne! Si può fare qualcosa? Grazie