L’ultima volta di Edita Gruberova alla Scala fu circa una decina d’anni fa, nella Linda di Chamounix. Una lunga assenza dal più grande teatro italiano, che ha accolto l’ingresso sul palco della grande diva di Bratislava con una lunghissima ovazione di affetto e stima per questa cantante straordinaria, un vero gigante del canto.
Questo post è di nuovo profondamente passatista, e la Scala di questa sera lo è stata tanto quanto il nostro Corriere nell’omaggiarla con un grande trionfo.
Ha cancellato subito ogni dubbio sulla danneggiata acustica della Scala post restauro, mettendo la voce al centro della sala già al primo lied di Schubert. Solo chi canta con modi e mezzi di alta scuola, quella di tradizione ottocentesca, può far correre la voce come Edita Gruberova questa sera, sonora anche e soprattutto nei pianissimi che hanno caratterizzato pezzi come Nacht und Traume o Im Abendrot, e fare arrivare fino lassù in alto, al lampadario, le mille sfumature, anche quelle minime, con cui ha gestito il salotto, francamente di per sé non molto vario, di Schubert. Dai pezzi di mezzo carattere come A Silvia, sino all’intensissima scena della Margherita di Goethe o al bellissimo lied con il clarinetto Der Hirt auf dem Felsen( bravissimo Meloni) la Gruberova ha percorso tutte le strade possibili, a lei, devo dire, molto congeniali, per dar senso alla musica: chiunque si sarebbe lentamente appannato nella tessitura centrale, perdendo lo smalto dei suoni in piano e pianissimo, che l’artista ha invece sorretto con una saldezza impressionante, con una freschezza timbrica che nessun soprano over sessanta ha mai esibito.
Tutto è arrivato facile, anche al secondo tempo, prima con Dvorak, molto più vario come testo, e poi con le suggestioni straussiane ( intensissimo e struggente Allerseelen ), perché il centro della voce è fermo, di suono cristallino e proiettatissimo, anche se in Strauss qualche nota è risultata stonata nella zona del passaggio, dove il grande soprano da sempre ricorre a portamenti e messe di voce. E questi, forse, sono gli elementi specifici e costanti del gusto della Gruberova, che da sempre, sin dalle sue prime apparizioni, ne ha fatto le sue modalità espressive. Su questo terreno la Gruberova appartiene alla tradizione del canto di gusto tedesco, non certo a quello italiano: si avvicina ai modelli delle Berger o delle Korjus e non a quello delle Kurz o delle Hempel, o, più recentemente, delle Sutherland. L’esecuzione dell’ultimo bis, il finale di Beatrice di Tenda, in particolare “Ah se un’urna è a me concessa”, è stata la prova della distanza, forse anche intellettuale, che corre tra questa artista e l’estetica del puro belcanto italiano. Potrebbe essere una battuta, ma le Alpi sono, per il gusto e l’estetica della grandissima Gruberova un ostacolo insormontabile. Del resto il belcantista di scuola italiana ha altre e diverse prerogative e modalità espressive, la grande coloratura di forza in primis ( ripenso, per confronto al finale di Pirata di June Anderson pochi giorni or sono) fatta soprattutto di terzine, quartine e volate piuttosto che di picchettati e staccati. Fantastici e italianissimi, invece, i trilli, che sono volati nitidissimi nella sala.
E’ stato un grande successo, anzi un trionfo, e non solo per stima di una carriera, ma proprio per il risultato artistico ottenuto. ….solo 3 bis, purtroppo.
Questo blog è stato felicissimo del concerto di questa altra “inossidabile sempreverde”, per il canto, l’intelligenza nella scelta del programma e…..la stupefacente freschezza vocale.
Questo post è di nuovo profondamente passatista, e la Scala di questa sera lo è stata tanto quanto il nostro Corriere nell’omaggiarla con un grande trionfo.
Ha cancellato subito ogni dubbio sulla danneggiata acustica della Scala post restauro, mettendo la voce al centro della sala già al primo lied di Schubert. Solo chi canta con modi e mezzi di alta scuola, quella di tradizione ottocentesca, può far correre la voce come Edita Gruberova questa sera, sonora anche e soprattutto nei pianissimi che hanno caratterizzato pezzi come Nacht und Traume o Im Abendrot, e fare arrivare fino lassù in alto, al lampadario, le mille sfumature, anche quelle minime, con cui ha gestito il salotto, francamente di per sé non molto vario, di Schubert. Dai pezzi di mezzo carattere come A Silvia, sino all’intensissima scena della Margherita di Goethe o al bellissimo lied con il clarinetto Der Hirt auf dem Felsen( bravissimo Meloni) la Gruberova ha percorso tutte le strade possibili, a lei, devo dire, molto congeniali, per dar senso alla musica: chiunque si sarebbe lentamente appannato nella tessitura centrale, perdendo lo smalto dei suoni in piano e pianissimo, che l’artista ha invece sorretto con una saldezza impressionante, con una freschezza timbrica che nessun soprano over sessanta ha mai esibito.
Tutto è arrivato facile, anche al secondo tempo, prima con Dvorak, molto più vario come testo, e poi con le suggestioni straussiane ( intensissimo e struggente Allerseelen ), perché il centro della voce è fermo, di suono cristallino e proiettatissimo, anche se in Strauss qualche nota è risultata stonata nella zona del passaggio, dove il grande soprano da sempre ricorre a portamenti e messe di voce. E questi, forse, sono gli elementi specifici e costanti del gusto della Gruberova, che da sempre, sin dalle sue prime apparizioni, ne ha fatto le sue modalità espressive. Su questo terreno la Gruberova appartiene alla tradizione del canto di gusto tedesco, non certo a quello italiano: si avvicina ai modelli delle Berger o delle Korjus e non a quello delle Kurz o delle Hempel, o, più recentemente, delle Sutherland. L’esecuzione dell’ultimo bis, il finale di Beatrice di Tenda, in particolare “Ah se un’urna è a me concessa”, è stata la prova della distanza, forse anche intellettuale, che corre tra questa artista e l’estetica del puro belcanto italiano. Potrebbe essere una battuta, ma le Alpi sono, per il gusto e l’estetica della grandissima Gruberova un ostacolo insormontabile. Del resto il belcantista di scuola italiana ha altre e diverse prerogative e modalità espressive, la grande coloratura di forza in primis ( ripenso, per confronto al finale di Pirata di June Anderson pochi giorni or sono) fatta soprattutto di terzine, quartine e volate piuttosto che di picchettati e staccati. Fantastici e italianissimi, invece, i trilli, che sono volati nitidissimi nella sala.
E’ stato un grande successo, anzi un trionfo, e non solo per stima di una carriera, ma proprio per il risultato artistico ottenuto. ….solo 3 bis, purtroppo.
Questo blog è stato felicissimo del concerto di questa altra “inossidabile sempreverde”, per il canto, l’intelligenza nella scelta del programma e…..la stupefacente freschezza vocale.
Franz Schubert
Geheimes D 719
Nacht und Träume D 827
Im Abendrot D 799
Der Jüngling an der Quelle D 300
Der Fluss D 693
Im Haine D 738
Franz Schubert
Suleika I D 720
Lied der Mignon D 877 n. 3
An Sylvia D 891
Gretchen am Spinnrade D 118
Franz Schubert
Der Hirt auf dem Felsen D 965
per soprano, clarinetto e pianoforte
Fabrizio Meloni, clarinetto
Antonín Dvořák
Písně milostné (Canti d’amore) op. 83
Richard Strauss
Die Nacht op. 10 n. 3
Allerseelen op. 10 n. 8
In goldner Fülle op. 49 n. 2
Zueignung op.10 n. 1
Pianista F.Haider
Leggo senza alcuno stupore la recensione del concerto di Edita Gruberova, e l’occasione mi è gradita per commentare le molte, a mio parere ingiuste, critiche al blog; anzi, più che al blog, all’approccio ed alle finalità di Donzelli e Grisi.
Donzelli e Grisi amano il teatro ed amano l’opera, e lo si vede; quando assistono a spettacoli di valore, li lodano apertamente; hanno, a favore dei più giovani, la generosità di trasformare il loro hobby in una miniera di notizie e spunti gratuiti (un vero e proprio “giacimento culturale”), mentre da quotidiani e settimanali scompare la critica musicale, sostituita da redazionali che accomunano le “star” odierne a fotomodelle in minore oppure da pezzi piccolissimi e relegati in posizioni marginali nelle pagine.
(NB: qualcuno ricorda le pagine di introduzione ed approfondimento che solo una decina d’anni fa accompagnavano ogni spettacolo d’opera perlomeno su Corriere e Repubblica? qualcuno ricorda la profondità e l’impegno culturale con il quale Lorenzo Arruga ha condotto Musica Viva per anni?)
I pezzi sui cantanti del passato, ben lungi dall’essere evocazioni di tempi ormai morti e contestuali negazioni del valore del presente, aiutano – attraverso un’analisi anche non condivisibile ma sempre rigorosa e documentata – a tracciare una storia dell’interpretazione operistica secondo una specifica prospettiva, ovvero il canto al centro dell’illusione teatrale.
Mi riconosco in questa prospettiva, che ritengo abbia un valore storico rilevante, e chiunque aiuti a mantenerne vivo il senso anche attraverso la severità…credo vada letto, anche criticato, ma non dileggiato come fosse uno psicopatico.
Detto questo, mi permetto di sottolineare che assistere ad uno spettacolo d’opera sentendo sistematicamente voci prive di proiezione ed incapaci di passare l’orchestra equivale ad andare ad uno spettacolo di prosa e non riuscire ad intendere il testo.
Ho pensato più volte anch’io che la “nuova Scala” avesse subito un peggioramento dell’acustica; sono felice di sentire che vi sono ancora voci udibili, speriamo che vi siano anche voci udibili secondo il peso ed il colore che fino ad una decina d’anni fa si trovavano in tante rappresentazioni.
Una domanda per tutti:
perchè oggi si trovano sempre biglietti per qualsiasi rappresentazione d’opera?
Quello che la Gruberova ci regala ancora è un piccolo miracolo che si rinnova e…tutto ciò a dispetto dell’età e dei “detrattori” che osannano falsi miti odierni che non lasceranno la minima traccia del loro passaggio! Grazie per la sua arte!!!
Complimenti per la recensione, concreta ed obiettiva!
non potrei concordare maggiormente con quanto recensito da madame grisi:
una bellissima serata. una voce indimenticabile.