Mi limito alle prestazioni vocali delle due signore, una della quali debuttante nel ruolo.
Cenerentola è parte cosiddetta di contraltino e non di contralto profondissimo. Esiste, ignota o meglio conosciuta da pochissimi appassionati, anche la versione con le varianti di Giuditta Pasta, varianti che eliminano tutte le discese oltre il si nat sotto il rigo. Le trasposizioni per la Pasta, che a detta di Stendhal fu una grandissima interprete del ruolo, confermano gli assunti della prima Cenerentola Geltrude Righetti Giorgi, che esclude la natura di soprano per il ruolo di Cenerentola.
L’excursus storico non è certo per inutile erudizione quanto per concludere che, spartito alla mano ad ascolto effettuato, le attuali protagoniste sono inadeguate. Anche Teresa Berganza e Martine Dupuy erano mezzo soprani acutissimi e di colore chiaro, ma mezzosoprani ed inoltre sì rifinite da superare tutte le difficoltà del ruolo quando impegnava la zona medio grave della voce e gli estremi acuti
Preciso anche che da quasi vent’anni circolano, con qualifica mezzo soprani, cantanti che in realtà sono per volume ed estensione soprani lirici, che se, sapessero cantare potrebbero farsi valere quali Mimi, Micaela, Manon e magari Butterfly. Siccome ignorano il canto professionale in particolare come funzioni nella voce femminile il primo passaggio sono corte, non reggono le tessiture sopranili e vanno ad infestare il repertorio mozartiano, quello barocco, talvolta si peritano di essere Rosina, Cenerentola e magari tentano anche sortite nei ruoli Colbran dimentiche di che sia la adamantina esecuzione delle agilità di forza e l’accento tragico.
L’elenco è lunghissimo e ne fanno, senza dubbio parte le ultime due Cenerentole.
Delle due certamente l’autentica dilettante è Magdalena Kozena, nota per la sua folgorante carriera nelle riserve di caccia delle major discografiche, delle quali è accreditata rappresentante. La attente un recital in Scala il prossimo 3 marzo.
Partendo dalla fine dell’opera: arriva stremata alla fine del rondò dove, complici anche variazioni rispetto alle variazioni previste da Rossini che inesorabili mettono in evidenza una serie di suoni di volume inesistente, bianchi e fissi.
Nel recitativo introduttivo e nell’andante del finale i suoni gergalmente detti “spoggiati” si sprecano e compaiono puntuali ogni qualvolta la scrittura preveda figure ornamentali, che investano uno dei due passaggi della voce. Le volate del “baleno rapido” sono imprecise, eseguite con una emissione non professionale.
Siccome il personaggio, al pari delle parti tragiche composte per Isabella Colbran si esprime per la maggior parte con il canto di agilità sillabica, l’esecuzione è insoddisfacente sia negli interventi della protagonista al sestetto “questo è un nodo avviluppato” che la quintetto “signor una parola una parola” e soprattutto nell’ingresso del finale primo, dove la fanciulla, mascherata da principessa, canta come tale.
Con una simile esecuzione vocale è il personaggio, che esce falsato nelle proprie caratteristiche essenziali. La favola richiede la metafora e la metafora di Rossini si esprime con l’acrobazia e l’ornamentazione.
Questa Cenerentola nel duetto d’amor, dove l’esecuzione dell’allegro conclusivo “ ah ci lascia proprio il core” è impacciata e siglata da due urletti in luogo dei la nat ribattuti previsti da Rossini (tutt’altro che facili), è una sorta di compromesso fra Mimì e Cherubino.
L’esecuzione e l’interpretazione non vanno molto meglio con la Di Donato. Anni fa in Scala, quale doppio alla strillacchiata protagonista offerta da Sonia Ganassi, aveva esibito una voce di mezzo acutissimo con un registro acuto un po’ chiaro e sopranile oltre misura, tipico dei mezzo soprani che, in natura soprani, non saldano correttamente gli acuti estremi al resto della voce.
L’esecuzione dei passi di agilità era, però, facile e la voce nella propria zona naturale ben proiettata.
Da quella performance si sono aggiunti personaggi di scrittura molto acuta, spesso spianata o quasi ed una cospicua frequentazione del repertorio sopranile. In più, e la circostanza è stata evidente nell’ultima presenza milanese della Di Donato, Alcina nell’ottobre scorso la voce non presenta l’emissione omogenea ed astratta dell’autentica belcantista. Ad una Alcina, che occhieggiava per limitazioni tecniche nelle grandi scene di furore Santuzza, è seguita una Cenerentola ora bamboleggiante in zona acuta, tanta è la somiglianza del timbro a quello del sopranini di coloratura degli anni trenta, ora tubata ed artefatta quando è chiamata a gravitare nella zona medio grave. E se nel rondò lo slancio era maggiore di quello della Kozena e non si percepivano suoni fissi e voce esausta siamo, comunque, lontani dal rendere l’idea molto rossiniana di una coloratura fastosa e mirabolante.
Neanche nei passi patetici, oltre tutto sempre virtuosistici, con la voce scissa in due tronconi, la realizzazione del personaggio è soddisfacente. Nulla da più fastidio in Rossini dell’emissione poco calibrata ed omogenea, che non è solo un mezzo tecnico, ma prima di tutto un mezzo espressivo, idonea come è a garantire il legato, la liquidità dei passi acrobatici e patetici e capace di far sognare anche quando il timbro non è spontaneamente privilegiato.
Perdonate lo sfogo, perdonate la costante lamentela, continuo a ritenere Rossini, proprio per lo stretto legame con la tecnica di canto un autore difficilissimo non solo da eseguire, ma soprattutto da interpretare, un autore che dieci o quindici interpreti ha avuto nell’epoca di composizione delle sue opere e una decina fra il 1965 ed il 1990. Poi le Kozena, le Di Donato, le Ganassi, per rimanere alla corde di sedicenti mezzo soprani.
Bravo! Finalmente uno che ne capisce (e di questi tempi sono pochi) e che dice la verita (di questi tempi sono pochissimi) La Kozena è indecente e la Di Donato scarsetta