Una delle più accreditate favole che circolano nel mondo del’opera racconta che per cantare Violetta occorrano tre soprani. Leggero al primo, lirico al secondo ed addirittura drammatico al terzo. Come tutte le leggende ha un suo apparente fondamento. Peccato che urti con il fatto indiscutibile ed universalmente noto, ossia che ai tempi di Verdi non esistesse quella divisione dei soprani, portato della vocalità e del gusto tardo ottocentesco.
L’interesse che il personaggio, assolutamente moderno e diverso da tutti quelli che sino ad alora erano stati portati sulle scene, in questo senso autentica anticipazione, grazie alla fonte letteraria, sia chiaro, non poteva che attirare ogni genere di soprano.
Sin dall’inizio, però, attirò più i soprani di agilità che non le tragedienne. Basta pensare che una acclamata Violetta fu Angelina Bosio, cui Arditi dedicò il famoso Bacio. Cantanti come la Frezzolini, la Tadolini, soprani drammatici per antonomasia, se ne tennero lontane.
Tanto è che negli anni 70 dell’800 la Violetta più acclamata, pure da Verdi per mezzo del fedelissimo Emanuele Muzio, era Adelina Patti, modello vocale ed interpretativo dei cosiddetti soprani leggeri. E per completezza dobbiamo precisare che sia Gemma Bellincioni che Hericlea Darcleé, sotto diversi profili soprani esemplari del Verismo provenivano dalle file dei soprani di agilità.
Va, anche, precisato che nonostante la leggenda dei tre soprani, che sarebbero necessari, Violetta al soprano d’agilità può stare bene perché gli slanci drammatici “non sapete quale affetto”, l’ingresso di Violetta alla festa di Flora, e il “gran Dio morir si giovane” sono di scrittura centrale e consentono slancio anche a voci di limitata ampiezza.
Va anche detto che i soprani d’agilità di fine Ottocento e del primo ventennio del Novecento non avevano ancora subito la veristizzazione, che avrebbe imposto per esigenze interpretative suoni scoperti al centro atti a rendere debolezza e fragilità delle eroine romantiche.
In buona sostanza da un lato abbiamo Marcella Sembrich o Amelita Galli-Curci soprani d’agilità e dall’altro Margherita Carosio o Toti dal Monte o Mercedes Capsir, soprani leggeri in salsa verista.
La novità del personaggio, anticipazione drammatica e psicologica di tutti quelli dell’opera francese e Verista, non poteva fra Otto e Novecento non attirare i soprani di nuovi generazione e gusto. Un po’ perché alcune provenivano (Bellincioni) dalle schiere dei soprani di agilità, un po’ perché, con qualche accomodo al primo atto e complice il gusto imperante, che riteneva secondario, ai fini interpretativi, l’esatta esecuzione dei passi di agilità, cominciarono a circolare applauditissime le Violette di Rosina Storchio, Claudia Muzio, Gilda dalla Rizza, Lucrezia Bori, Mafalda Favero, Licia Albanese, Magda Olivero. In alcuni casi Storchio, Muzio e soprattutto Madga Olivero con risultati di levatura storica.
Poi nel ruolo di Violetta si peritarono persino soprani definiti lirico spinti e drammatici, Giannina Russ, Ester Mazzoleni, Rosa Ponselle (che a detta di Lauri Volpi “si rovinò” per colpa della Traviata) la Caniglia, la Cigna sino alla Callas ed alla Tebaldi. Anche qui con la lettura storica della Callas, complici, nella tradizione agiografica, elementi estranei al canto ed alla musica.
La lettura e la tradizione interpretativa della Callas ha limitato nelle cantanti della generazione successiva, se si esclude Renata Scotto, l’approccio a Violetta. Prova ne sia l’assenza per trent’anni dalla sala del Piermarini ed un ritorno discutibile non solo per il risultato vocale, ma anche per le cautele che lo accompagnarono, mosse dall’imperativo categorico che di trionfo dovesse trattarsi.
Passato lo spatium lugendi dei vedovi Violetta ha ricominciato ad essere stabilmente nei cartelloni. E quel che più rileva con la rivincita dei soprani cosiddetti leggeri o di agilità, atteso che le due più accreditate rappresentanti della categoria Edita Gruberova e Mariella Devia hanno reiteratamente, nei teatri di loro militanza e competenza, vestito i panni della Dame aux camélias.
Un ritorno a passato. Passato che non censurava, anzi, l’idea della Violetta soprano di agilità.
Non solo furono Violette applauditissime soprani d’agilità come la Sembrich , la Melba e la Arnoldson, ma soprani leggeri come la Tetrazzini, la Hempel e la Galli Curci.
Anzi le cadenze e le varianti di Luisa Tetrazzini nella grande scena di Violetta al primo atto sono state riprese da Joan Sutherland e riguardo l’interpretazione di Amelita Galli Curci (che con Violetta inaugurò, debuttando al Met nella stagione successiva la morte di Caruso) il critico del New York Times dichiarò che era la più completa e contrapposta a quella di Rosa Ponselle, essendo la Galli Curci la raffigurazione della vittima e della sofferenza, la Ponselle della bellissima ed elegante cortigiana.
All’idea che Violetta sia essenzialmente remissiva, anticipata vittima perché sa che questo è il destino riservato a “quelle come lei” si attengono nel momento clou dell’opera tutti i soprani di coloratura. Gli attacchi precisissimi, la preponderanza dell’effetto tragico raggiunto con il legato, la qualità del suono sono i punti di forza comuni a tutte le Violette di provenienza coloratura. Come al valzer, che chiude il primo atto l’effetto drammatico, perché siamo fuori del bel canto anche se Verdi ne utilizza ancora gli stilemi espressivi è raggiunto con la velocità e la precisione dell’esecuzione. Esecuzione, che nel caso della Tetrazzini, nel passato remoto e di Joan Sutherland nel prossimo comprende anche lo sfoggio acrobatico. Può essere censurabile, ma ogni scrittura vocale ha mezzi propri per essere esaltata (si pensi in altro clima culturale alle dinamica di Schipa o della Caballè) e quindi l’idea ha un suo logico ed inappuntabile fondamento.
L’interesse che il personaggio, assolutamente moderno e diverso da tutti quelli che sino ad alora erano stati portati sulle scene, in questo senso autentica anticipazione, grazie alla fonte letteraria, sia chiaro, non poteva che attirare ogni genere di soprano.
Sin dall’inizio, però, attirò più i soprani di agilità che non le tragedienne. Basta pensare che una acclamata Violetta fu Angelina Bosio, cui Arditi dedicò il famoso Bacio. Cantanti come la Frezzolini, la Tadolini, soprani drammatici per antonomasia, se ne tennero lontane.
Tanto è che negli anni 70 dell’800 la Violetta più acclamata, pure da Verdi per mezzo del fedelissimo Emanuele Muzio, era Adelina Patti, modello vocale ed interpretativo dei cosiddetti soprani leggeri. E per completezza dobbiamo precisare che sia Gemma Bellincioni che Hericlea Darcleé, sotto diversi profili soprani esemplari del Verismo provenivano dalle file dei soprani di agilità.
Va, anche, precisato che nonostante la leggenda dei tre soprani, che sarebbero necessari, Violetta al soprano d’agilità può stare bene perché gli slanci drammatici “non sapete quale affetto”, l’ingresso di Violetta alla festa di Flora, e il “gran Dio morir si giovane” sono di scrittura centrale e consentono slancio anche a voci di limitata ampiezza.
Va anche detto che i soprani d’agilità di fine Ottocento e del primo ventennio del Novecento non avevano ancora subito la veristizzazione, che avrebbe imposto per esigenze interpretative suoni scoperti al centro atti a rendere debolezza e fragilità delle eroine romantiche.
In buona sostanza da un lato abbiamo Marcella Sembrich o Amelita Galli-Curci soprani d’agilità e dall’altro Margherita Carosio o Toti dal Monte o Mercedes Capsir, soprani leggeri in salsa verista.
La novità del personaggio, anticipazione drammatica e psicologica di tutti quelli dell’opera francese e Verista, non poteva fra Otto e Novecento non attirare i soprani di nuovi generazione e gusto. Un po’ perché alcune provenivano (Bellincioni) dalle schiere dei soprani di agilità, un po’ perché, con qualche accomodo al primo atto e complice il gusto imperante, che riteneva secondario, ai fini interpretativi, l’esatta esecuzione dei passi di agilità, cominciarono a circolare applauditissime le Violette di Rosina Storchio, Claudia Muzio, Gilda dalla Rizza, Lucrezia Bori, Mafalda Favero, Licia Albanese, Magda Olivero. In alcuni casi Storchio, Muzio e soprattutto Madga Olivero con risultati di levatura storica.
Poi nel ruolo di Violetta si peritarono persino soprani definiti lirico spinti e drammatici, Giannina Russ, Ester Mazzoleni, Rosa Ponselle (che a detta di Lauri Volpi “si rovinò” per colpa della Traviata) la Caniglia, la Cigna sino alla Callas ed alla Tebaldi. Anche qui con la lettura storica della Callas, complici, nella tradizione agiografica, elementi estranei al canto ed alla musica.
La lettura e la tradizione interpretativa della Callas ha limitato nelle cantanti della generazione successiva, se si esclude Renata Scotto, l’approccio a Violetta. Prova ne sia l’assenza per trent’anni dalla sala del Piermarini ed un ritorno discutibile non solo per il risultato vocale, ma anche per le cautele che lo accompagnarono, mosse dall’imperativo categorico che di trionfo dovesse trattarsi.
Passato lo spatium lugendi dei vedovi Violetta ha ricominciato ad essere stabilmente nei cartelloni. E quel che più rileva con la rivincita dei soprani cosiddetti leggeri o di agilità, atteso che le due più accreditate rappresentanti della categoria Edita Gruberova e Mariella Devia hanno reiteratamente, nei teatri di loro militanza e competenza, vestito i panni della Dame aux camélias.
Un ritorno a passato. Passato che non censurava, anzi, l’idea della Violetta soprano di agilità.
Non solo furono Violette applauditissime soprani d’agilità come la Sembrich , la Melba e la Arnoldson, ma soprani leggeri come la Tetrazzini, la Hempel e la Galli Curci.
Anzi le cadenze e le varianti di Luisa Tetrazzini nella grande scena di Violetta al primo atto sono state riprese da Joan Sutherland e riguardo l’interpretazione di Amelita Galli Curci (che con Violetta inaugurò, debuttando al Met nella stagione successiva la morte di Caruso) il critico del New York Times dichiarò che era la più completa e contrapposta a quella di Rosa Ponselle, essendo la Galli Curci la raffigurazione della vittima e della sofferenza, la Ponselle della bellissima ed elegante cortigiana.
All’idea che Violetta sia essenzialmente remissiva, anticipata vittima perché sa che questo è il destino riservato a “quelle come lei” si attengono nel momento clou dell’opera tutti i soprani di coloratura. Gli attacchi precisissimi, la preponderanza dell’effetto tragico raggiunto con il legato, la qualità del suono sono i punti di forza comuni a tutte le Violette di provenienza coloratura. Come al valzer, che chiude il primo atto l’effetto drammatico, perché siamo fuori del bel canto anche se Verdi ne utilizza ancora gli stilemi espressivi è raggiunto con la velocità e la precisione dell’esecuzione. Esecuzione, che nel caso della Tetrazzini, nel passato remoto e di Joan Sutherland nel prossimo comprende anche lo sfoggio acrobatico. Può essere censurabile, ma ogni scrittura vocale ha mezzi propri per essere esaltata (si pensi in altro clima culturale alle dinamica di Schipa o della Caballè) e quindi l’idea ha un suo logico ed inappuntabile fondamento.
Gli ascolti
Verdi – La traviata
Atto I
Un dì, felice, eterea – Tito Schipa & Amelita Galli-Curci
Ah, fors’è lui… Sempre libera – Sigrid Arnoldson, Nellie Melba, Olimpia Boronat, Luisa Tetrazzini, Amelita Galli-Curci
Atto II
Dite alla giovine… Morrò, la mia memoria – Amelita Galli-Curci & Giuseppe De Luca, Frieda Hempel & Pasquale Amato
Ed or si scriva a lui… Amami Alfredo – Bidu Sayao
Atto III
Addio del passato – Selma Kurz
Parigi, o cara… Gran Dio! Morir sì giovine – Frieda Hempel & Hermann Jadlowker, Bidu Sayao & Charles Kullman