Dopo una stagione, come la passata scaligera, dove i peggiori esiti sono venuti proprio dai direttori di orchestra, quand’anche per superiore, insindacabile, quanto incompetente giudizio votati a grande carriera, bacchette come quella di Nicola Rescigno assurgono all’indimenticabile.
Certo, tenuto conto dei nomi che circolavano durante la sua carriera, da Mitropoulos a Levine, nei teatri americani, da Gui ad Abbado, in quelli italiani, Nicola Rescigno rimaneva un direttore dedicato all’opera, di grandissimo mestiere, conoscenza del repertorio, amatissimo dai cantanti per le virtù di accompagnatore, dalle orchestre e dalle direzioni artistiche per la conoscenza del repertorio e la capacità di ottenere il meglio da ogni compagine e, magari, con il minimo delle prove. E questo che si trattasse di Vivaldi piuttosto che del Belcanto o di Ponchielli e Puccini, il tutto senza alcuna prosopopea culturaloide, senza incertezze e ripensamenti una volta in buca.
E da questo solidissimo mestiere sortivano, oltre che serate di sicura tenuta, pure grandiose performance.
Come la Medea di Dallas di Maria Callas, dove, certo, contava la grandezza “della Maria”, ma dove, viste le recenti negative esperienze, viene anche da chiedersi che ne sarebbe stato di tutte le virtù della signora Callas, senza una guida come quella dello scomparso che vogliamo ricordare.
Ancora serata incandescente salutata da applausi ad ogni luogo topico, quella della Butterfly napoletana con Madga Olivero protagonista.
Rescigno, alla guida di un’orchestra certo più allenata dell’attuale, anche per il rapporto con molti grandi direttori, ma non trascendentale e quel che più conta con l’alternarsi di ben cinque protagoniste in dieci sere (e cinque protagoniste tutte di vaglia e con le proprie esigenze vocali ed interpretative) crea momenti grandissimi di fraseggio pucciniano, accompagnando la sublime protagonista, la cui dinamica e le cui scelte agogiche sono addirittura superiori alle indicazioni pucciniane e esemplificando di quali prodezze fossero capaci i direttori d’orchestra da repertorio.
Per far riflettere gli attuali maestri sarebbe educativo ed edificante ascoltare Rescigno non solo con l’Olivero, ma con tutte le altre protagoniste. Ne ricaveremo, noi e quei signori, che le differenti protagoniste determinavano quelle piccole, ma essenziali, differenze di tempi e di agogica, che oggi vengono respinti, censurati e reietti sul comodo presupposto: “ I miei tempi sono questi”.
Bravo maestro i suoi tempi sono quelli e sono suoi anche i fischi e le riprovazioni, giuste e condivisibili, del pubblico per la mediocre resa atistica e la presunzione.
Rifletta maestro: ai Nicola Rescigno queste presunzioni e questi inconvenienti non capitavano! Chissà perché, forse perché accettavano regole e prassi non scritte.
Gli ascolti
Cherubini: Medea
Atto I: Dei tuoi figli la madre – Maria Callas
Puccini: Madama Butterfly
Atto II: Ora a noi – Magda Olivero & Mario Zanasi
Tra le recite di Rescigno da me ascoltate,mi ricordo il Barbiere a Macerata nel 1980,con la Horne,Nucci,Dara e Siepi.Non era un´esecuzione filologica,ma vi assicuro che quella volta ci siamo strafregati di questo aspetto,tanto viva,teatrale e vocalmente lussuosa era quella performance.Rescigno era comunque un direttore a cui la critica faceva spesso il viso dell´armi,e non si capisce bene il perché,riascoltando oggi le registrazioni in nostro possesso.Come Patané e l´altrettanto vituperato,per me a torto,Lamberto Gardelli,era un direttore dotato di senso del teatro e capacitá di respirare coi cantanti,due qualitá senza cui é meglio non dedicarsi proprio al teatro d´opera.Di musicisti in possesso di tali qualitá,oggi é rimasto forse solo Nello Santi,che io vado a sentire a Zurigo,quando posso e che,nelle sue serate migliori,dirige un Verdi da eclissare tutti i Muti del mondo.
Comunque,parlando in generale,mi sembra che la crisi dei direttori d´opera stia diventando rilevante quanto quella delle voci.
Ciao da Stoccarda.
Domenica sera 3sat trasmetterá l´Otello da Salzburg:scriverete qualcosa?
Ciao Mozart,
non credo che vedremo l’Otello di Muti… anche perché per noi l’Otello è ancora quello della signorina Tebaldi, che tanto ha cantato nella provincia italiana, e che qualche imberbe critico ha avuto la sfrontatezza di definire “matronale”… forse deluso per il fatto di non essere lui la matrona!!!
Sono perfettamente d accordo..direttori che seguano, respirino con il cantante non esistono..giorni fa ascoltai una norma con del monaco e ross reperibile su youtube:I TEMPI per le colorature del tenore e del soprano avevano tempi umani e adatti alle voci..ora la schizzofrenia rossiniana del “tutto veloce e arrangiati a respirare” stravolge le opere belcantiste e lo stesso rossini viene deturpato..ascoltai un ernani di nello santi..e mi sembrava d aver trovato l isola del tesoro..poi ascoltai un trovatore alla muti e piansi..si cercano voci grandi che già mancano in sè per sè come i veri insegnanti e la tecnica, aggiungiamo che ,invece dell appoggio vero, i cantanti in un certo senso sono costretti a mangiarsi la voce per fare colorature come se il metronomo fosse impazzito!è avvilente..scusate lo sfogo ..ma è altrettanto avvilente vedere uno stabat mater la cui parte sopranile è affidata a una ragazza di 18-19 anni..sicuramente non in possesso dei requisiti per poterlo fare veramente come si deve..ma tanto sgrana le agilità(ingolate) e fa rossini quindi stabat mater =rossini quindi si può fare! accidenti!
Grandissimo Rescigno, non c’è che dire… La scena del sonnambulismo che accompagna il canto della Callas nel recital delle arie verdiane è la migliore che abbia mai sentito (superiore, per certi versi, anche ad Abbado)… Un Macbeth inciso da Callas, Gobbi, Rescigno per la EMI è il sogno proibito di ogni melomane, che supplirebbe a una grave lacuna (quello Callas De Sabata è a volte inascoltabile per la qualità sonora… E poi quella scena del sonnambulismo così assurdamente veloce… Qualcuno me ne spiega il senso?). Ho però qualcosa da obiettare sul giudiziuo in merito al Trovatore di Muti, che – sebbene eccessivo in alcune cose – trovo in molti punti originale e, a parte il tenore, tutto sommato abbastanza ben cantato (e considerati quei tempi è già meritorio essere arrivati alla fine dell’opera!!!!). In fondo Muti non fa altro che riportare le dinamiche dello spartito al primo posto in un’opera a mio avviso davvero mal compresa (e sepsso mal trattata) dalla tradizione… Concordo pienamente sul giudizio in merito alla Desdemona della Tebaldi (il critico in questione è molto spesso abbastanza oltre il segno, se ho ben capito di chi si tratta!!!! Un caso su tutti: il giudizio sulla grandissima Olivero!!!): una voce benedetta dal cielo, come non ce ne saranno mai più… L’unico appunto che si potrebbe muovere è sugli acuti, sempre leggermente calanti… Ma nell’Otello del 1953 (direttore Erede, altro grande “mestierante”!!!!) la voce è di una tale bellezza che veramente non si può dire alcunché… Concordo anche in merito a Gardelli (la sua registrazione di Medea, con una Jones interpretativamente al minimo, ma vocalmente al massimo, è l’unica che – dal punto di vista orchestrale – mi soddisfa pienamente… E’ l’opera è, sotto quell’aspetto, un vero capolavoro!!!!)
Carop Velluti, vorrei soffermarmi sulla questione del Trovatore “di” Muti: quell’edizione (live dalla Scala) è, per me, la dimostrazione di quanto possa essere lastricata di buone intenzioni la strada che conduce all’Inferno. Da una parte, infatti, ci sono gli intenti, dall’altra, purtroppo, il modo di realizzarli. Muti, innanzitutto, partiva da una premessa a mio giudizio “insopportabile”, cioè che prima di lui ci fosse stato “il diluvio” (per ribaltare un celebre modo di dire). Ricordo distintamente la “lezione” che tenne per presentare il “suo” Trovatore (così come quella del “suo” Rigoletto), e ricordo un distillato di presunzione, boria e arroganza. Sensazioni che poi, immancabilmente, si sono confermate all’ascolto (dal vivo e in disco). Giustamente scrivi che spesso il Trovatore è stato maltrattato da certa tradizione, ma altrettanto spesso vi sono esempi che, pur privi del “conforto” dell’edizione critica sbandierata da Muti, hanno riportato l’opera ad una esecuzione esemplare: da Bonynge a Giulini a Metha a Levine (quest’ultimo, secondo me, uno dei più grandi diretori verdiani di sempre…e – come sempre – maltrattato da certa critica impegnata), per non parlare di Karajan, Schippers, Serafin, Gui, Gavazzeni etc… A sentir Muti erano tutti incompetenti! Davvero basta togliere una puntatura per fare un Trovatore “autentico”? Oppure quella puntatura (e le altre non concesse da
Muti) poco o nulla interferiscono in una lettura della partitura rispettosa di Verdi? E’ il carattere nobile e notturno che “fa” il Trovatore, non certo un acuto negato (che, anzi, rientra nella legittima libertà dell’interprete e che, se ben eseguito, arricchisce la partitura). E un vero direttore verdiano è quello che non dimentica mai questa nobiltà di fondo, anche nelle concessioni ad una vena più popolaresca (frequentissime in Verdi, ma non da nascondere, bensì da inserire nell’aristocratica cornice). E senza mai dimenticare di essere funzionale al palcoscenico, cantando insieme agli interpreti, non facendo a gara per soffocarli. Questo imputo a Muti (e al suo Verdi scaligero): dimenticarsi del palcoscenico e delle voci, vero fulcro di una rappresentazione operistica! E quel Trovatore (come tante altre produzioni mutiane) certo non si segnala per adeguatezza di interpreti. Insomma, per restare ai prodotti discografici ufficiali, molto meglio il Trovatore di Mehta (con una Price da sogno, anche con gli innegabili difetti) che pulsa di vita (e si concede in acuti on scritti) che il grigio e burocratico Trovatore di Muti, ligio alla letera dell’edizione critica, ma sordo alla vitalità che la partitura imporrebbe.
Caro Duprez, è assolutamente vero che prima di Muti altri grandissimi direttori abbiano regalato splendide edizioni del Trovatore: in primis Metha, che – oltre a una Price fenomenale – annovera una grandissima Cossotto come Azucena; per non parlare di Bonynnge, il protos eurethes che ha fatto notare quanto Il Trovatore sia in realtà un'opera che nei confronti del balcanto ha un debito esiziale (sulla cui scelta di affidare Azucena alla Horne ho però non pochi dubbi – a parte l'esecuzione di "Stride la vampa", l'unica veramente "filologica", semplicemente perchè esegue tutto, trilli, acciaccature, dinamiche dello spartito,; nessun'altra lo fa con quella precisione…); qualche dubbio ho sul Karajan 1979, proprio perchè sembra iniziare a serpeggiare quella tendenza secondo cui il direttore, Nume tutelare, basta a fare un Trovatore, nonostante una Price allo stremo (ed è stato vero e proprio sadismo costringerla a eseguire due strofe del "Tu vedrai…", senza peraltro variazioni, nè musicali, nè di fraseggio) una Obratzsova verista oltre misura (nonostante una voce fenomenale) e un Bonisolli talmente sciovinista e maschilista da risultarmi vomitevole (ma è un mero gusto personale!!!!), con in più voce a tratti ingolata e davvero troppo intenta a mostrare che lui è il Tenore (con la T!!!!); per quanto concerne Il Trovatore di Muti è assolutamente vero tutto quello che dici, ma è altrettanto vero che – complice lo spettacolo di De Ana – proprio il lato notturno dell'opera emerge – a mio avviso – con dirompente teatralità: un notturno, però, molto poco di maniera, ma molto corrusco, drammatico, con una tensione teatrale a tratti travolgente (il terzetto finale del I atto è,a quanto ricordi, l'unico ad adeguarsi perfettamente al momento drammatico, nonostante una velocità talmente parossistica da rendere quasi impossibile il canto; ma, mi sembra, che anche Karajan 1955 avesse la medesima tendenza, complice una Callas fenomenale nel fraseggio e nell'adeguarsi all'atmosfera drammatica del momento come nessun'altra[o]; e non a caso Panerai, in quell'edizione, annaspa non poco… Il solb di "lo condannò" è davvero pietoso; ma la responsabilità va addebitata al tempo staccato da Karajan… Nessuno vorrà credere che Panerai non fosse in grado di emettere un solb degno di questo nome!!!!); e non vedo sacrificato nemmeno l'aspetto "popolare", solo che questo – almeno così mi sembra – viene trasfigurato in una (nemmeno tanto) sottile vena retorica che è comunque e sempre insita nello stesso patriottismo verdiano (ogni patriottismo è un po' retorico, c'è poco da fare!!!!). Certe bordate, soprattutto nei finali, rendono la mancanza dell'acuto a volte davvero indolore (il caso della Pira, o del finale I, o del finale del duetto Leonora-Conte, che ho scoperto essere davvero bello così come scritto da Verdi, se eseguito con quella dinamica di tempi).
Sul canto non so…; direi che Muti ha preso quello che la piazza offriva di meglio. Ma in fondo la Frittoli non credo che canti male, idem la Urmana (prende un bel do nel "Perigliarti ancor", per non parlare del "Deh! Rallentate", eseguito con notevole cipiglio… Anche le variazioni f>p del "Condotta…" sono abbastanza aderenti al dettato dello spartito e del momento drammatico). Altro è il caso di Licitra, esempio preclaro del "Latrar cantando" dei nostri giorni. Trovo comunque il Trovatore di Muti – a differenza del suo Rigoletto – un'esecuzione che PROGRAMMATICAMENTE vuole offrire una lettura dal forte impatto teatrale, e credo che nel complesso l'operazione sia riuscita. Non tutti I trovatori devono essere per forza "storici"…
Certamente, caro Velluti, non per forza tutti i Trovatori devono essere “storici”, tuttavia quando si spendono così tante parole, quando si ciancia di chissà quale “rivoluzione interpretativa”, quando si assume su di sè l’incarico/missione di riportare Verdi alla sua autenticità, allora l’aspettativa diventa più alta e, di conseguenza, il giudizio si deve fare più severo. Il Trovatore di Muti è l’esempio di una montagna che partorisce un topolino: le premesse sono affascinanti, dal risalto al clima notturno alla passionalità/sensualità givanile dei tre protagonisti, dal rispetto per le agogiche verdiane al rifuggire dagli effetti più retorici e plateali. Tutto molto bello e giusto quando viene raccontato, ma basta poco per farci ricadere nella più prosaica realtà: bastano certe bordate sonore che Muti non ci risparmia, con ritmi indiavolati e cantanti inudibili (più a teatro che nel disco) per farci dimenticare la poesia notturna; basta l’ingresso di Leonora che sciorina con metronomica contabilità la sua aria (privata di ogni abbandono lirico – sì, i tanto vituperati “rallentando” e i rubati in cui, ad esempio, la Price indulgeva con mio grandissimo piacere…) oppure la voce sgraziata di Manrico (spesso al limite della stonatura) per farci dimenticare ogni passione di gioventù (e taccio della scelta di proporre Nucci come Conte di Luna). Che resta delle premesse estetiche? Il solito clangore orchestrale del Muti scaligero accompagnato da cantanti nel migliore dei casi corretti e niente più, ma nel peggiore assolutamente inadeguati, e tutti accomunati dall’essere soffocati dalle bordate sonore del maestro concertatore e dai suoi ritmi antimusicali. Certo si evitano le puntature di tradizione e altri vezzi, ma solo per questo è un’edizione rispettosa di Verdi? Certo è meglio del Rigoletto, di poco, ma se devo cercare un Trovatore che mi appaghi (e non cerco clamori risorgimentali o fragori retorici) mi rivolgo a Mehta o a Bonynge.
Ps: quando mi riferivo a Karajan pensavo certo a quello del ’56, ma soprattutto a quello del ’62 con la Price, Corelli, la Simionato e Bastianini.
Non starei tanto a sottilizzare sui proclami, evidentemente fatti per creare l’EVENTO, ergo espressione di un genere di comunicazione che tende a privilegiare il formale sul sostanziale… Il Trovatore di Muti resta una lettura da cui, comunque, emerge la forte presa teatrale di un’opera che di teatralità ne ha moltissima, e spesso mal compresa.
Il Trovatore di Salisburgo diretto da Karajan è certamente uno spettacolo storico, ma a risentirlo oggi presenta comunque qualche rughetta; ricordo sommessamente come la Simionato fosse non più in splendida forma, e come il taglio della caballetta di Leonora – nonostante lo stato di grazia della Price – fosse oramai un vero e proprio delitto (già Serafin l’aveva riammessa, nonostante la Stella non fosse propriamente una specialista di belcanto!!!), essendo quella del IV atto una scena comprensiva di recitativo, aria, e caballetta, per cui tagliare la parte finale è rendere la scena monca non solo dal punto di vista musicale, ma soprattutto drammatico (ed evidenzia, dunque, una parziale comprensione di un’opera come Il Trovatore, interamente modellata sulla struttura delle opere donizettiane…).
Ascolto Il Trovatore di Muti con certa curiosità, che spesso rimane tale, senza riuscire totalmente ad elevarsi, ma resta che in alcuni momenti l’orchestra è indubbiamente travolgente (ad es. il caso del coro iniziale, “Sull’orlo dei tetti…”, davvero sconvolgente!!!!), tanto da galvanizzare un canto che non è sempre esaltante…
Sui tagli sono assolutamente d’accordo con te: fu un delitto impedire a quella Price la parte integrale (purtroppo Karajan, soprattutto in quegli anni, aveva un rapporto molto “libero” col testo, e non per motivi contingenti, ma per bislacche idee di “concinnitas” musicale…). Non nego, poi, che vi siano momenti affascinanti nel Trovatore di Muti (più in disco però, che in teatro), ma presentare un’opera del genere con un cast inadeguato compromette ogni buona intenzione. Tuttavia accanto a quei momenti, ve ne sono troppi in cui la concertazione va per conto proprio a discapito el palcoscenico (problema questo che caratterizza la quasi totalità delle produzioni scaligere di Muti).
Il difetto di Muti,nei suoi anni alla Scala,é stato soprattutto quello di rifugiarsi in una sorta di perfezione marmorea fine a se stessa.Confrontate l´esecuzione fiorentina dei Vespri con quella scaligera.A parte il divario mostruoso fra i due cast,si sente che l´impeto epico,barricadero,trascinante,a Milano era divenuto accademismo e tecnicismo sterile.Lo stesso si puó dire delle due registrazioni del Trovatore.Anche a Firenze Muti sbaglió completamente il cast come spesso gli capitava in quegli anni (ricordate Kenneth Collins come Radames,Nimsgern come Guglielmo Tell e Nabucco oppure Mario Petri nel Macbeth?) arruolando una nullitá come la Cruz Romo,un Otello di media qualitá come Cossutta,Manuguerra,un´autoritá del canto nel naso,e una Cossotto esagitata e gigiona,come spesso succedeva alla divina Fiorenza quando il direttore le lasciava le briglie sul collo.Con tutto ció,a riascoltare oggi quell´esecuzione,risulta evidente quanto la lettura di Muti avesse una freschezza e una vitalitá interpretativa che a Milano si erano completamente perse. Giá a Firenze,comunque,il maestro aveva preparato l´esecuzione con un gran baccano mediatico sulla lettura “filologica”,tutto perche finalmente NON avremmo sentito una nota e Verdi sarebbe stato contento!Una delle manie di Muti che mi ha sempre fatto sorridere é proprio quella di fare il filologo solo quando gli accomoda,salvo eseguire i Vespri e il Tell in italiano oppure Cosí fan Tutte e le Nozze con i tagli di tradizione…
Saluti da Stoccarda,l´Otello si avvicina e io ho fatto scorta di birra per annegare eventualmente
la delusione.Giá in partenza mi indispone il fatto che Muti proporrá,come giá a Firenze e Milano,l´orrenda versione 1894 del Finale Terzo.
E´terminata da pochi minuti la trasmissione tv dell´Otello da Salzburg e scrivo poche righe per esternare la mia profonda delusione.Una direzione anonima,grigia,spenta e burocratica.Tutta la potenza drammatica e la varietá di colori che Muti sapeva tirar fuori a Firenze nel 1980 e ancora in gran parte a Milano nel 2001 sono evaporate.Rimangono solo gli effettacci,come la corona non scritta prima del Finale Secondo e,poco prima,la famosa frase del fazzoletto urlata a tutta voce dal baritono in faccia al pubblico.Si aggiunga la totale inerzia della concertazione,incapace di suggerire una qualsiasi idea ad un cast immaturo e inadeguato.Mi dispiace dirlo ma,a meno di future smentite,questa serata é la pietra tombale su Muti interprete verdiano.
Adesso vado a riascoltarmi Kleiber per tirarmi un po´su.
Ciao