Eros ha poche volte trovato veste musicale paragonabile a quella creata da Camille Saint-Saëns con il suo Sansone e Dalila. L’autore penò non poco perché l’opera fosse rappresentata e quindi perché giungesse a Parigi, ma lo sforzo fu ripagato da una presenza che doveva essere costante nel repertorio dei maggiori teatri. Soprattutto Sansone e Dalila attesta che la forza sovrumana e il potere della seduzione non hanno, all’opera, nulla che spartire con il naturalismo che simili temi parrebbero automaticamente richiedere.
A volere una Dalila ammaliante prima e sopra tutto sotto il profilo vocale è lo stesso autore che, narrano le cronache, avrebbe in un primo momento pensato nientemeno che a Pauline Viardot. In casa dell’insigne belcantista doveva del resto tenersi, nel corso di una soirée, la prima francese del secondo atto dell’opera, al pianoforte l’autore. E Dalila è certo il perno dell’intera composizione, con ben tre assoli che ne mettono in luce rispettivamente la natura d’incantatrice, la determinazione e la simulata dolcezza. Senza contare i due duetti del secondo atto e l’inno a Dagone, apoteosi della sacerdotessa altera che ha scelto di essere strumento della volontà del suo Dio.
Analogamente, nella parte di Sansone si cercheranno invano pretesti per exploit vocali di tipo eminentemente muscolare: fin dall’entrata il campione di Israele si distingue per un canto sì appassionato e fiero ma anche dolce e sfumato, le parole con cui accende gli animi degli oppressi fratelli sanno più di estasi mistica che di esortazione tribunizia, e ovviamente davanti a Dalila l’eroe vacilla e dapprima trova accenti tronchi e turbati da foschi presagi e poi si abbandona senza remore alla consunzione amorosa. Nella scena della macina risuonano accenti di nuovo scabri e cupi; solo il finale nel tempio legittima – fino a un certo punto – il ricorso a una vocalità più decisa, in nessun caso tuttavia stentorea o declamata nel senso più deteriore del termine. Del resto non è casuale che fino agli anni Trenta i grandi Sansoni, non solo di area francese, fossero spesso grandi Otelli (emblematico il caso di Tamagno, primo Sansone al Met) e Lohengrin e, altrettanto spesso, grandi Werther, Wilhelm Meister, Des Grieux (di Massenet) e Faust. Il primo Sansone all’Opéra di Parigi, Edmond-Alphonse Vergnet, aveva in repertorio Ugonotti e Profeta ma anche il Raimbaut di Roberto il Diavolo e il Leopoldo dell’Ebrea.
Insomma, lo strumento di Dio, per utilizzare un’immagine musicale, è una tromba d’argento, non certo una grancassa o analoga fonte di altri, più rauchi suoni. E la sua antagonista, indipendentemente dal calibro vocale sfoggiato, deve possedere quel pieno dominio tecnico che solo è in grado di assicurare suoni timbrati e omogenei, legato scultoreo e sovrano controllo delle dinamiche. Particolari invero trascurabili, per chi non consideri il Sansone altro che un documentario sulle gesta di una “cattiva femmina”.
C. Saint-Säens – Samson et Dalila
Atto I
Arrêtez, ô mes frères – Francesco Tamagno, César Vezzani, René Maison
Printemps qui commence – Marie Delna, Rosa Ponselle, Conchita Supervía, Grace Bumbry
Atto II
Amour, viens aider ma faiblesse – Ebe Stignani, Oralia Domínguez, Ewa Podles
J’ai gravi la montagne – Ezio Pinza & Gertrud Wettergren
C’est toi! C’est toi, mon bien aimé! – Hélène Bouvier & José Luccioni, Grace Bumbry & Richard Tucker, Risë Stevens & Mario Del Monaco
Mon coeur s’ouvre à ta voix – Sigrid Onégin, Ernestine Schumann-Heink, Margarete Klose, Marilyn Horne, Christa Ludwig
Atto III
Vois ma misère, hélas! vois ma détresse! – César Vezzani, Mario Del Monaco
Baccanale – Georges Prêtre
Gloire à Dagon vainqueur! – Ebe Stignani, Antonio Manca-Serra & Ramón Vinay
sono rimasto stupito nell’osservare che tra i miei dischi possedevo un’incisione della horne, che interpretava maffio orsini della lucrezia borgia, e ha cantato pure l’adalgisa nella norma con la sutherland: ma che estensione possedeva, e come veniva definita la sua voce (mezzosoprano?)?
La Horne iniziò effettivamente la carriera come soprano, ma virò presto verso il mezzo, un po’ per mai risolte difficoltà in acuto, un po’ per l’esigenza di ritagliarsi una nicchia in cui la concorrenza non fosse così schiacciante come nella corda sopranile. Comunque sia Maffio sia Adalgisa sono parti abitualmente affrontate da mezzosoprani.