Nel proseguire nei nostri concerti di canto l’omaggio ad una grandissima primadonna.
Primadonna sul palcoscenico e prima ancora nelle scelte antecedenti la salita sul palcoscenico.
Spesso accusata di fare “il passo più lungo della gamba” la Scotto affrontò opere che al soprano lirico leggero (perché tale era per timbro e colore) sembravamo precluse.
Falso quello che dicono certi tifosi Callas, che la Scotto ne fosse la copia.
Era ed è solo una cantante con un’eccezionale capacità di fraseggio come lo erano state prima di lei una Muzio e sopra tutti Madga Olivero. Se mai si può osservare che talvolta il fraseggio della Scotto quel voler dire sempre e tutto e più di tutto portano Bellini e Donizetti verso epoche e poetiche successive. Quelle che avrebbero, per ragioni vocali connotato la fase finale della carriera della cantante savonese.
E’ certo che il fraseggio, la dinamica sfumata, un uso intensissimo di piani e pianissimo hanno consentito la gestione di opere quali il tardo Verdi (Ballo e don Carlos) e il Verismo, che a soprano lirico proprio non stanno.
Il concerto di Renata Scotto a Mosca fu un trionfo come erano state le performance della cantante ligure sempre nel corso di quella tournée.
Ci fu, come era nello spirito della Scotto, la polemica.
Polemica musicale perché, diffusasi la voce che la Traviata inaugurale sarebbe stata affidata a Mirella Freni, la Scotto cantò da par suo ( salvo qualche sovracuto forzato e spinto ) la grande scena di Violetta. A reclamare e recriminare che il ruolo era, per diritto, suo. A distanza di quasi mezzo secolo credo che la signora Scotto avesse ragione, e non perché alla prima il pubblico rumoreggiò e protestò contro la scelta della dirigenza scaligera, mentore von Karajan.
Arrivata, poi, in patria la polemica fu ancora più feroce e aperta, complice, invece, la conferenza stampa di Giulietta Simionato, che a quel punto della propria carriera poteva esprimere la propria opinione sulle scelte della Scala.
Per la cronaca la Scotto ritornò acclamatissima in Scala con i Capuleti poi nel tempo riuscì ancora, per colpa del suo fantasma preferito, a litigare con il loggione scaligero.
Ma devo dire che la dirigenza scaligera di allora fu cieca e miope. Preferì alla signora Scotto, certo dotata di carattere (e per una discutibilissima equazione carattere uguale cattivo carattere), altre cantanti di miglior carattere, ma di minore levatura interpretativa. Anche questo fa parte della storia del massimo teatro milanese.
In un programma assolutamente popolare, esatto per il contesto in cui si svolse, la Scotto passa in rassegna quello che allora era il proprio repertorio. E dimostra una straordinaria resistenza fisica. Si può, come sempre nel caso della Scotto eccepire e sottolineare che certi suoni non siano belli e capita non solo negli acuti estremi, ma anche nei centri quando la cantante cerca ampiezza e proiezione hanno talvolta un che di forzato.
Accade sempre e sistematicamente quanto la cantante vuole dire e dire troppo. Accade nel recitativo di Giulietta Capuleti dove “le nuziali tede” sanno più di problemi coniugali da malmaritata operistica ( Beatrice di Tenda piuttosto che Anna Bolena) che dell’innocenza dell’adolescente o nel recitativo di Violetta, troppo ansiosa al primo atto. Per contro, nelle battute che introducono l’Addio del passato la cantante è tanto eloquente quanto misurata e composta. Non solo, nei cantabili il controllo assoluto del fiato consente il rispetto del legato della dinamica e sfumature anche ad alta quota.
Accade nell’Addio del passato e nel “Caro nome”, accade ancor più in Sonnambula dove la Scotto è straordinaria per intuizioni interpretative, per finezza di fraseggio e dove, però, si lascia prendere la mano dal dire a svantaggio del cantare, dimentica che si tratti di una di quelle melodie “lunghe e lunghe” che spesso sono complete con il fluire del canto. E poi quando arriva Puccini dove direi è irrinunciabile abbiamo una Butterfly misurata, minimalmente bambina ( e bambola) ed una Mimì equilibratissima nel difficile equilibrio fra cantare e dire, tutto pucciniano.
Primadonna sul palcoscenico e prima ancora nelle scelte antecedenti la salita sul palcoscenico.
Spesso accusata di fare “il passo più lungo della gamba” la Scotto affrontò opere che al soprano lirico leggero (perché tale era per timbro e colore) sembravamo precluse.
Falso quello che dicono certi tifosi Callas, che la Scotto ne fosse la copia.
Era ed è solo una cantante con un’eccezionale capacità di fraseggio come lo erano state prima di lei una Muzio e sopra tutti Madga Olivero. Se mai si può osservare che talvolta il fraseggio della Scotto quel voler dire sempre e tutto e più di tutto portano Bellini e Donizetti verso epoche e poetiche successive. Quelle che avrebbero, per ragioni vocali connotato la fase finale della carriera della cantante savonese.
E’ certo che il fraseggio, la dinamica sfumata, un uso intensissimo di piani e pianissimo hanno consentito la gestione di opere quali il tardo Verdi (Ballo e don Carlos) e il Verismo, che a soprano lirico proprio non stanno.
Il concerto di Renata Scotto a Mosca fu un trionfo come erano state le performance della cantante ligure sempre nel corso di quella tournée.
Ci fu, come era nello spirito della Scotto, la polemica.
Polemica musicale perché, diffusasi la voce che la Traviata inaugurale sarebbe stata affidata a Mirella Freni, la Scotto cantò da par suo ( salvo qualche sovracuto forzato e spinto ) la grande scena di Violetta. A reclamare e recriminare che il ruolo era, per diritto, suo. A distanza di quasi mezzo secolo credo che la signora Scotto avesse ragione, e non perché alla prima il pubblico rumoreggiò e protestò contro la scelta della dirigenza scaligera, mentore von Karajan.
Arrivata, poi, in patria la polemica fu ancora più feroce e aperta, complice, invece, la conferenza stampa di Giulietta Simionato, che a quel punto della propria carriera poteva esprimere la propria opinione sulle scelte della Scala.
Per la cronaca la Scotto ritornò acclamatissima in Scala con i Capuleti poi nel tempo riuscì ancora, per colpa del suo fantasma preferito, a litigare con il loggione scaligero.
Ma devo dire che la dirigenza scaligera di allora fu cieca e miope. Preferì alla signora Scotto, certo dotata di carattere (e per una discutibilissima equazione carattere uguale cattivo carattere), altre cantanti di miglior carattere, ma di minore levatura interpretativa. Anche questo fa parte della storia del massimo teatro milanese.
In un programma assolutamente popolare, esatto per il contesto in cui si svolse, la Scotto passa in rassegna quello che allora era il proprio repertorio. E dimostra una straordinaria resistenza fisica. Si può, come sempre nel caso della Scotto eccepire e sottolineare che certi suoni non siano belli e capita non solo negli acuti estremi, ma anche nei centri quando la cantante cerca ampiezza e proiezione hanno talvolta un che di forzato.
Accade sempre e sistematicamente quanto la cantante vuole dire e dire troppo. Accade nel recitativo di Giulietta Capuleti dove “le nuziali tede” sanno più di problemi coniugali da malmaritata operistica ( Beatrice di Tenda piuttosto che Anna Bolena) che dell’innocenza dell’adolescente o nel recitativo di Violetta, troppo ansiosa al primo atto. Per contro, nelle battute che introducono l’Addio del passato la cantante è tanto eloquente quanto misurata e composta. Non solo, nei cantabili il controllo assoluto del fiato consente il rispetto del legato della dinamica e sfumature anche ad alta quota.
Accade nell’Addio del passato e nel “Caro nome”, accade ancor più in Sonnambula dove la Scotto è straordinaria per intuizioni interpretative, per finezza di fraseggio e dove, però, si lascia prendere la mano dal dire a svantaggio del cantare, dimentica che si tratti di una di quelle melodie “lunghe e lunghe” che spesso sono complete con il fluire del canto. E poi quando arriva Puccini dove direi è irrinunciabile abbiamo una Butterfly misurata, minimalmente bambina ( e bambola) ed una Mimì equilibratissima nel difficile equilibrio fra cantare e dire, tutto pucciniano.
Renata Scotto, soprano
Antonio Tonini, pianoforte
Conservatorio di Mosca
18 settembre 1964
Bellini – I Capuleti e i Montecchi – Eccomi in lieta vesta… O quante volte
Verdi – La Traviata – E’ strano… Ah fors’è lui… Follie… Sempre libera; Addio del passato
Verdi – Rigoletto – Caro nome
Bellini – La Sonnambula – Ah non credea mirarti… Ah non giunge
Donizetti – L’Elisir d’amore – Prendi, per me sei libero
Puccini – La Bohème – D’onde lieta uscì
Puccini – Madama Butterfly – Un bel dì vedremo
Tosti – A vucchella
Rossini – La danza
Puccini – Gianni Schicchi – O mio babbino caro