Clara Petrella incarnò per certi versi il mito della Primadonna verista in anni in cui primeggiavano nel repertorio verdiano e pucciniano la voce d’oro della Tebaldi e le rivoluzionarie interpretazioni di Maria Callas soprattutto nel repertorio del primo Ottocento. In quegli stessi anni, nel repertorio Verista e del primo Novecento riuscì a distinguersi e ad essere ammirata Clara Petrella, cresciuta in una famiglia di musicisti (il nonno era Enrico Petrella, compositore celebre soprattutto per l’opera Jone, e la zia era il soprano Olivia Petrella) studiò dapprima con la sorella e in seguito col celebre soprano Giannina Russ, per debuttare infine ad Alessandria nel 1939 come Liù e giungere alla Scala nel 1947 con Tabarro di Puccini. Fu prima inteprete assoluta de I gioielli della Madonna di Ermanno Wolf-Ferrari nel ruolo di Maliella, di Cagliostro e di La figlia di Iorio di Ildebrando Pizzetti e di opere di Ludovico Rocca e di Renzo Rossellini.
Fu soprannominata la Duse dei cantanti, in virtù del grande carisma scenico e interpretativo da grande primadonna Verista. La Petrella, oltre ad essere una grande musicista, ebbe sempre grandissima attenzione alla parola cantata, sempre nell’ambito di una linea vocale sicura che permettesse alle idee interpretative di esprimersi anche quando si fosse trattato di scritture vocali impervie o di esprimersi su orchestrali particolarmenti ampi. La sua Adriana non brillerà forse per inventiva pari a quella di Magda Olivero, ma ci troviamo di fronte ad una grande interpretazione, per la grande sicurezza vocale e l’appropriatezza interpretativa, che pur nell’ambito del Verismo non eccede mai nel cattivo gusto, nel grido o nel rantolo. Grandissima la sua Desdemona, forse non timbricamente dotata quanto una Tebaldi, ma certamente più varia dal punto di vista interpretativo, tanto non solo da reggere il confronto con Mario Del Monaco, ma superandolo per quanto riguarda l’interpretazione e guardandolo assolutamente a testa alta nel versante vocale, vedasi per esempio la frase “E son io l’innocente cagion di tanto pianto”, culminata da un si bemolle di rara sicurezza.
Notevole attenzione suscitò al suo debutto Caterina Mancini, avvenuto nel 1948 a Firenze con la Giselda dei Lombardi alla prima crociata. La voce importantissima, il timbro sontuoso, ne facevano in quegli anni insieme a Renata Tebaldi la più diretta erede di Maria Caniglia. Il repertorio praticato fin da subito era quello dell’autentico soprano drammatico, Aida, La forza del destino, Un ballo in maschera, La Gioconda, Tosca, Il trovatore con qualche raro approdo al repertorio belcantistico come Norma, Mosè, Lucrezia Borgia, Il duca d’Alba, affrontato sempre nell’ottica del gusto di tradizione della Caniglia e della Cigna piuttosto che alla maniera di una coeva Callas o della stessa Arangi-Lombardi.
Era provvista al suo apprire di un bagaglio tecnico lodevole, che le consentiva persino di risolvere senza grossi problemi i passaggi vocalizzati delle opere del primo Verdi, ma l’indulgere in difetti come l’eccessiva spinta negli acuti e l’eccessivo aprire i centri uniti all’instancabile pratica di un repertorio pesantissimo ne hanno accorciato via via l’estensione e la carriera . Le ultime apparizioni degli anni 60 però rivelano non tanto una cantante distrutta come si potrebbe pensare quanto appunto una cantante con acuti non più facili e dei centri forse troppo gonfi, ma sempre di grandissima qualità.
Nonostante qualche spinta negli acuti, molto bello risulta il suo Ritorna vincitor, in cui possiamo rintracciare il gusto verista che questa artista ebbe spesso, ma anche e soprattutto un centro bellissimo, sontuoso, ossia quella che dovrebbe essere la vera voce di Aida.
Di grande interesse sono soprattutto i brani del primo Verdi, come l’entrata di Odabella, in cui la Mancini brilla per lo slancio della linea vocale e la facilità nel lanciare la voce fra le poderose discese al grave e le vere e proprie sciabolate all’acuto. Ideale potremmo poi definire l’esecuzione del duetto Don Carlo-Elvira dall’Ernani, complice un Giuseppe Taddei, dalla linea vocale sempre morbida, a disagio forse solo in alcune delle frasi più acute, sempre grande fraseggiatore e attento allo sparito. Attenzione che rivolge anche Caterina Mancini, che rende piena giustizia all’impeto di frasi come “Fiero sangue d’Aragona”, risolta con grande facilità anche per quanto riguarda la vocalizzazione, attenta anche al rispettare gli accenti e le prescizioni di p che Verdi prescrive su “Ah! l’amor vosto o sire è un dono”.
Stessa attenzione è rivolta all’entrata di Elvira, non priva di acuti fors eccessivamente spinti come qualche do e qualche si naturale, in cui la Mancini tenta anche l’esecuzione delle note picchettate come scritte da Verdi. Se il risultato non è ideale come nel caso di una Sutherland, è decisamente notevole, anche e soprattutto in virtù della voce grande e importante della Mancini, mezzo assolutamente non comune in quanto a dote vocale, alla quale basta una inflessione per diventare espressiva, come nel caso dell’aria del Duca d’Alba, in cui la voce della Mancini riesce a dispiegarsi con espressione in tutta la sua bellezza.
Un caso un pò controverso è quello di Maria Vitale, celebre soprano attiva soprattutto negli anni 50, conosciuta e ricordata dal grande pubblico soprattutto per le incisioni Cetra delle opere verdiane incise durante il cinquantenario dalla morte del compositore presso la RAI e per altre incisioni Cetra come La Vestale di Spontini. Il nome di Maria Vitale, per alcuni melomani, è diventato sinonimo di sopranaccio verista anni 50 (insieme, forse, a Caterina Mancini). Un giudizio estremo che diventa molto facilmente pregiudizio nel momento in cui si applica un giudizio ad un nome fidandosi di mode che nel mondo musicale sono facilissimi a sorgere a danno di artisti che ne vengono così danneggiati. E soprattutto Maria Vitale a causa di queste mode è stata ingiustamente liquidata troppo a lungo.
Maria Vitale studiò a Milano con Giannina Arangi-Lombardi in un primo momento e in seguito con il compositore Riccardo Pick-Mangiagalli, che la indirizza verso i ruoli da soprano drammatico. Fra i primi teatri a decretarle successo fu l’Opéra di Parigi, che la vide interprete di ruoli come Norma, Aida, Desdemona, Leonora, Amelia. In Italia diventa celebre soprattutto per le esecuzioni presso la RAI, che la scrittura per molti titoli del primo Verdi come Aroldo, I due Foscari, Oberto ma anche L’Incoronazione di Poppea di Monteverdi, La Vestale di Spontini e la prima ripresa moderna dell’Elisabetta regina d’Inghilterra di Rossini, eseguita per celebrare l’incoronazione di Elisabetta II. Maria Vitale viene acclamata anche all’estero, in Svizzera, a Francoforte, a Stoccarda, a Berlino e Glyndebourne, dove nel 1953 esegue ancora un Rossini raro, l’Otello. Non solo, al suo repertorio si aggiunsero anche Senta dell’Olandese volante, Elsa del Lohengrin ed Elizabeth del Tannhauser insieme ai Lieder, di cui fu attenta interprete.
La vocalità di Maria Vitale fu insomma quella del soprano drammatico pieno, dalla voce possente, di bel colore, con un registro acuto imponente cui forse la cantante indulgeva arrivando a spingere di tanto in tanto un pò troppo. Ma negli ascolti proposti possiamo sentire anche una preghiera dei Lombardi in cui Maria Vitale è interprete attenta e rispettosa del legato, capace di salire a due re bemolli che non solo le urla o i falsettini di recente ascoltati in Italia, stesso dicasi per la cabaletta, affrontata con poca dimestichezza del canto d’agilità ma dalla cui esecuzione Maria Vitale esce comunque a testa alta, da vera professionista, capace di destreggiarsi anche in ciò che usualmente non era suo terreno d’elezione.
La scena di Mina è luogo di grande difficoltà per la primadonna, che canta prima un’accorata preghiera sulla tomba della madre per poi passare ad una corrusca cabaletta che porta la voce ripetutamente al do con forza. In una pagina come questa possiamo innanzitutto apprezzare la voce sontuosa di Maria Vitale, che si dispiega nella preghiera in tutta la sua bellezza, salendo ad acuti pieni e lucenti rarissimi da udire oggi, specie da una voce di simile qualità. La cabaletta è occasione per sfoggiare un sonoro registro di petto per poi arrivare agli acuti di “Ah fuggite”, affrontati con veemenza, come previsto da Verdi, che affida a Mina cabaletta da affrontare con vero e proprio slancio, senza mai sconfinare nell’urlo. Altro brano in cui Maria Vitale offre una pregevole esecuzione è O nume tutelar dalla Vestale, brano centrale scritto per voci come la sua in cui la bellezza della voce e l’ampiezza della cavata diventano espressive senza bisogno di alcun artifizio. Se l’esecuzione non è allo stesso di livello della celebre incisione di Rosa Ponselle le è comunque di poco inferiore, e regge a testa alta il confronto con le interpreti più blasonate.
Grande e solida esponente di questa generazione di solide professioniste è anche Elisabetta Barbato, anche lei impegnata nel repertorio del soprano drammatico e del lirico-spinto.
Ottimo esempio del grande professionismo vocale di Elisabetta Barbato è il duetto con il Padre Guardiano e il seguente La Vergine degli angeli. Siamo di fronte ad una esecuzione considerata all’epoca di routine, presentata all’interno di una tournée che comprendeva come altri titoli opere come Manon Lescaut, Adriana Lecouvreur, Aida, Tosca. Lo standard soprattutto per i parametri odierni è decisamente alto nonostante qualcuno possa storcere il naso, soprattutto per il gusto un pò antiquato dell’accento della Barbato. Non sono però ravvisabili nel panorama odierno soprani con una cavata simile e di tale bellezza, capaci di superare con facilità i si naturali del duetto con il Padre Guardiano, di reggere la pesante tessitura della parte e di eseguire una Vergine degli angeli di pari bellezza, in virtù della voce eccezionale ma anche della grande professionalità della cantante, che non si abbandona a nessun effetto di dubbio gusto o all’uso, oggi molto praticato, di falsettini, quanto piuttosto usando un solido mezzoforte.
Onelia Fineschi è quasi sempre noto alla maggior parte dei melomani per le sfortunate vicende di carriera nella quale incappò questa interprete. Voce di soprano lirico pieno tendente al soprano lirico spinto fu messa a cantare da subito un repertorio troppo pesante (molti Trovatori fra gli altri) pagandone il fio con un declino vocale molto repentino. Dopo anni di silenzio e di studio Onelia Fineschi riprese la carriera nella metà degli anni 50 in un repertorio simile a quello della Tebaldi, senza avere però più la notorietà e l’attenzione che ebbe al suo apparire, sia, forse, per gli errori commessi nel valutare il proprio repertorio all’inizio della carriera, sia, forse, perchè nei palcoscenici italiani del tempo non mancava proprio nulla.
Se il repertorio è simile a quello della Tebaldi va detto che anche la voce si attesta per qualità molto simili a quelle della celebre Voce d’Angelo, sicuramente più rifinita rispetto ad Onelia Fineschi, la quale era dotata anch’essa di una voce di grande ampiezza e qualità, solo in piccolissima parte offuscate a volte da qualche piccola durezza (cui un’orecchio moderno potrebbe anche non fare caso, abituato com’è al rumore di ferraglia di voci odierne molto più conclamate). Si potrà rilevare come lo stile interpretativo della Fineschi sia votato più a stilemi di tradizione anni 30-40 e che lo stile del Selva opaca è poco rossiniano e moderno così come sembrerà poco handeliano e barocco il suo Piangerò la sorte mia, rilievi giusti e comprensibili (specie se si confrontano con lo stile di una Sutherland o Cuberli) ma è anche vero che la voce della Fineschi è la voce di una principessa o di una regina, per le intrinseche qualità del timbro e per l’ampiezza con cui questa voce si esprime e che la Fineschi, pur con uno stile non moderno, sia attenta ad essere sempre espressiva e rispettosa della situazione drammatica pur mai sacrificandola sull’altare degli effettacci.
Voce di soprano davvero interessante è poi quella di Anita Corridori, che debutta in Italia nel 1946 come Santuzza in Cavalleria rusticana per proseguire una carriera pressochè italiana e spagnola. Anche il suo repertorio include da subito i titoli chiave del soprano drammatico : Norma (a Bologna), Turandot (al Maggio Musicale Fiorentino e a Verona), Un ballo in maschera, La Gioconda (all’Arena di Verona), Aida (della quale fu interprete molto spesso), Tristan und Isolde. Più di altre questa cantante ha risentito dell’abbondanza di professioniste dei suoi anni, che hanno offuscato la sua fama in maniera forse comprensibile solo considerando i nomi delle sue colleghe più celebri. Il timbro appare infatti di grande qualità e lo stesso dicasi per l’impostazione tecnica, di solido professionismo (oggi dimenticato), rilevabilissimo nell’ascolto proposto nel ruolo di Gioconda, in cui si apprezza un registro acuto facilissimo e corposo unito a un registro centrale come già detto di ottima qualità timbrica. Anita Corridori è penalizzata soprattutto dal fraseggio, piatto e privo di un vero e proprio slancio (l’anno di incisione di questa Gioconda è anche l’anno di incisione della prima Gioconda di Maria Callas, per intendere la concorrenza di cui sopra) che in teatro si univano a doti di attrice non proprio eccelse. Se il confronto con la perfetta Gioconda della Callas o della Arangi-Lombardi sono penalizzanti per la Corridori ieri come oggi è anche vero che nè una Violeta Urmana, nè una Deborah Voigt, nè una Maria Guleghina (per tacere dei sopranini finto drammatico votati all’urlo perenne e al lancio degli oggetti di scena) potrebbero reggere il confronto con la prova di Anita Corridori, ennesima grande professionista che oggi godrebbe di tutt’altra attenzione che non all’epoca.
Gli ascolti
Clara Petrella (1918-1987)
Francesco Cilea
Adriana Lecouvreur – Atto I – Io son l’umile ancella
Adriana Lecouvreur – Atto IV – Poveri fiori
Giacomo Puccini
Il tabarro – E’ ben altro il mio sogno
Giuseppe Verdi
Otello – Atto II – Dio ti giocondi, o sposo (con Mario Del Monaco)
Caterina Mancini
Gaetano Donizetti
Il duca d’Alba – Atto II – Ombra paterna
Giuseppe Verdi
Nabucco – Parte III – Oh, chi è costei? (con Paolo Silveri)
Ernani – Parte I – Surta è la notte
Ernani – Parte I – Da quel dì che t’ho veduta (con Giuseppe Taddei)
Attila – Prologo – Allor che i forti corrono
Aida – Atto I – Ritorna vincitor
Elisabetta Barbato
Giacomo Puccini
Manon Lescaut – Atto IV – Sola, perduta, abbandonata…Fra le tua braccia (con Beniamino Gigli)
Giuseppe Verdi
La forza del destino – Atto II – Infelice, delusa, reietta (con Giulio Neri)
La forza del destino – Atto II – La Vergine degli angeli
Onelia Fineschi
Georg Friedrich Händel
Giulio Cesare in Egitto – Atto III – Piangerò la sorte mia
Gioachino Rossini
Guglielmo Tell – Atto II – Selva opaca
Maria Vitale
Gaspare Spontini
La Vestale – Atto II – Tu che invoco
La Vestale – Atto II – O Nume tutelar
Giuseppe Verdi
Oberto – Atto II – Tutto ho perduto
I Lombardi alla prima crociata – Atto II – Se vano è il pregare…No, giusta causa
Aroldo – Atto II – Ah! Dagli scanni eterei…Ah! Dal sen di quella tomba
Anita Corridori
Amilcare Ponchielli
La Gioconda – Atto II – E un anatema! (con Miriam Pirazzini)
La Gioconda – Atto IV – Suicidio
Tante grazie per gli ascolti!
Prosegue felicemente questo vostro excursus tra voci di qualità ahimè semidimenticate.
Il titolo “Serie B… a chi?” è però a mio avviso fuorviante. Se dobbiamo restare alla celebre classificazione di Rodolfo Celletti, che distingueva i cantanti in “Categoria Extra”, “Serie A”, “Serie B” e “Serie C”, bisogna dire che quasi tutte le artiste presentate oggi nel corso della loro carriera oscillarono, a seconda dei momenti, tra la “Extra” e la “Serie A”. Furono, insomma, cantanti celeberrime, che solo oggi, a tanti anni di distanza, possono dare l’impressione di avere svolto una carriera minore, ma solo perchè messe in ombra da alcune “Extra” di cui negli anni seguenti si è continuato a parlare.
A Maria Vitale, ricordo che il compianto Celletti dedicò un ampio articolo-saggio (mi pare su “Discoteca”) in occasione dell’uscita di un megacofanetto di svariati LP con la registrazione di un ciclo di opere verdiane.
Continuate così!
Gabriele (Lele) Bruni(ni)
Giusto quello che dice Lele Bruni.Queste all´epoca erano cantanti che si esibivano nei maggiori teatri a fianco dei massimi tenori e baritoni del momento.Se non hanno avuto la fama che meritavano é perché il mondo dell´opera era anche allora,in proporzione,fuorviato dai media che si occupavano solo di Callas e Tebaldi.Comunque,vi faccio un piccolo appunto:avete dimenticato Gigliola Frazzoni,una delle piú grandi Tosche,Minnie ed Adriane dell´epoca.
Ciao da Stoccarda
Spero vi ricorderete anche di Gabriella Tucci… Voce strepitosa, e tecnica di ferro!!!
Sono certo che i nostri amici parleranno della Frazzoni (una che oscillava tra la serie A e una serie B da primissime posizioni) in una prossima puntata. Mi permetto anche di suggerire Maria Luisa Cioni, per gli anni ’60 indubbiamente una “serie B”, ma che oggi ridicolizzerebbe quasi tutti i soprano che cantano nei grandi (?) teatri.
Ringraziamo per i commenti dei nostri cari lettori.
Il titolo scelto per questa serie di articoli è un filo ironico, proprio per dimostrare che queste artiste non furono affatto serie b, ma professioniste di rango, nei confronti delle quali si è storto il naso più che nei loro anni di attività in anni recenti (non tutte ovviamente) da parte di una fascia di critica e ascoltatori che ha sentito la necessità di demolire certo passato per glorificare tanto mediocre presente.
Rassicuro i nostri lettori, ci occuperemo senz’altro sia di Gigliola Frazzoni che della grandissima Gabriella Tucci, già citata e onorata tempo fa come Aida.
Davvero interessante la Cleopatra della Fineschi, voce importante e gusto, a conti fatti, assai castigato. E comunque vocalmente più aderente al personaggio di una Bayo o una Bartoli!
In questi giorni mi è capitato di ascoltare un’ampia scelta di canzoni e arie d’opera interpretate da Enzo de Muro Lomanto.
Ora io mi chiedo se un simile tenore, che ai suoi tempi fu certamente un “Serie A” e forse sfiorò la categoria “Extra” senza entrarvi a far parte stabilmente, oggi non sarebbe il primo dei primi.
Forse la sua non era una voce estesissima; forse non aveva un Do sicuro; ma resta il fatto che con la voce fa tutto quello che vuole; smorza e addolcisce a qualsiasi altezza, senza mai emettere falsetti; ha un fraseggio se non singolarissimo, sempre vario e fantasioso. Il timbro è poi pieno, virile, con una piacevole screziatura malinconica. Gli effettacci sono pochi, e comunque sono quelli di prammatica dell’epoca. Nelle canzoni, ridicolizza letteralmente Pavarotti e qualunque altro tenore abbia affrontato canzoni napoletane nel dopoguerra.
Che c’entra Lomanto (consorte della Toti, non dimentichiamolo) con questa rassegna di voci femminili di (falsa) seconda schiera? Tutto e nulla. O per essere franchi, l’auspicio che si dedichi una puntata di “Serie B… a chi?” alla corda tenorile.
I nomi non mancherebbero, e voi lo sapete meglio di me. Se Lomanto si mangerebbe in un boccone i vari Alvarez, Filianoti, Meli e compagnia (mal)cantante, non meno giganti rispetto ai falsi divi attuali parrebbero tenori come Alabiso,Malipiero e tanti altri che ai loro dì dovettero misurarsi con personaggi della taglia dei Gigli, Schipa, Pertile. Ma mi sa che oggi i mostri sarebbero loro!
Con affetto,
GABRIELE BRUNINI
Caro Gabriele, grazie per il suggerimento. In effetti, esauriti i soprani, potremmo affrontare il tema della “supposta serie B” tra le fila dei tenori… di esempi, come sottolinei tu, non c’è scarsità!
Un saluto,
AT
Ci ha lasciati anche Elisabetta Barbato,splendida voce e ottima cantante. Personalità e professionisti come Elisabetta Barbato si possono solo che rimpiangere. http://www.youtube.com/watch?v=YaCauX22dus
Rientro in questo ormai antico post per dirvi che ho ascoltato, ad integrum, la Gioconda registrata dalla Urania (e riversata in cd dalla Preiser e forse dalla Cantus Classics) con la Corridori protagonista. Mi spiace per questa simpatica esecutrice, ma trovo che lei sia addirittura il punto debole della realizzazione, con un registro centrale troppo aperto e acuti facili, sì, ma che dànno nello stridulo più spesso del necessario. Oltre, beninteso, al placido fraseggio. Testimonianza comunque molto interessante.