…alla fine dal Macbeth anzichè il fantasma fugge…il diritto di informazione!

Il diritto di informazione, bella espressione che stigmatizza il senso della professione giornalistica, pare sempre più spesso espulso dalla cronaca musical operistica.

Ce ne ha dato prova La Repubblica in questi giorni, prima con l’articoletto di colore Fischi all’opera. Scala, in scena c’è Verdi e il pubblico fa buu, tutto teso a stigmatizzare lo scandalo dei fischi alla prima del Macbeth, di cui taceva bene, però, il basso profilo musicale della performance.
La stessa testata ha poi bissato in quel di ieri, con una recensione da parte di una penna prestigiosissima, che in data 7 aprile, riferisce della bella, guarda caso!, prestazione del duo Nucci – Urmana.
Duo che, però, sino a quella data non si era ancora esibito in teatro, essendo che Nucci non è affatto rientrato per la seconda delle recite previste dopo il forfait dato alla fine del primo atto la sera della prima ( ha cantato ancora Ivan Inverardi ). A quale immaginaria recita si riferiva mai il nostro recensore????
A questo punto non abbiamo dubbi sulla veridicità dei giudizi stringatamente positivi espressi sui protagonisti con cui l’insigne critico conclude la sua ampia disanima del vecchio, e già ampiamente disaminato, allestimento di Vick.
Si stigmatizzino pure le contestazioni, più che legittime, ad uno spettacolo di basso livello, e lo si faccia con l’autorità di chi recensisce spettacoli mai andati in scena (a meno che non ci vengano a dire che si sta parlando della prova generale….sic!) !!!!
Più che un esempio di diritto di informazione, potremmo dire, come già altre volte in passato, un evidente caso di…… doverosa disinformazione, anzi, di “disinformatia.”

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Da La Repubblica, 7 aprile 2008
Bella edizione dell´opera verdiana allestita da Graham Vick alla Scala con la direzione di Kazushi Ono . La potenza di Macbeth sta nell´odio

L´occasione di vedere a pochi giorni di distanza Attila e Macbeth, le due opere verdiane che prendono commiato dagli “anni di galera” e inaugurano un nuovo proficuo cammino (siamo rispettivamente agli anni 1846 e 1847) si rivela preziosa. Per capire le novità del linguaggio verdiano in un periodo di intensa ricerca espressiva. Anche se le novità sono tutte a vantaggio di Macbeth, folgorante opera psicologica oltre che partitura di musica bellissima, ricca di soluzioni timbriche inedite e di proposte armoniche abbastanza audaci. E con non trascurabile superamento di alcune tradizioni. Il più importante, rilevato fin dalla prima esecuzione fiorentina è l´assenza di un ruolo tenorile primario (Macduff ha solo un´aria nel quarto atto e partecipa solo al finale ma senza proprio peso). Si disse allora che era un´”opera senza amore”, ed è vero; ma in compenso è un´opera con molto odio, e anche questo, se non è proprio una novità operistica, quando venga elevato a potenza fino a diventare la chiave dell´opera, lo diventa.
E bisogna dire che a distanza di alcuni anni lo spettacolo presentato da Graham Vick non solo resiste ancora ma sembra più bello e organico. La prima volta stupì quell´enorme cubo rotante infilato sul pavimento sulle ventitré, ora è materiale archiviato e perfettamente assimilato. Quel cubo, che è reggia ma anche prigione di sentimenti, ove divampano le ambizioni e gli odi più profondi, con i suoi spostamenti, i suoi mutevoli colori è una grande invenzione scenica (Maria Björnson). Anche i costumi della stessa Björnson, monocromatici per la coppia fatale, sono ancora bellissimi. La regia di Vick, se eccettuiamo le danze poco intriganti, soprattutto quando alcune streghe calano dell´alto, sospese per aria e ridotte a movenze da acquario (ma dipendono da Ron Howell), è tra quelle memorabili degli ultimi anni. Pensiamo allo staglio dei protagonisti ma anche al fondamentale equilibrio tra la recitazione dei singoli e i movimenti delle masse.
Un grande aiuto alla riuscita dello spettacolo viene poi dalle magnifiche luci di Matthew Richardson. Anche la buca funziona, con un Kazushi Ono barricadero e un po´ poco propenso alla flessibilità del linguaggio ma affidabile. Quando poi in palcoscenico c´è una Violeta Urmana spettacolare, finissima nel canto e nelle intenzioni, il gioco è in gran parte fatto. Leo Nucci è per l´ennesima volta il Macbeth che conosciamo, forse un po´ più dolente del solito ma in solido possesso del ruolo. Ildar Abrazakov à un Banquo un po´ leggero ma musicalissimo. Walter Fraccaro è un Macduff professionale. Orchestra e Coro all´altezza del compito, e anzi quest´ultimo autore di una stupenda esecuzione di “Patria oppressa”, coro che non a caso viene dopo quelli celebri di Nabucco e dei Lombardi ma che non ha nulla da invidiare ai primogeniti.

Michelangelo Zurletti

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