Se la perfezione è esistita in un esecutore di opera o di musica lo è riferita ad un autore o ad una estetica musicale. Kirsten Flagstad era assoluta nei ruoli wagnerani, Marilyn Horne in quelli di Rossini. La prima, una volta divenuta la Flagstad non cantò altro repertorio, l’altra nei suoi approcci a Verdi e all’opera francese è stata o censurata o ritenuta una qualsiasi.
E ciò basterebbe quale replica all’intervento di Sehnsucht, che abbiamo, come sempre anche con chi non condivide la nostra opinione e, magari difetta un poco in buona educazione e maniere, nel nostro blog pubblicato
E lo pubblichiamo in uno con l’esecuzione dell’aria della campanelle di Lakmé , dove una allora ingiustamente sconosciuta Mariella Devia monta in cattedra versando nel repertorio che le era e le sarebbe ancora congeniale, ossia quello della chanteuse a roulades.
Amare, stimare, considerare un cantante, assumerne la levatura storica va bene ed è legittimo, ma non può essere acritico ed astorico. Altrimenti scade nel fanatismo e si incorre in scivoloni scrivendo “Ella le riconosce la facilità assoluta degli insidiosi la bem della aria Aah forse lui, riproposta nella versione integrale, ma le attribuisce un Amami Alfredo slentato e parla di toni elegiaci in Alfredo, Alfredo”.
Questa è una frase da fans. Un conto caro Sehnsucht è elogiare l’esecuzione strettamente vocale di un passo non agevole, facile, perché supportata da grande cognizione tecnica, e l’altro è cantare correttamente e con quadratura tecnica, mancando, però, completamente il personaggio e la situazione drammatica. In Traviata, nonostante i tentativi di far credere il contrario, di elegia non ne abbiamo né poca e ne punto.
Ancora sempre, spostato dall’idea che non possano esistere esigenze vocali specifiche per un autore o ad un ruolo, ma convinto che si può e si deve cantare tutto, Sehnsucht scrive : “ Vede Ella non ha apprezzato neppure Stuarda neppure Bolena e mi meraviglio che addebiti alla Signora Devia proprio carenze vocali , mentre definisce la sua tecnica saldissima ed esemplare”.
Un aspetto è la tecnica, altro sono volume, ampiezza ed accento che , precipue in zona medio-grave Bolena, Borgia e Stuarda richiedono. Le rammento che allorchè Joan Sutherland incise ed interpretò Borgia e Stuarda le vennero rimproverate tutte queste carenze. E si trattava di una voce quanto meno di soprano cosiddetto lirico spinto per usare una terminologia oggettiva.
Quanto poi ad alcune affermazioni tipo la “voce sublime” non sarò certo io ad insegnarle che le voci sublimi sono altre e lo sono per dote naturale di velluto, smalto e colore. Specifiche alquanto estranee alla signora Devia, soprattutto nella zona centrale, che ha sempre presentato scarse attrattive naturali (per forza, è un cosiddetto soprano leggero) ed il cui miglioramento è avvenuto solo negli anni ’90. Anche qui, caro Sehnsucht, la storia del canto è ricca di voci con limiti naturali. Leggere non tanto Stendhal a proposito della Pasta, ma e soprattutto Monaldi riferito ad Erminia Frezzolini. E già che di Monaldi si parla legga pure quanto scrive su Adelina Patti. Non serve Vico per parlare di corsi e ricorsi storici!
Non solo, ma atteso l’invito ad ascoltare il “dite alla giovine” o il “ se una pudica vergine” come miracoli vocali non posso esimirmi dal rilevare come nell’esecuzione del 9 giugno u.s. eravamo ben lontani dalla adamantina purezza della Lucia non già quella del 1992, ma anche la recente del 2006 e dall’invitarla ad ascoltare due soprani leggeri quali Beverly Sills e Frieda Hempel nello stesso passo e fare, se obiettività consente, il dovuto confronto.
Ancora quanto all’eleganza scenica della signora Devia sono ben felice di accordarglielo, a condizione che Violetta Valery sia una signora della buona borghesia, che presenta in società figliole o nipoti. La mantenuta di alto bordo richiede ben altro, a partire dal modi di porgere la mano o di guardare un uomo.
Un ulteriore chiosa, che è opportuno spiegare, credo, ho parlato di “parabelcantismo “ e non di belcanto. Il belcanto, come estetica musicale e non solo come scrittura vocale e musicale, finisce con Semiramide. Non è una mia opinione e neppure, come ben so qualcuno sarebbe già pronto a dire di Rodolfo Celletti, ma di Scudo, Panofka e, soprattutto di Rossini.
Bellini e Donizetti, come certo Verdi sino ai Vespri, l’opera francese, ereditano alcuni mezzi espressivi, ma non richiedono l’accento scandito, la vocalizzazione di forza e l’esibizione virtuosistica con fini espressivi ( gli accenti nascosti della coloratura ) tipiche di Rossini. Mariella Devia ha sempre brillato, come tutti i soprani leggeri, nelle agilità di grazia, nei suoni flautati, indispensabili per emettere re nat e mi bem, nell’accento elegiaco. Siccome bisogna dimostrare, le accludo il rondò della Donna del Lago della signora Devia in parallelo con quello di una voce certo meno estesa nei sovracuti ( che in Rossini non servono, specie se emessi flautati), ma dall’accento scandito e dal vero virtuosismo di forza, pur con un volume limitato. Si tratta di Lella Cuberli.
Esattamente come ritengo opportuno proporre il confronto con Luciana Serra nell’aria di Zerlina del Fra’ Diavolo di Auber per toccare l’argomento dei ruoli comici, che nella resa interpretativa della Devia hanno destato più d’una perplessità.
Come pure la grandezza di Violetta non dipende dall’avere eseguito ab integro la parte. In questo senso mi permetto di ricordarLe che due Violette, assolutamente storiche, come la Callas e l’Olivero, eseguirono sempre Violetta coi tagli di tradizione. E per andare ad altro repertorio, per il quale oggi si esige l’integralità, Maria Callas e lei sola è Armida, nonostante i tagli. Copiosi ed alcuni incomprensibili.
E qui mi fermo, precisando solo che i posti venduti per l’ingresso in loggione la sera del 9 erano circa 120 in luogo dei disponibili 140, che in platea c’erano poltrone libere e i palchi presentavano qualche “forno”, per utilizzare un’espressione gergale del loggione. Almeno questo è quello che ho visto io, nella mia posizione di spettatore che ha acquistato il proprio biglietto di loggione, dopo la canonica coda.
Mi spiace e lo dico chiaramente questa risposta per la stima nei confronti di Mariella Devia. Senza la sua tecnica e la sua disciplina non si canta alla sua età. E questo è già un merito, come lo fu per Mirella Freni
Il teatro ha bisogno di molte Mariella Devia, in ogni registro della voce femminile, ossia di professioniste solidissime sotto il profilo tecnico, di cantanti, che, quando incontrano il personaggio, che coincide con al propria vocalità e la propria sensibilità, come per la Devia con Elvira dei Puritani, lucrano successi trionfali, non quelli della scorsa sera in Scala, perché la perplessità non era rara per il teatro in ogni suo ordine di posti. Il teatro e la storia dell’opera, invece, non hanno bisogno di interpreti che da un decennio sono protese a far credere che Imogene, Lucrezia e Bolena abbiamo la voce, il tonnellaggio e l’accento di Olympia o di Margherita di Navarra. Perché in questi e consimili ruoli, Mariella Devia sarebbe cantante ed interpreti di levatura storica. Ed in fondo di chanteuse a roulades di questa levatura la storia ne annovera una decina. E se vuole, caro Sehnsucht, gliele elenco anche. La prossima volta.
Gli ascolti
Auber – Fra Diavolo
Atto II – Non temete Milord…Or son sola – Mariella Devia, Luciana Serra
Bellini – I Capuleti e i Montecchi
Atto II – Ah, non poss’io partire – Renata Scotto, Mariella Devia
Delibes – Lakmé
Atto II – Où va la jeune indou – Mariella Devia
Rossini – La donna del lago
Atto II – Tanti affetti in tal momento – Lella Cuberli, Mariella Devia
Rossini – La pastorella delle Alpi – Joan Sutherland, Mariella Devia
Verdi – La traviata
Atto II – Dite alla giovine – Beverly Sills, Mariella Devia
Con buona pace di chi dissente (ed è più che legittimo), sono felice, da appassionato, di vedere un blog così vivo e pieno di dissensi.
La chiarezza (anche gramnmaticale e snitattica) di Donzelli, che mi consta aver seguito regolari e profittevoli corsi di studi, ritorna su un punto di fondo che, se disatteso, segnerà la scomparsa della rappresentabilità dell’opera lirica nelle sue condizioni costitutive: non tutte le voci possono cantare tutto. I testi a cui Donzelli fa riferimento sono reperibili nelle biblioteche comunali di molte città italiane, e rappresentano elementi di cui filologicamente mi pare opportuno tenere conto.
Se da bambini avete visto le comihce di Stan Laurel e Oliver Hardy, riterreste culturalmente giusto vederle colorate dalla tecnologia? Farebbe ridere lo stesso, ma sarebbe “altro”.
Se si proseguirà nell’indifferenza rispetto alla filologia dell’esecuzione, tra qualche tempo tutti i cantanti si doteranno di microfoni….
PS: fra le tante critiche, ancora grazie all’informazione gratuita rappresentata dal blog, con o senza imprecisioni lessicali e refusi, presenti ormai ovunque.
PS bis: i direttori artistici dei teatri italiani leggono i blog? i critici musicali leggono i blog?
Come il calcio é stato rovinato dagli ultras,cosí il teatro d´opera é stato distrutto dai fans.Conosco la voce di Mariella Devia da piú di trent´anni,in quanto ero presente al suo debutto,come Lucia,nel dicembre 1973 a Treviso.Eccellente cantante,ma da qui a ritenerla la piú grande belcantista di tutti i tempi…!Vogliamo paragonarla a una Sills od a una Sutherland?Ma mi faccia il piacere,direbbe la buonanima di Totó.Non ho ascoltato la Traviata perché vivo in Germania,ma,cosí come un cerchio non puó diventare quadro di colpo,é sicuro che la Devia non ha nessuna qualitá di fraseggio e presenza scenica per raffigurare una Violetta attendibile.A me queste sbrodolate agiografiche hanno sempre fatto sorridere.Si veda il caso della Callas,che oggi pare ad un passo dalla beatificazione mentre nessuno si ricorda piú i fischi che prendeva spesso e le stroncature feroci che riceveva dai critici.Vedasi ad esempio la Traviata del 1955 alla Scala,che oggi é citata con toni di leggenda ed allora fu letteralmente fatta a pezzi dalla stampa.
Senza rubarvi altro tempo,onoriamo Mariella Devia come una cantante che ha scritto pagine importanti nella storia operistica degli ultimi 25 anni e che ora affronta un repertorio per cui non é assolutamente portata avendo perduto la freschezza e l´agilitá necessarie per i suoi cavalli di battaglia.
Ma per favore,non scordiamoci che le belcantiste storiche sono ben altre…
Saluti da Stoccarda
Gentile Donzelli, La ringrazio molto degli ascolti, che mi hanno ancor più convinto della superiorità del canto della Signora Devia rispetto agli esempi che Ella ha voluto gentilmente sottoporci. ma, vede, forse questa disanima non è bene impostata. non si tratta di sapere sic et simpliciter chi è “più brava”; si tratta di riconoscere – come scrive angelo e come mi pare abbia scritto anche tamburini – che Mariella Devia è una cantante eccezionale, che ha scritto pagine assai rilevanti per la storia del canto negli ultimi decenni, pagine che rimarranno. il mio insistere sul tema è tanto più pervicace quanto più mi sembra, invece, di leggere recensioni e commenti che giocano sull’ironia rispetto all’età della Signora Devia piuttosto che sul suo essere ancora oggi una voce strepitosa e, per alcuni versi, lo ripeto, anche migliore rispetto al passato in quanto più consapevole, più sicura.
certo nessuno potrà convincermi che la rumena che taglia i da capo e mostra di avere ben poca dimestichezza con il personaggio tragico di violetta (non voglio attardarmi sulla sua voce o sul suo canto) è una giovane di belle speranze. lo sarà pure, purtroppo, ma soltanto perché – come tante volte anche in questo blog si è detto – spesso i teatri italiani funzionano male e non aiutano certo a educare il pubblico.
sinceramente non ho capito il post di tamburini che recita così: “Ma ricordi una cosa: le identità misteriose, su questo blog, sono effimere. Si abbia riguardo”. se Ella, signor tamburini, me lo vorrà gentilmente spiegare avrà la mia gratitudine.
cordialità
Prediletto Tamburini,
sarò anche antipatico, come sostiene il Signor Germont, ma credo che tecnica e stile siano tutto, nel canto come nella scrittura. Ergo: non si possono fare pulci tecniche e stilistiche a cantanti professionisti in articoli stilisticamente sciatti, pieni di imprecisioni sintattiche e grammaticali.
O meglio, si può. Ma allora si perde credibilità. Chi si picca di tutelare l’arte del canto attraverso una precisa scelta comunicazionale, firmando recensioni con pseudonimi altisonanti, non dovrebbe ostentare una prosa dilettantesca, nella quale, per dirla con le cognizioni grammaticali del Signor Germont: “scorra fiumi di refusi, errori, dimenticanze”. Magari con l’aggiunta di punti esclamativi e puntini di sospensione, tipici (questo lo diceva Montanelli) di chi non sa scrivere.
Se poi si pretende di stroncare ricorrendo anche all’ironia e al sarcasmo, il rischio di perdere credibilità aumenta. Scrivere è pur sempre un atto intellettuale e il fiele di Giovenale, caro Tamburini, non si addice alla penna (pardon, alla tastiera) di certi hobbisti.
Carlo, la tecnica e lo stile seguono a volte sentieri paralleli: in fondo è questo il tema dell’intervento di Donzelli.
Se questo blog le sembra sciatto, e i suoi redattori una manica di analfabeti, non ha che da rivolgersi altrove: Internet rigurgita di delicati pensieri critici forse punto originali, ma confezionati in lingua volonterosamente forbita, che, ne sono certo, la delizieranno.
Caro Sehnsucht,
l’ironia riguardo all’età della signora Devia credo che sia solo lei a notarla. Quando su questo blog si parla dell’età della signora è solo per ammirazione, mai per ironia. Nessuno nega l’eccezionalità del canto della Devia, ma lei attribuisce alla signora non solo i suoi meriti ma anche altri che soprattutto oggi non ha, quale la sublimità della voce (mi scusi ma cos’è la voce di una Maria Pedrini allora? per non citare la Caballè, la Tebaldi ecc), o le doti da tragedienne…mi scusi, quali? Persino come Bolena non c’erano accenti drammatici, ma solo una correttissima linea di canto, che andava applaudita a maggior ragione vista l’età, ma mi sembra abbastanza palese che in quel caso (e in altri recenti casi come anche questa Traviata) non ci si trovava di fronte ad una grande Anna Bolena, ma di fronte ad una grande professionista che si toglie lo sfizio di cantare Bolena.
Io stesso sono un grandissimo ammiratore della signora Devia, la sua ultima Lucia alla Scala è stata una delle serate più emozionanti cui abbia assistito, oltre che una grandissima lezione di canto (a maggior ragione per il cast che aveva attorno, ogni sera sempre più periclitante), ma non mi sogno di vedere nella signora meriti diversi dai suoi, che questo blog le ha sempre riconosciuto.
In quanto alla “rumena” non è rumena, è russa, si chiama Irina Lungu, e cortesemente le chiediamo di portare i modi di dire razzisti fuori da questa sede. Noi non ne pubblicheremo più neanche uno. Secondo, la Lungu ha tagliato i da capo come di tradizione, cioè come da 150 anni a questa parte, e ci ha risparmiato la noia di una ripetizione uguale e conforme (perchè di ripetizioni senza variazioni o puntature o varietà d’accento si trattava tra l’altro, e il da capo senza varietà è sempre stato considerato noia nella tradizione musicale) che la signora Devia ha voluto per dare un pò più di prestigio alla sua Violetta, ma eseguendo ogni ripetizione in maniera conforme nell’accento e senza qualche inserto virtuosistico (puntature), che rende il da capo più una velleità che una qualità.
E precisiamo che stiamo rispondendo a lei, e non alla signora Devia, che qui abbiamo sempre ammirato.
Le opinioni verranno pubblicate, ma non c’è disponibilità per polemiche ed inutili fanatismi. E non meriterebbe risposta neanche un post in cui si afferma la superiorità della Devia di fronte alla Sutherland e della Sills.
La polemica per parte nostra finisce qua.
Caro Tamburini,
prendo atto dell’invito a frequentare altri siti. Tuttavia, la prego di non attribuirmi pensieri e predilezioni che non mi appartengono. Non amo lo stile forbito fine a se stesso, né i pensieri critici delicati. E non penso – né ho mai scritto – che i redattori di questo blog siano tutti analfabeti.
Più semplicemente, la prosa trasandata e spesso scorretta della Grisi (a proposito, che fine ha fatto?) mi ricorda l’atteggiamento fastidioso di chi vede la pagliuzza nell’occhio (o nell’ugola) altrui e non s’accorge di quanto sia ingombrante la propria trave. In fondo, basterebbe poco per far uscire la Grisi dalla crisi: un po’ autocritica e un accurato lavoro di editing.
Carlo, ma io dicevo per Lei, affinché non dovesse soffrire nel leggere i nostri strafalcioni. Sarebbe da masochisti frequentare un luogo – sia pur telematico – in cui a ogni piè sospinto si trovano motivi di frustrazione.
Ma è chiaro che se Lei decide di continuare a leggerci, malgrado le numerose nostre imperfezioni, io ne sono lietissimo, e lo stesso vale per i miei colleghi.
Cosa vuole, caro Tamburini, è una deformazione professionale. Faccio il redattore pure io – sia pure non telematico – e non sopporto certe castronerie. Quindi, la mia potrebbe essere anche una forma di sadismo. In fondo, come insegna Freud, masochismo e sadismo vanno a braccetto. Alla prossima.
Il redattore o…….. il correttore di bozze???????
Saluti.
Da redattore, dovrebbe sapere che la figura del correttore di bozze non esiste più. Mi spiace per la Grisi.
Potrei aggiungere che mi occupo di musica e altro ancora, ma non vorrei – come lei mi insegna – rendere troppo effimera la mia identità misteriosa. A presto.
Lucrezia dice “Il tempo vola”… Noi potremmo dire “Nomen volat”…
caro nourrit, non credo che dire rumeno sia razzismo: anche dire russo,italiano, francese, inglese o tedesco lo è? come vede è proprio un caso di incompatiblità anche lessicale, direi filologica,il nostro. forse per questo mi rispondete a turno e così in realtà nessuno risponde.
anche per me la polemica finisce qui: mi auto estendo, per solidarietà, l’invito che avete rivolto a un altro ammiratore della lingua italiana, di rivolgersi ad altri siti.
cordialissimi saluti a tutti, in particolare alla Signora Grisi e i miei migliori auguri per le vostre prossime recite alle quali non vorrò assistere.
Sehnsucht, “la rumena che taglia i da capo” è un epiteto razzista. Le piacerebbe essere definito “l’italiano che si esalta per una Violettina”? Non credo.
Nel leggere la bagarre che si è innestata in merito alla Devia, non posso fare a meno di sorridere. Devo dire che condivido l’80 % di quanto riferito nell’articolo sul canto della sig.ra Devia, che di certo non ha mai posseduto doti sceniche da comedie francaise, e fraseggi adatti a opere come Traviata. La Devia fa Traviata come può, di certo senza una cifra realmente personale… Eppure come si fa a tenere la puzza sotto il naso di fronte a un canto come quello della Devia in mezzo al vero e proprio deserto vocale che attanaglia la nostra epoca? Vogliamo ricordare, per inciso, lo stato vocale di quelle cantanti più illustri citate nell’articolo nella stessa età anagrafica della sig.ra Devia? Mi piace molto questo sito e apprezzo coloro che vi scrivono. Se mi è consentito, però, vorrei mettere in guardia gli illustri autori da un atteggiamento che sembra trapelare di tanto in tanto dagli interventi: ovvero che il passato sia, per definizione, sempre meglio, sempre da imitare, sempre da osannare, rispetto alla magrezza del presente. Di certo il presente è di una piattezza desolante per gli amanti del canto lirico. Ma bisogna guardarsi anche da certo fanatismo passatista, che – almeno secondo il mio punto di vista – nuoce moltissimo alle sorti del teatro lirico moderno, oltre che avere un innegabile sapore “reazinario” abbastanza sgradevole e miope. Mi scuso per lo sfogo, ma non si può guardare sempre al passato e disprezzare il presente solo perchè è tale… Ho recentemente ascolato la Devia al S. Carlo di Napoli, e in molti casi – pur nell’assenza del fraseggio callasiano, della liquidezza sutherlandiana, della morbidezza caballeiana, e del virtuosismo sillsiano – quello che si ascoltava era una bella voce che cantava… Cosa che, nei tempi attuali, è già un miracolo. Tornando a Traviata (e concludendo!), non posso non sottolineare come il personaggio di Violetta sia, proprio perchè capolavoro assoluto del teatro di tutti i tempi, polimorfo, non di certo riducibile a poche nozioni di storia della musica e dell’interpretazione del canto lirico. E di fronte a un capolavoro siffatto si possono assumere due atteggiamenti sostanziali: 1. essere aderenti il più possibile alla filologia e alla storia per non cercare di entrare nella cristalleria con il classico elefante; 2. osare e avere il coraggio di proporre nuove letture e nuove prospettive, tali da mettere in moto quello che P. Ricouer ha efficacemente definito come il “circolo ermeneutico”. Adesso: amo talmente l’opera da non tollerare che se ne snaturi l’essenza. Ma ciò non mi impedisce di apprezzare lo sperimentalismo e chi cerca di rendere appetibile, in un’epoca diversissima da quella un cui ha visto la luce la su citata opera, un genere che indubbiamente sta – ahinoi – scomparendo. Questa operazione, al di là degli esiti sui spesso conduce, merita comunque attenzione.
Caro Vellluti,
le rispondo provocatoriamente.Ci rendiamo benissimo conto di ciò che lei afferma e, peraltro,
nessuno nega nulla alla signora Devia. Qualità vocali, tecniche, serietà professionale ( siamo stati anche noi tra il suo primo pubblico )…ma nemmeno parte della responsabilità che porta, insieme ad altre come la Gruberova, cioè l’aver sdoganato il soprano leggero nei ruoli drammatici.Il che alla lunga non è serio, perchè a questo punto il rispetto della volontà dell’autore dove và a finire?
Che i grandi si prendano dei lussi, e possano farlo, è altro da trasformare l’eccezione in regola.
Quali sono le conseguenze dell’avere regolarmente soprani leggeri in ruoli di soprano drammatico? Il lusso delle Devia non dà forse la stura alle Straniere della Ciofi, ai velleitari Devereux delle Mei etccc.????
Forse noi siamo passatisti, ma al presente “modernismo” la Devia non è del tutto immune, quando ci ricorda che non canterà la Stuarda come la Caballè perchè ” il gusto evolve” ( …e chi pretendeva la Caballè poi???)
Il dibattito sulle Traviate mi pare che abbia senso solo su questo fronte, perchè il resto mi pare attenga al tema del “declino vocale” di una grande cantante, argomento sterile e fine a se stesso, in un ruolo comunque mai fino in fondo suo e che ne ha da sempre mostrato i limiti di interprete ( come altri soprani belcantisti ) e scenici.
Aspetto la sua opinione circa la questione del gusto che evolve….
a presto
Prima di tutto vorrei esprimere un parere sul presunto “declino vocale” della Devia. Indubbiamente la voce non è più freschissima, ma non si può non sottolineare quanto cantanti ben più blasonate di lei in questo sito a sessant’anni fossero quasi inudibili; come non ricordare i vari Turchi in Italia della grande Caballè, o i vari Masnadieri della stupenda, o i vari Rigoletti della divina Sills? Eppure non mi pare che in questo blog si siano levate voci di protesta in merito. Si sa che i miti sono miti, ma obiettività vorrebbe che si usasse lo stesso metro per tutti i casi. Con ciò non voglio negare di un essere un fanatico della Caballè, della Sutherland e della Sills, eppure il loro stato vocale molto prima dei sessant’anni era già in evidente declino… Ho notato poi che avete celebrato, com’era doveroso, un’artista come Leyla Gencer, la quale, come è noto, finchè cantò da soprano leggero fu abbastanza gradevole (non è mai stata però un fulmine di guerra!), ma non appena virò col repertorio (forse troppo presto: basti sentire la forza del destino del ’58 per rendersene conto: i centri sono del tutto vuoti; i gravi hanno un non so che di intubato; gli acuti del duetto col basso in alcuni momenti gridano letteralmente vendetta!), compromise del tutto un’organizzazione vocale abbastanza periclitante (quegli orrendi colpi di glottide, così evidenti nei pianissimi da fagocitare quasi del tutto il suono stesso!): la voce divenne pesante, gutturale, abbastanza oscillante… E non mi pare che il fraseggio andasse troppo oltre una certa e generica imitazione callasiana. Eppure su tali esecuzioni non mi sembra che abbiate levato voci di protesta. La Devia, di contro, al di là di un certo appannamento nella zona di passaggio, appare comunque ancora salda nel registro acuto e sovracuto, con una omogeneità timbrica direi invidiabile. E non ci troviamo neppure di fronte a un timbro oscurato ad arte (il caso della Gencer, ad esempio), ma ad una voce che è naturalmente cresciuta, fino a diventare di notevole spessore sonoro (basti sentire il finale della Beatrice di Tenda diretta da Muti per rendersene conto). Nel concerto dello scorso anno a Napoli la voce si spandeva nella sala del San Carlo con armonici non trasbordanti, ma pieni, densi, e con un non so che di cristallino nel timbro. Insomma: una grande cantante, che per tecnica non ha nulla da invidiare a nessuno.
Per quanto concerne l’evoluzione del gusto, è arcinoto che ogni arte è tale proprio perchè si evolve. Come non esiste un paradigma nella pittura, per cui Leonardo e Matisse, seppur diversissimi, sono entrambi artisti geniali, proprio perchè espressione di una particolare temperie storica, della quale interpretano splendori e contraddizioni, direi che se non ci fossero segni di evoluzione del gusto esecutivo potremmo ben decretare la definitiva morte dell’opera! Purtroppo (!) il gusto degli ascoltatori è sovrano: molto banalmente, se una cosa piace, vuol dire che va incontro a determinate esigenze di quel particolare ascoltatore, e questa cosa va rispettata per quella che è. Ciò non significa che il consensus gentium sia un parametro CRITICAMENTE affidabile. Ma come si sa il gusto non è quasi mai strettamente connesso all’attendibilità di un’esecuzione. Il gusto è fruizione. Resta, però, che un’artista come la Callas, e vi chiederei di interrogarvi su questo, nonostante sia oramai solo un nome per molti (e vi posso assicurare che il gossip alla Limiti e Signorini non ha alcuna rilevanza), continua ad essere in cima alla discografia operistica, anche per giovani amanti dell’opera (è il mio caso, ad esempio), mentre le cosiddette “grandi” del passato non sono altro che mummie finite nei musei dimenticati della storia del canto lirico. Avete spesso proposto ascolti di cimeli musicali, la Sembrich la Tetrazzini, la Patti, ecc.: confesso di provare un certo disagio nell’ascoltare vocine tanto smunte e nasali, con agilità spesso più simili a gargarismi (improponibili, per quanto mi riguarda, confronti con la Sutherland o la Sills), e con fraseggi prossimi alla catatonia. Sarà tanto MUSICOLOGICO apprezzare interpretazioni di questo tipo, ma resta che i giovani melomani, qualora vogliano godersi una bella esecuzione di “Bel raggio lusinghier”, di certo non si volgeranno alla Sembrich, ma acquisteranno un cd della Callas o della Sutherland. Il gusto evolve, ed è questa evoluzione che (a volte ingiustamente) decide cosa passa alla storia e rimane attuale, e cosa va a finire nei sotterranei dei musei della lirica.
Sono sicuro che le grandi primedonne del passato, specie le prime interpreti dei grandi ruoli che oggi chiamiamo di soprano “drammatico”. fossero vocalmente stilisticamente e tecnicamente, a giudicare da quello che i compositori scrivevano per loro, molto più simili alla Gruberova e alla Devia che non a quelli che noi oggi chiamamo soprani drammatici… è il nostro, di gusto, che si è modificato e ahimé non evoluto … vi ricordo che ancora negli anni 30 una grandissima Traviata in tutto il mondo è stata la Capsir…
Vorrei solo far presente che frasi come:
” Le opinioni verranno pubblicate, ma non c’è disponibilità per polemiche ed inutili fanatismi. E non meriterebbe risposta neanche un post in cui si afferma la superiorità della Devia di fronte alla Sutherland e della Sills.
La polemica per parte nostra finisce qua.”
sono offensive per l’intelligenza degli stessi redattori di questo stimato blog. Un blog aperto a tutti è un blog aperto a tutti. Se non volete commenti discordanti con il vostro pensiero, rendete il blog privato e leggetelo fra di voi.
Mi ricorda molto una frase recente dell’attuale Presidente della Camera dei Deputati che, vergognosamente, ha detto rivolgendosi a un deputato che lamentava l’essere continuamente interrotto nel suo discorso:” E’ naturale, dipende da cosa si dice…”.
Che Dio lo perdoni.
vedrò di essere sintetico.
Quanto scritto da Velluti meriterebbe un post che mi riservo con il titolo “perchè ascoltare un 78 giri” per quando avrò tempo. Come, quando avrò tempo, dirò quel che penso sull’accento verdiano.
I post del nume di Aida sono stati pubblicati, e questo memori di tagli di opinioni, altrove sofferti.
Quanto alla signora Devia, per quel che vale l’opinione di chi, come me l’ha ascoltata a far data dal 1984 ritengo che la sua carriera è stata al di sopra di qualità e potenzialità, complice il ritiro di altre colleghe, sue coetanee ed in grande carriera da molto prima, ed il deserto delle generazioni successive.
Quando Mariella Devia si esibì a Verona in Manon Lescaut di Auber pur in una esibizione corretta, mancava di civetteria nella famosa bourbonnaise (sentire un soprano di coloratura come la Galli- Curci che fa) sia di un timbro spontaneamente morbido e dolce al centro per la grande aria del temporale all’atto successivo. L’impressione si ripetè pochi mesi dopo in Adelaide di Borgogna a Martina Franca. Sopratutto per la voce dotatissima in alto, ma vuota e magra al centro (zona dove insiste il vero virtuosismo rossiniano). La circostanza era evidente nel raffronto con la partner di allora: Martine Dupuy, le cui risorse non erano certo un centro alla Valentini od alla Cossotto per essere spiani.
L’impressione si ripetè identica, ad onta della facilità nelle mirabolanti variazioni predisposte da Alberto Zedda, per l’Elvira dei Puritani l’anno successivo.
Quando, poi, Mariella Devia cantò la propria prima Lucia in Scala alla sortita la voce era difficilmente udibile.
Poi a far data dal 1995 circa le cose migliorarono al centro a condizione che la signora cantasse parti di cosiddetto soprano assoluto. Cioè le proprie.
Nelle parti Colbran o di soprano usurpato (Pasta, Ungher, Ronzi) delle due o la signora era opaca al centro o ricorreva a trasporti. Leciti e legittimi, più filologici dell’esecuzione letterale, ma sottoposti alla sola condizione di non tradire l’accento del personaggio ed il carattere.
Comprendo che sia difficile capirlo, dinnanzi ad una esecuzione vocale corretta e anche più, ma era l’accento che nei ruoli drammatici ha sempre difettato nella signora Devia. E’ paradossale, ma una voce di limitato volume come quella di Lella Cuberli nel suo miglio periodo non ha incontrato questo limite. Né aveva altri, per essere sempre obiettivi. E siccome li aveva evitò certe parti. Si potrebbe anche dire che non le furono offerte, perchè erano i tempi in cui una Bolena doveva avere almeno volume ed ampiezza di una Maria Chiara.
L’aver chiamato in causa Sembrich, Patti, Melba etc e l’aver riportato, non se ne abbia a male Velluti, opinioni che da anni per radio vengono ribadite e della cui strumentalità ho qualche dubbio mi invita a due piccole riflessioni:
1) Non serve essere Musicologi per ascoltare il passato, basta essere appassionati.
2) Sono tanti i motivi per sentire quei dischi. Riferito a Mariella Devia, ma anche alle vaire Anderson, Gruberova, Cuberli ne indico uno solo. L’emissione delle note basse. All’ascoltatore allenato al disco antico, ma sopratutto al canto di grande scuola, non credo possa sfuggire che quei suoni bassi hanno una posizione molto più alta ed elevata nella maschera di quello delle cantanti diciamo contemporanee. E non si sente, a differenza dei dischi di una Toti (per restare ai soprani leggeri) alcun buco o “scalino” nella salita alle note centrali.
Era questo tipo di emissione il solo mezzo che garantiva alle regine della notte o alle Lucie di essere Elvira di Ernani o donna Leonora del Trovatore e di cantare le parti liriche di Wagner.
A presto Domenico
Solo un pensiero rispetto a quanto riferito da Donzelli. Il mio giudizio sui 78 giri prescinde totalmente da pareri interessati (non conosco le trasmissioni radiofoniche a cui fa riferimento); è il parere di uno che ascolta e che si aspetta determinate cose da un’esecuzione operistica. Ma anche Donzelli, quando ascolta, inevitabilmente si aspetta qualcosa da quell’esecuzione. Per questo ogni critica non è una registrazione asettica. In fondo l’oggettività non può e non deve esistere nella buona critica (vedi il saggio di Wilde, Il critico come artista). Quanto le incisioni a 78 giri propongono non vanno incontro alle mie aspettativa di fronte a un’interpretazione lirica. A ciò si unisca che, nella maggior parte dei casi, i 78 giri ritraggono le dive su citate – per ovvii motivi di tempo – in evidente declino vocale per lo stato avanzato dell’età. Insomma, saranno perfettamente in maschera le note gravi della Melba o della Patti, ma questo – al di là di un interesse meramente antiquario – non assicura assolutamente la TOTALE godibilità di un’esecuzione (ad esempio sentire I puritani o Traviata con un accompagnamento bandistico, per ovvi motivi di ricezione da parte degli strumenti dell’epoca, è, almeno per me, un vero strazio dell’anima). La grandezza della musica operistica emerge sempre da un insieme di elementi, dalla voce all’orchestra, alla scelta dei tempi. E con questo non si vuole sminuire grandissime rappresentanti del teatro lirico del passato. Ogni parere va storicizzato, in mod da fugare ogni sospetto – quello, si, imperdonabile – del dogmatismo e dell’assolutismo.
caro giovan battista,
allora siccome non è perfettamente godibile in quanto lievemente ingiuriato dal tempo, dai barbari e dai Barberini, tu a Roma non vai a vedere il Pantheon?
Peggio se pensiamo al Colosseo, alla Villa Adriana di Tivoli Diciamo che per il Pantheon come per la Melba, ma anche per la Armida della Callas ci sono modalità di fruizione differenti da quelle previste per l’Empire, per la Sutherland in studio e per l’ultimo live di Anna Netrebko, cui rinuncio volentieri a favore di un cilindro Mapleson !!! Parlo per eccessi.
ciao, a presto anche se sei fulmineo nel replicare e metti a dura prova il mio poco tempo.
domenico
Direi che il Pantheon è l’Armida della Callas (o il Partenone). Forse la Traviata della Melba potrebbe essere associabile alla descrizione di Pausania del tempio di Delfi o di qualsiasi altro monumento dell’epoca…
andando avanti nel gioco dei paradossi e degli eccessi, allora la descrizione di Stendhal della Pasta o di Gautier della Grisi che cosa sono?
Quelle sono la descrizione di un oggetto che non ci è stato tramandato la Patti o Santley o Cotogni ci sono pervenuti sia pure all’età della pensione e con mezzi rudimentali.
Prova immaginare che immagine parzialissima avremmo della Sutherland registrata con quei sistemi all’epoca della Borgia di Barcellona.
ciao
Mah! Non amo molto i paradossi… Effettivamente, però, il parallelismo con Pausania non funziona molto… Il Pantheon, comunque, è stato reimpiegato come chiesa cristiana, per questo si è conservato meglio di altri edifici dell’antichità… Forse funziona maggiormente il paragone con i ruderi del muro del pianto di Gerusalemme, la cui antica grandezza non emerge assolutamente dalle vestigia attuali, ma è ipotizzata, non si sa fino a che punto a ragione, sulla scorta delle fonti antiche. Si dice, nelle fonti antiche, che il Tempio di Erode il Grande fosse un vero e proprio splendore architettonico… Sarà! Ma da quello che si vede oggi è proprio difficile poter confermare le notizie dell’epoca…