Lucrezia Borgia, ma non solo lei !

La Borgia, nel diffuso oblio della produzione donizettiana, senza essere opera di repertorio in senso corrente e stretto, conobbe costanti rappresentazioni per tutta la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900, ossia sino alla cosiddetta Donizetti renaissance.
Le pagine di Monaldi su una rappresentazione del melodramma che schierava in scena a Perugia Checco Marconi ed Elena Thedorini, ne sono un esempio. E lo sono ancor di più le numerose registrazioni di singoli brani dell’opera realizzati sin dall’età della pietra delle registrazioni fonografiche, specie se si considera che riguardarono non solo il title role, ma tutte le parti.
Forse fra le ragioni della sopravvivenza si deve annoverare la possibilità di dare largo spazio ad un contralto di ascendenze rossiniane, ad un tenore di grazia all’antica (con parte accomodata alla bisogna, attese le numerose versioni altarnative e le arie di baule degli interpreti di Genanro succedutisi sulle scene) e magari ad un basso baritono, quando non baritono, in ruoli alternativi al solito, imperante Verdi.
I nomi degli interpreti scenici sono la sfilata de grandi del canto: autentici miti della storia del canto fosse Marietta Alboni ( Maffio più volte a Londra con la Grisi e Mario) o tutto il gotha del tenorismo otto-novecetesco partendo da Mario per finire a Beniamino Gigli o i maggiori bassi e baritoni Lablache, Tamburini, Kashmann, Magini – Coletti sino a Pasero.
E la sfilata continua nei dischi. Maffio in primo luogo per le opportunità di brillante virtuosismo, che il brindisi offre. Anche la ballata in apertura del prologo consente ai contralti di grande tecnica risultati in primis espressivi, che promuovono un personaggio marginale nella vicenda ad antagonista ora di Lucrezia ora di Gennaro. Le rappresentazioni bolognesi del 1984 con Martine Dupuy agilissima e ispirata interprete sono l’esemplificazione del principio. Anche la storia dell’opera conferma la circostanza, visto che tutti i grandi contralti rossiniani vestirono i panni del giovane nobile romano, anche quando il fisico era quello della pingue dama, come per Marietta Alboni.
Il brindisi, che Maffio interpola nel finale a far da contrasto al cupo clima di tragedia il cui epilogo è imminente ha conosciuto, anche, fama imperitura come brano da concerto.
Era un topos della signora Horne durante i suoi lunghissimi concerti principiare i bis (in genere sei o sette) con il brindisi della Borgia.
Le più stupefacenti ed antiche realizzazioni del brano provengono da area tedesca. Appartengono a Marianne Brandt ed Ernestine Schumann-Heink. Sono stupefacenti sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
Premesso che si tratta di dischi incisi oltre cento anni or sono e che a Brandt di anni ne aveva sessantatre quanto registrò, colpiscono in entrambi i casi l’alto grado di virtuosismo di cantanti la cui carriera aveva auto fra gli autori significativi Wagner. In particolare entrambe (non dimentichiamoci che la Brandt fu il modello e l’esempio per la Schumann Heink) eseguono con grandissima fluidiità ogni genere di ornamentazione, assolutamente perfetti, poi, i trilli. Contrariamente a quello che sentiremo nei mezzosoprani e contralti, sino agli anni 50 del secolo scorso con rare eccezioni, non si ha neppure lontanamente l’ombra di suoni aperti e marcatamente di petto. Nel gusto e nella formazione delle due cantati è evidente che il Verismo e gli eccessi veristi non sono neppure presi in considerazione. Anche quanto vengono emesse note gravi molto scure la posizione del suono è “alta” ossia il suono è sostenuto. Solo pochi anni dopo schiere di mezzo soprani avrebbero distrutto in poco tempo strumenti eccezionali per cantare senza grammatica vocale.
Le considerazioni e le argomentazioni non mutano quando l’esecuzione del brindisi sia affidata a Sigrid Onegin la più completa belcantista che la discografia testimoni prima della rinascita propiziata da Marilyn Horne.
Questo al di là del gusto, che per altro è un precedente indiscutibile per le Horne e le Dupuy, è una grande lezione di tecnica di canto in un’epoca in cui si parla tanto di tecnica di canto senza che nessuno o pochi la pratichino correttamente.
Quanto alle esecuzioni della Horne, che non ha mai cantato Maffio in teatro o della Dupuy reiterata interprete del ruolo, tenuto anche conto del psysique du role di cui disponeva sono esemplari. C’è il divertimento ed il gusto ad inserire l’abbellimento più complesso ed elettrizzante, indispensabile a restituire quella meraviglia tipica di pagine e di personaggi ancora belcantistici pur in un contesto assolutamente romantico. Insomma il sopravvissuto deve portare con sé tutti gli elementi della propria epoca del proprio gusto e del proprio stile.
E tanto per ripetere cose già ripetute come nell’800 i grandi contralti furono cinque o sei, due o tre ne abbiamo avuti dal 1960 ad oggi sentendo le recenti esibizioni di Sonia Ganassi e Daniela Barcellona.
Mi sia consentito un ricordo di ascoltatore, piuttosto abituato alla Borgia. Tralascio il proluvio di applausi che accompagnava ogni bis della signora Horne (lei era lì per farci sentire la sua bravura e noi per applaudirla), ma a Bologna in una recita credo pomeridiana l’insistenza del pubblico dopo il brindisi fu tale che Martine Dupuy si vide costretta al bis. A Milano le recenti riprese di Borgia hanno visto passare sotto il più assoluto silenzio le esecuzioni del brindisi. Fosse Sonia Ganassi o Daniela Barcellona il Maffio in scena al momento!!!
Il racconto di Monaldi su una mitica edizione di Lucrezia Borgia evoca il fasto di uno dei più noti Gennaro Checco Marconi. Della propria generazione è l’unico di cui sia pervenuta testimonianza fonografica. L’età del cantante ed i metodi di registrazione gravano moltissimo, ma l’esecuzione è esemplare di un gusto e di una vocalità tenorile romantica, ormai persa. L’eccezionalità di un Marconi ( ed anche del più integro Alessandro Bonci) sono soprattutto interpretative. Quando si parla a sproposito di interpretazione con riferimento a cantanti tecnicamente precari, vocianti e interpretativamente piatti, magari dotati di buon timbro in natura, esaltandoli come supremi interpreti si dovrebbe per onestà e cultura avere presente un Bonci ed un Marconi.
Questi sono nonostante i suoni un poco aperti al centro, nonostante le libertà ritmiche ed agogiche, nonostante certi patti con il solfeggio e il ritmo capaci con una sola frase con un rubato di evocare per magia l’eroe romantico, il giovane innamorato.
Davanti a queste interpretazioni, perché è un paradosso, ma cantanti di grande cognizione tecnica sono prima di tutto i grandi interpreti (i casi Olivero e Schipa in altro repertorio sono paradigmi dell’assunto) persino Alfredo Kraus appare compassato e poco partecipe. E per certi versi Alain Vanzo lo supera. In realtà Kraus soprattutto con Gennaro, affrontato in teatro nella seconda parte della carriera, fu anche un interprete capace di elegantissime sfumature in tutte le zone della voce, di acuti penetranti e facili (nasali nelle ultime esibizioni). Tenere testa a prime donne come Leyla Gencer e Joan Sutherland è dei grandi. Certo confrontato con il tenorismo delle generazioni precedenti qualche limite emerge. Riascoltato nell’unico, credo, rapporto con Gennaro Alain Vanzo ha la meglio rispetto a Kraus. Nessuna inferiorità sotto il profilo del dominio tecnico, identica capacità di sfumare e smorzare e per giunta con una voce di qualità dolce ed ampia al tempo stesso. Vanzo, non so per quale motivo è stato un grandissimo tenore e, paradossalmente, non solo nel repertorio francese, ma e soprattutto in quello italiano. Anche quando lo cantava nella propria lingua. Ascoltare il “di pescatore ignobile” del 1965 per credere!!!!


Donizetti – Lucrezia Borgia

Prologo
Di pescatore ignobileFrancesco Marconi, Alain Vanzo

Atto I
Vieni, la mia vendettaAntonio Magini-Coletti

Atto II
T’amo qual s’ama un angeloAlfredo Kraus, Juan Diego-Florez
Minacciata è la mia vitaAlfredo Kraus & Martine Dupuy, Juan Diego Florez & Daniela Barcellona
Il segreto per esser feliciMarianne Brandt, Ernestine Schumann-Heink, Sigrid Onegin, Marylin Horne, Martine Dupuy, Daniela Barcellona

Un pensiero su “Lucrezia Borgia, ma non solo lei !

  1. Bravo Domenico ricordi bene!
    Martine Dupuy bissò la seconda strofa del brindisi, riprendendo con suprema eleganza il calice, dopo lunga, partecipata insistenza del pubblico. Gennaro era tale Antonio Barasorda, nomen omen, Lucrezia una già declinante Ricciarelli che, pensata oggi rispetto a certo soprano italiano che debutta in Donizetti, ci pone qualche problema di coscienza: fummo troppo severi!
    Una citazione, però, anche per la Caballè del disco RCA, dove – mi permtto sottolineare – Kraus mostra anche una partecipazione interpretativa da empireo!

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