Ha curato edizioni critiche di melodrammi italiani quali La traviata di Verdi e Adina di Rossini. Attualmente sta preparando l’edizione dei Puritani di Vincenzo Bellini, opera di debutto del catanese sul prestigioso palcoscenico del Théâtre des Italiens di Parigi, il 24 gennaio 1835. Questa edizione, ancora non pubblicata ma già in stato avanzato di lavorazione, sarà utilizzata per la prima volta a Bergamo il prossimo 12 ottobre, nell’ambito del Festival Donizetti; I puritani saranno messi a confronto con Marino Faliero, che fu invece l’opera di debutto, sempre a Parigi, nella stessa stagione e nello stesso Théâtre Italien, di Gaetano Donizetti.
L’attività del filologo musicale ha un fascino ed un richiamo cui il Corriere della Grisi non sa resistere, e quindi Giulia Grisi ha incontrato Fabrizio Della Seta che, gentilissimo e disponibilissimo, ha risposto al fuoco di fila delle domande. Sia specifiche sui Puritani sia generali sul lavoro del filologo.
GG Può spiegare qual è il significato di una edizione critica?
FDS La prima domanda che chiunque si pone davanti ad una edizione che si definisce “critica”, soprattutto di un’opera molto nota, è che cosa vi sia di nuovo. Si aspetta che essa contenga qualcosa di assolutamente sorprendente e rivoluzionario per la conoscenza del testo musicale. Il più delle volte la novità non è così evidente. Utilizzo un paragone, per essere chiaro: quando si restaura un dipinto, salvo che non si abbia la rara fortuna di scoprirne un altro sotto la pellicola pittorica o di svelarne sostanziosi ripensamenti, in realtà ciò che vediamo prima e dopo il restauro sono colori e sfumature differenti, nuovi particolari spesso minuti; l’insieme non è diverso da quello che già conoscevamo, ma l’effetto complessivo sì, e molto. Ciò è di grande importanza per conoscere l’autore e la sua poetica, ma soprattutto per apprezzare il valore estetico del dipinto. Lo stesso vale per un’opera: può capitare di trovare pezzi prima sconosciuti, può capitare di cambiare alcune note o alcuni accordi rispetto a quelli delle partiture usate in precedenza, ma la parte più lunga e difficile del lavoro consiste nel ragionare su e dare coerenza a quelle migliaia di segni (legature, accenti, coloriti dinamici) che, nel loro insieme, permettono di offrire un’interpretazione diversa e più smagliante rispetto a quelle tradizionali. In questo lavoro è di estrema importanza il riferimento alle fonti originali; quando c’è, l’autografo del compositore, che però non deve essere mitizzato: esso non è un testo sacro, non contiene la verità definitiva e incontrovertibile (anche perché i compositori commettevano errori come chiunque altro); è solo la traccia più diretta del pensiero dell’autore, ma per arrivare al pensiero la traccia deve essere interpretata, valutata nota per nota, segno per segno.
GG Quindi proprio nessun mistero svelato riguardo a questa partitura?
FDS Nella nuova edizione dei Puritani sono stati ripristinati almeno tre passaggi che mancavano nelle partiture tradizionali. Mi limito a illustrare il più significativo: nel Finale del primo atto, il terzetto tra Enrichetta, Arturo e Riccardo comprendeva una sezione lenta, iniziante con le parole “Se il destin a te m’invola”, che venne eseguita a Parigi nella prime rappresentazione e tagliato, per motivi di durata, nelle successive. Nell’autografo sono visibili le prime tre battute di questo brano, il resto è stato rimosso, non sappiamo se da Bellini stesso, e non ne abbiamo al momento trovato traccia. Tuttavia, nella versione per Napoli, Bellini copiò questo passo, adattando la parte di Riccardo per tenore; lo studio di questa versione mi ha consentito di offrire una ricostruzione plausibile di come doveva essere la versione originale, con Riccardo baritono. Attenzione: non dico che ora è obbligatorio eseguire questa sezione, che da una parte è bellissima, dall’altra, indubbiamente, rallenta il ritmo drammatico; dico solo che ora è possibile farlo, se lo si ritiene opportuno, in una determinata esecuzione.
GG L’edizione critica, in opere della grande tradizione italiana inerisce anche a varianti degli esecutori, almeno quelli della prima?
FDS Quando tali varianti esistono, ovviamente sì. Nel caso dei Puritani, il fatto che Bellini sia morto pochi mesi dopo la prima fa escludere che egli abbia messo mano a rifacimenti, modifiche e riscritture (al contrario di quanto accadde per quasi tutte le opere precedenti). Bellini si limitò ad alcuni interventi, documentati su partiture predisposte per esecuzioni di poco successive la prima, ma non riguardano le parti vocali, bensì aspetti importanti di strumentazione, di agogica e di dinamica. E qui mi fermo: non mi faccia anticipare quanto illustro nel saggio contenuto nel programma di sala di Bergamo. Né si conoscono varianti attribuibili alla Sua omonima, a Rubini, Tamburini eccetera. Naturalmente, anche quello che è successo nella storia successiva di un’opera, sia vivente l’autore sia dopo la sua morte, è di estremo interesse storico e pratico; questo tipo di studio implica però una ricerca lunga e complessa. Per rispondere alla sua domanda, posso dire che ci sono studiosi che hanno esaminato e continuano ad esaminare vari tipi di fonti, fra i quali sono di particolare interesse i quaderni manoscritti appartenuti a grandi cantanti dell’epoca, che contengono le varianti che essi erano soliti adottare. L’edizione delle opere di Bellini che condirigo prevede di raccogliere un buon numero di tali varianti, per tutte le opere, in un volume che dovrebbe essere pubblicato come appendice, alla fine del lavoro.
GG Quindi Bellini non approntò modifiche nella parte vocale successive alla prima parigina, però c’è la famosa versione napoletana per Maria Malibran
FDS La questione è davvero complessa ed interessante. Molte cose sono già note, anche perché la versione Malibran è stata rappresentata, sia pure 150 anni dopo la composizione, ed è disponibile in CD. Questi Puritani nascono prima di quelli parigini. Bellini spedì a Napoli la partitura prima che fosse pronta ed ultimata la versione del Théâtre Italien. Infatti è una versione poco rifinita rispetto a quella che tutti conosciamo. Questo autorizzerebbe, nei passi non modificati, ad utilizzare la versione del Théâtre Italien anche nell’esecuzione della versione Malibran. È comunque chiaro che Bellini considerava questa versione non come una alternativa normale a quella parigina, ma come un’operazione concepita su misura di una grandissima cantante, e quindi proponibile solo colla presenza di questa. A conferma di questo, ricordo che, trattando per una rappresentazione a Palermo, successiva a quella di Parigi, egli raccomandava a Florimo di utilizzare la versione del Théâtre Italien.
GG In pratica Bellini fece, prima della prima, quel lavoro di accomodo che era tipico dell’epoca. Come predispose le varianti per le due versioni?
FDS In vari modi. Per alcuni brani, come il grande duetto tra Elvira e Arturo e il finale, egli stese di sua mano una nuova partitura. Ma la cavatina di Riccardo fu affidata a un collaboratore, che non si limitò a trasporla ma la riorchestrò interamente. Per la scena della pazzia di Elvira Bellini si limitò a scrivere l’armatura della nuova tonalità, una terza sotto quella originale per la Grisi, e le note iniziali della melodia, il resto lo lasciò a un altro collaboratore che portò avanti il lavoro. Quanto poi al famosissimo duetto che chiude il secondo atto della versione parigina, non è presente in quella napoletana in due soli atti, ma non certo per motivi estetici o drammatici: semplicemente, Bellini riteneva che, per le sue implicazioni politiche (“Bello è affrontar la morte Gridando libertà”), esso non sarebbe mai stato permesso a Napoli. Più tardi, inviò a Florimo una copia del duetto originale, concepito per Tamburini e Lablache, affinché avesse a disposizione una partitura completa della versione originale.
GG Gli “accomodi” per la Malibran sono tutti verso il basso, tenuto conto di questo però la polacca”Son vergin vezzosa” è identica in entrambe le versioni. Non le sembra strano?
FDS Io parto dal presupposto che i compositori italiani sapessero in primo luogo ben scrivere per le voci. Era il requisito di base del loro mestiere, ed evidentemente Bellini sapeva che quel passo (che come è scritto non oltrepassa il si) era adatto alla voce di entrambe le prime donne; se così non fosse stato, non lo avrebbe mai fatto cantare dalla Grisi, che invece proprio con esso mandò in delirio il pubblico. Quanto alla frase spesso citata, nella lettera del 21-22 dicembre 1834, in cui il compositore dice a Florimo di aver composto quel brano pensando alla voce della Malibran, a me pare evidente che deve essere intesa come una captatio benevolentiae nei confronti della cantante, come un modo per indorarle la pillola di non aver scritto espressamente per lei una cavatina di sortita, che effettivamente le aveva promesso a più riprese ma per la quale, scrive, “situazione … non ve n’è nel libro”.
GG Tradizionalmente I puritani vengono indicati come un lavoro musicale fortemente innovativo nel catalogo di Bellini e non solo. La sua opinione in proposito?
FDS È un’opinione fondata, per vari motivi. Primo di tutti la strumentazione. Il Théâtre Italien per Bellini, come per Donizetti, doveva essere il trampolino di lancio per arrivare all’Opéra, come era accaduto per Rossini. Si sente tanto l’influsso del Tell, che Bellini stesso dichiara essere stata la sua Bibbia; ciò non toglie che Bellini, come del resto Donizetti, sia un musicista di una generazione successiva a quella di Rossini, e che nella sua musica si avverta una sensibilità diversa rispetto a quella del Pesarese. Io ricordo spesso ai miei studenti che tra la Semiramide ed Il pirata passano solo quattro anni, ma la differenza di gusto è epocale. Più o meno lo stesso si può dire confrontando il Tell e I puritani. Non dimentichiamo poi che a Parigi Bellini poté ascoltare per la prima volta alcune sinfonie di Beethoven, da cui fu molto colpito.
Un altro influsso notevole che secondo me Bellini subì, una volta a Parigi, è quello del brillante stile orchestrale dell’Opéra Comique, per esempio delle opere di Hérold e di Auber. Meno, direi, quello di Meyerbeer, di cui ebbe sicuramente modo di ascoltare Robert le Diable.
Altri aspetti importanti di novità linguistica dei Puritani riguardano l’impiego di motivi ricorrenti attraverso la partitura, che non hanno solo una funzione “di reminiscenza” ma anche “architettonica”, e soprattutto l’uso delle tonalità. L’opera inizia e termina in Re maggiore, in Re maggiore sono anche la cavatina di Arturo e la polacca di Elvira, ovvero le due sortite dei personaggi (perché questa è la logica della polacca), e nella parallela Re minore sono due momenti di grandissima drammaticità quali la tempesta che apre il terzo atto e l’intervento di Riccardo “ Cavalier, ti colse il Dio Punitor de’ tradimenti”, nel finale terzo. Non è certo un caso: utilizzare una calcolata architettura tonale era la norma nel Settecento, per esempio per Mozart, ma non per Rossini e gli altri compositori italiani del primo Ottocento, che osservavano scrupolosamente l’unità tonale di un singolo numero, ma non nella successione dell’intera opera.
Tornando al discorso di prima sulla versione Malibran e la versione Grisi, credo si possa dire che una è legata al desiderio di scrivere per una diva, forse la più famosa del momento, che poteva essere un buon veicolo per la propria notorietà, e qui siamo nella più autentica e normale tradizione italiana, l’altra, invece, nasce dal desiderio di affermare la propria originalità, di dimostrare di essere il primo compositore italiano, ben inteso dopo Rossini, e questo è un atteggiamento decisamente innovativo, che porta diritto a Verdi.
GG Lei ha nominato Rossini, ne ha ricordato l’influsso, c’è una lettera dove si auspica l’intervento e l’ausilio del maestro. La sua opinione in proposito?
FDS Rossini, che, ricordiamolo, era quasi il direttore occulto del Théâtre Italien, è intervenuto in due fasi. Dapprima durante la composizione dell’opera: Bellini racconta nelle sue lettere di come gli facesse vedere man mano i vari pezzi, di come Rossini si mostrasse soddisfatto e gli desse vari consigli. Ma in cosa consistessero questi ultimi non possiamo saperlo, essi furono incorporati nella partitura stessa. La seconda fase, su cui posso fare solo delle ipotesi, cade dopo la morte di Bellini. Rossini, insieme ai direttori del Théâtre Italien, fornì a Ricordi una copia manoscritta autenticata dei Puritani, contenente vari tagli e modifiche. Questa copia è il punto di partenza di tutte le edizioni pubblicate da Ricordi fino ad ora, sia gli spartiti in commercio sia le partiture che si usano in teatro, e sono questi I puritani che abbiamo conosciuto per 170 anni (nel già citato saggio del programma di sala fornisco informazioni più dettagliate).
GG Il rapporto tra Bellini e Carlo Pepoli, il librettista è sicuramente ben documentato. Di che natura fu tale rapporto?
FDS Pepoli fu scelto perché c’era bisogno di un librettista italiano e a Parigi era disponibile lui, un esule politico che aveva un certo nome come letterato ma non aveva mai scritto un libretto. Con Felice Romani, il suo librettista d’elezione, Bellini aveva litigato a causa della Beatrice di Tenda. Pepoli, amico di Leopardi, non era certo un gran poeta, ma d’altronde non era questo il requisito principale per fare un buon libretto come l’intendeva Bellini. Il guaio era che in lui il letterato prevaleva sull’uomo di teatro. Era quindi capace di utilizzare un metro raffinato come la strofe saffica per l’aria di Giorgio, Cinta di fiori, ma sotto il profilo drammaturgico e pratico aveva i problemi che gli derivavano dall’inesperienza; secondo Bellini, egli non riusciva a far dire ai personaggi l’essenziale in modo chiaro e netto, senza fronzoli, insomma non possedeva il domno per quella che Verdi avrebbe chiamato molto più tardi la “parola scenica”. Ciò nonostante, e pur con molti difetti, il libretto dei Puritani è costruito bene, e il merito si deve, oltre che al dramma da cui è tratto, alla pazienza con cui Bellini riuscì a ottenere da Pepoli ciò che voleva, come è ampiamente documentato dall’epistolario.
GG Tornando a novità e differenze dell’edizione critica, quali sono le più significative tra i Puritani della prima e quelli” licenziati” da Rossini? Credo la sezione centrale del duetto d’amore e il finale…?
FDS Infatti per il duetto Bellini predispose una sezione che inizia con le parole “Da quel dì che ti mirai”, che decise di omettere già durante le prove ma che non tolse dall’autografo. Bisogna tener presente che, nella concezione operistica dell’epoca, nessun taglio era considerato come definitivo, e poteva essere riaperto in una successiva occasione. È lo stesso concetto di “versione definitiva” ad essere fuorviante: di un’opera esistevano tante versioni quanti erano gli allestimenti.
GG Il brano è stato proposto da Bonynge nell’incisione con Sutherland e Pavarotti, come pure la stretta del finale ultimo per Elvira, “Ah sento, o mio bell’angiolo”
FDS È così, ma attenzione: il duetto è stato inciso con una strumentazione che non è quella originale di Bellini; probabilmente è stata realizzata dallo stesso Bonynge a partire da uno dei tanti spartiti ottocenteschi che contengono quella sezione. Quanto alla stretta del finale, la Sutherland canta la versione di Napoli, per soprano solo, ma riportata alla tonalità parigina di Re maggiore. Il finale parigino, mancante nell’autografo e da me ricostruito sulla base di manoscritti coevi, prevedeva invece che la stretta venisse cantata da entrambi i protagonisti, soprano e tenore, per la maggior parte in seste, con una breve frase per il solo tenore. Non mi scandalizzo certo di questo, anzi, è divertente pensare che queste pratiche (orchestrazioni abusive, adattamenti alle esigenze di una diva) erano normali dell’Ottocento, e che quindi quei grandi musicisti, nella loro infedeltà all’autore, sono stati fedeli a quanto avveniva nella realtà del teatro.
GG …beh, questo Bonynge è un vero genio, diciamolo!
Ritorniamo ad un tema caro ai melomani e vociomani. L’edizione critica, per fatti contingenti, non conterrà quelle che, per Rossini, erano le cosiddette “varianti d’autore”. Sono però presenti in edizione critica cenni a ripensamenti dell’autore?
FDS Varianti d’autore, come ho già detto, non ve ne sono, per quanto riguarda le parti vocali (per alcuni passi vi sono però versioni precedenti, queste sì scartate definitivamente da Bellini). La versione Malibran costituisce, nel suo insieme, una gigantesca variante d’autore, e vi sono poi i tagli documentati dall’autografo per la versione parigina. Inoltre esistono almeno due copie manoscritte dei Puritani nelle quali Bellini stesso aggiunse indicazioni di metronomo differenti da quelle dell’autografo, lavoro svolto nei pochi mesi intercorsi tra la prima rappresentazione e la morte. Ripeto quanto ho già detto sopra: nessuna di queste varianti deve essere considerata un’idea definitiva, che supera le precedenti (fra l’altro è quasi impossibile stabilire un ordine cronologico fra esse). Rappresentano piuttosto oscillazioni della sensibilità musicale dell’autore in momenti diversi, e ciascuna di esse può essere presa in considerazione per costruire un’interpretazione coerente.
GG Una domanda, per chiudere. Quale ritiene essere l’effettiva ricaduta della vostra attività di filologi musicali oggi come oggi? Dalla filologia “pratica” di maestri come Bonynge, tutta tesa all’attività di rappresentazione, dopo esperienze alterne di rapporto con la messa in scena quali quella della Fondazione Rossini di Pesaro e del suo Festival, ad esempio, alla vostra quanto e cosa intercorre?
FDS Risponderò con ciò che dico ogni anno ai miei studenti, all’inizio dei miei corsi: non esiste e non può esistere una distinzione di principio tra una filologia teorica e una filologia pratica; un’edizione inutilizzabile per l’esecuzione è un’edizione sbagliata, oltre che un investimento economico fallimentare (non tutti sanno che produrre queste edizioni costa molto). Il lavoro filologico è sempre un lavoro “scientifico”, che come tale richiede specifiche competenze storiche, paleografiche, ma anche di armonia, strumentazione; di più, richiede sensibilità e gusto, per poter decidere, fra due o più soluzioni possibili, quale è musicalmente valida o accettabile. Lo scopo è produrre testi che siano utilizzabili praticamente, nei teatri e nelle sale da concerto, da musicisti che a loro volta dovrebbero avere la capacità per utilizzarli, cioè gli strumenti culturali per capire che cosa una tale edizione contiene. Un filologo musicale deve essere necessariamente un musicista, e un musicista deve essere anche un po’ filologo. Il problema è ovviamente che poche persone possono avere tutte queste competenze sviluppate in grado eguale: si pensi agli anni di preparazione necessari. Per questo motivo, è molto importante che studiosi e musicisti collaborino, che siano disposti a scambiarsi le competenze e, soprattutto, ad ascoltare con pazienza ed umiltà quello che gli altri hanno da dirgli, senza pretendere di possedere la verità.
Bellini – I Puritani
Ferma: invan rapir pretendi…Se il destino a te m’invola – Giuseppe Morino, Vinson Cole & Janet Bartolova
Ah sento, o mio bell’angelo – Joan Sutherland
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