Orchestra e coro del Teatro di San Carlo
Direttore – Piergiorgio Morandi
Regia – Giancarlo Cobelli
Arvino – Tito Beltran
Pagano – Ruggero Raimondi
Viclinda – Maria Cioppi
Giselda – Dimitra Theodossiou
Oronte – Fabio Sartori
Sofia – Adelina Scarabelli
Una nube di mestizia avvolge la produzione di Lombardi in scena in questi giorni al San Carlo di Napoli. Curioso che uno dei titoli più vibranti del primo Verdi sortisca effetto tanto narcotico. Da più parti sentiamo additare quale responsabile della diffusa letargia il direttore d’orchestra Morandi, che in effetti ha palesi difficoltà non solo e non tanto a trovare il “colore” del melodramma ottocentesco di sapore patriottardo, ma, più banalmente, a tenere il tempo e a far procedere insieme orchestra e cantanti. Ma di non minore importanza appare il contributo di solisti di canto che poca o punta idea sembrano possedere delle richieste avanzate dalla scrittura verdiana, per tacere dell’accento e dell’interpretazione.
Andiamo con ordine. Fin dal suo ingresso il coro, che tanta parte ha in questo lavoro, dà una prova di livello poco professionale: a parte le frequenti stonature, domina la scena un senso generale di confusione e scarsa precisione, che sfocia in pesanti fuori tempo già nella stretta dell’introduzione. E tacciamo del gusto rocaille con cui vengono affrontati gli spumeggianti ritmi verdiani, tanto che spesso si ha l’impressione di assistere ai Lombardi a Marechiare, opera minore di Piccinni o Cimarosa. E l’orchestra riesce ad essere “fracassona” pur con striminzite sonorità. Un autentico virtuosismo!
Ruggero Raimondi, subentrato nel ruolo di Pagano all’annunciato e “forfettato” Erwin Schrott, non è, in fondo, peggiorato rispetto all’edizione romana con la Scotto e Pavarotti di quasi quarant’anni fa: il cantare ingolato e il personalissimo concetto di intonazione sono gli stessi. C’è da dire che la voce, sempre importante, si è fatta, però, rauca, soffocata. La solennità dell’Eremita guida spirituale e militare dei lombardi e prerogativa del basso in Verdi latitano. Forse latiterebbe anche il rispetto delle prescrizioni dinamiche ed agogiche di Falstaff.
Stella dello show, manco a dirlo, è la Giselda di Dimitra Theodossiou. Fattasi annunciare indisposta prima dello spettacolo, la signora esibisce una vocina stenta, tanto intubata da apparire quasi mezzosopranile nel timbro. E’ il risultato di una lunga pratica del Verdi ” da battaglia”, del Donizetti più tragico senza il supporto tecnico, con un mezzo da lirico e con velleità e gusto interpretativi da soprano anni trenta. Attualmente per arrivare in fondo la linea di canto, più sorvegliata rispetto ai recenti cimenti donizettiani, è applicata a un filo di suono, che non di rado si spezza e sale con udibile sforzo ad acuti che assomigliano molto a strilletti. Si ha insomma l’impressione di una cantante che accenna, e dopo le afonie e i suoni calanti delle due preghiere si lancia nella grande invettiva che chiude il secondo atto senza la generosità e la follia che avevamo imparato a riconoscere come sua cifra caratteristica. O meglio: la signora urla come sempre, solo che questa volta lo fa senza voce. Ma la serata è ancora lunga e Dimitra ha tutto il tempo di perdere quel che resta dello slavato registro grave, prima di regalarci una cabaletta della visione (senza da capo) che rende il personaggio una parente stretta di Adina. O forse Giselda è una parte da soprano leggero e nessuno se n’è mai accorto?
Non va meglio con i tenori. Sartori, che pure è l’elemento più professionale e musicale in campo, è assai grezzo: “ingrossa” artificialmente la voce, nell’aria del secondo atto singhiozza copiosamente e non trova in alcun punto l’accento e i colori del principe orientale. Peggio Tito Beltran, costantemente impiccato in acuto: il do annunciato nell’intervista radiofonica come “passionale” è il rantolo di un infante maligno. Fra i comprimari fa tenerezza ritrovare Adelina Scarabelli che, pur assai malconcia, ha una linea di canto più ortodossa di quella della protagonista femminile. Non possiamo dire lo stesso della Viclinda, degna madre di tanta figlia.
E a commento di una serata a dir poco incredibile, riascoltiamo una Giselda che fu, a suo tempo, generosamente e giustamente censurata e che oggi, crediamo, non si limiterebbe a passare indenne, ma otterrebbe un buon successo, se non un trionfo… non fosse che per la voce, più salda e a fuoco di quella della Theodossiou.
G. Verdi – I Lombardi alla Prima Crociata
Atto II – No!… Giusta causa – Elizabeth Connell
Mi torna in mente l´edizione scaligera del 1984,con la Dimitrova,Carreras e Carroli diretti da Gavazzeni.E pensare che allora ci prendevamo anche il lusso di criticare!!Riascoltatevi il DVD oggi…
Saluti da Stoccarda
….beh, Gena era obbiettivamente in difficoltà…..anche se oggi è decisamente tutt’altra storia.
Ciao Mozart!
Il commento di Mozart2006 mi ha fatto tornare al 1984; in effetti,in uno dei momenti di maggior fulgore della “belcanto-renaissance”, criticammo tutti.
Allora esisteva anche la critica musicale, ed il secondo(nb: secondo) critico musicale del Corriere (o del Giornale, non sono sicuro) Maurizio Papini ci confortò con un articolo pacato, preciso e senza giri di parole riguardo alla pesantezza del canto della Dimitrova, alla genericità di Carreras, alla tendenza allo sprechgesang di Carroli…
Col senno di poi ricordo comunque un generoso e spontaneo successo di pubblico (praticamente tutte le recite erano esaurite), una direzione che aveva saputo rendere il “colore” dell’opera, protagonisti magari poco adatti ma sicuramente reduci da prove molto serie, ed uno spettacolo piacevole.
Ho sentito per radio alcune parti dello spettacolo e mi permetto sottolineare due circostanze, a mio avviso emblematiche della progressiva “incapacità di eseguire l’opera”.
La prima, Fabio Sartori; rispetto a ciò che si ascolta mediamente, mi è parso di ascoltare una voce salda, omogenea e di qualità timbrica importante; lo ricordo in una Boheme anche pieno di intenzioni interpretative; non c’è proprio paragone, in termini vocali, fra lui ed i tenori “divi”; però concordo con Tamburini: rende in sostanza molto ma molto al di sotto delle sue possibilità.
La seconda: ma c’è ancora qualcuno, dico qualche direttore, qualche vecchio cantante, qualcuno, che riesce ad ispirare un cantante con le potenzialità di Sartori a tirare fuori, frase per frase,colori, peso e tutto ciò che “fa” una tradizione interpretativa?
Il tracollo di qualità nelle rappresentazioni d’opera italiana in Italia non dipende forse dalla scomparsa di direttori d’orchestra competenti in questo specifico repertorio, cioè capaci di ispirare e plasmare realmente l’interprete?
In bocca al lupo a Sartori per la parte di Jacopo Foscari alla Scala: gli basterà poco, a mio avviso, per non essere generico e per avere un grande successo.
A proposito della Connell è certamente un fulmine di guerra rispetto al deserto attuale… Ma non credo neanche che la si possa definire un’esecuzione memorabile: la voce è aspra, affetta da un tremolio costante soprattutto sugli acuti, spinti quasi sempre da sotto… Salta allegramente alcune puntature (tra cui il reb finale che è espressamente scritto… Aspettarsi il mib, come fa la splendida Millo, era certamente troppo; ma almeno il reb doveva farlo, senza il quale l’esaltazione allucinatoria della pagina si vanifica completamente!!!)… L’interpretazione è alterna, a metà strada tra la pazza visionaria e la bambina bizzosa… I gravi sono aperti (con evidente poco costrutto, vista la quasi afonia del registro di petto)… La voce è come aggrinzita, quasi rattrappita… E’ indubbio, almeno secondo il mio punto di vista, che il difficilissimo ruolo di Giselda sia un vero e proprio K2 da scalare per qualsiasi soprano: ma l’esempio della Scotto, a mio modesto parere la più grande interprete di questo personaggio, con la sua sottile nevrosi profetica, e con l’elegia pura trasposta in brani come il Salve Maria, dimostri quanto la quasi chimerica “voce verdiana” non sia altro che una voce in grado di passare dal canto al teatro con continuità, quasi in maniera istantanea (il canto è puro teatro in Verdi)… Questo potevano farlo solo voci come quelle della Scotto, della Callas, della Gencer, della Caballè o della stessa Sutherland, grandissima in Verdi; la Giselda della Scotto è a volte acidula, a volte sforzata, a volte meravigliosamente elegiaca, ma comunque tecnicamente ineccepibile e quindi teatralmente SEMPRE convincente, pur nella sostanziale limitatezza timbrica e sonora (ALMENO ALL’EPOCA DEI LOMBARDI DI ROMA).
Comunque complimenti per il vostro sito e grazie per i bellissimi ascolti che proponete agli utenti… Complimenti vivissimi…
Eh caro Maestro Velluti, difatti la Connell (all’epoca salutata come futura diva declamante da melomani amanti dell’articolo) l’abbiamo messa proprio perché… si colloca in un filone analogo alla Theodossiou, ma rispetto a quest’ultima ha la voce. Non per altro.
Grazie a te per i complimenti!
Vorrei aggiungere che il canto della Connell non passò indenne all’epoca di quei Lombardi. I risultati della Connell furono salutati dal giusto commento del pubblico che la salutò con sonoro dissenso. Ciononostante il confronto con la Theodossiou la vede vincitrice…