Non ci sono parole per descrivere i martiri cui le nostre orecchie sono state sottoposte ieri sera in quel di Bergamo. Nel festival che dovrebbe tutelare il canto, il gusto e le prassi esecutive di Donizetti, si è compiuto l’ennesimo scempio in nome di una protagonista da sempre lontana , per gusto e mentalità, dalle regole di base del belcanto.
Uno spettacolo che, per molti aspetti, ricorda la cosiddette “spedizioni punitive” della peggior provincia italiana.
Tanto è che alla fine del martirio il pubblico e non solo pochi facinorosi ha solennemente fischiato protagonista, direttore d’orchestra ed i compagni di spettacolo della indegna protagonista.
Reduci dal trauma delle seggiole scaraventate in aria dalla sua “regalissima” Elisabetta del Devereux dell’anno scorso, immaginavamo di assistere ad una prestazione nuovamente sopra le righe, da regina del trash ad oltranza quale è la Theodossiou.
Ieri sera invece, come si conviene ad una vera diva, la cantante ha spiazzato, proponendo un’inattesa versione minimalista , solo accenni e miagolii, della grande avvelenatrice. Un vero “coup de théatre”, che, se ha saputo stupire per i primi due atti, ha poi, finito per farci assopire nel terzo. Salvo riscattare tanti sussurri con un terribile bercio alla chiusa del rondò che ha scatenato la reazione del pubblico. Insomma, non si può dire che non si sia in presenza di una grande personalità scenica, perché ogni volta diverse ed inaspettate sono le emozioni e gli effetti che la nostra sa indurre nel pubblico.
E poiché l’estetica contemporanea avvalla ogni cosa in nome del relativismo del giudizio critico e dell’indipendenza dell’artista, non possiamo fare a meno di ammettere che anche questa sia ARTE!
L’entrata di Lucrezia ha mostrato da subito lo stato delle condizioni vocali in cui la signora versa: una voce piccolissima, tanto da dubitare che stesse accennando, tutta protesa al sussurro ed al “pianino”, con lo scopo di mascherare la terribile acidità della vocina ( perché di vocina ormai si può parlare ), l’assenza completa di legato e fiati evidentemente accorciati. L’emozione trasmessaci è stata un senso evidente di periglio, di voce malferma ed incerta…insomma, il brivido è arrivato da subito.
Con l’andare del duetto con Gennaro, un ‘intelligente versione sibilata del pezzo, tutta pianini “di stile” che ben si fondeva con il canto di gola di De Biasio (quest’ultimo tutto forte o falsettini ….), ci ha fatto ben comprendere che la nostra, ahimè, non avrebbe cantato con lo slancio e la foga a lei abituali, a causa della corruzione evidente del mezzo, vistosamente accorciato in alto e privo del registro basso. Insomma, il target emotivo su cui sintonizzarci era ben diverso dal solito.
Un pausone interminabile, con super presa di fiato, ha introdotto il la bem alitato tenuto della sfilata: una prodezza! Al climax discendente della sera, và detto, hanno contribuito il mezzo, il tenore e la buca, che ha dato alla serata un passo ora lento, ora funebre, ora letargico…..insomma, aspetti mai uditi sino a ier sera in questa partitura. Una novità assoluta anche questa!
Nel secondo atto salvo il lancio del libro all’indirizzo di don Alfonso nella prima esecuzione dell’invettiva (e al da capo come obbligatoria variazione ci saremmo atteso quello dell’inginocchiatoio già addobbato a lutto, visto il clima di famiglia) i fiati erano sempre più corti e spezzati e il tentativo di cantare e non accennare produceva una serie di suoni acidi e forzati.
Il trionfo del trash, perché tale è l’arte della signora, è giunto nel finale dove prima di attaccare il rondò sono state interpolate frasi non scritte e gridate correndo esagitata per la scena (facendo mostra tra l’altro di un assai poco elegante gambaletto bianco), mentre la novella Carelli pesantemente batteva contro le porte irrimediabilmente chiuse sino all’entrata di un Don Alfonso in mise da cucco nelle circumvicine balere, con crocifisso di foggia ortodossa sul villoso torace e capelli al vento.
Rileviamo il tocco di sobrietà della cantante, che prima di attaccare il rondò si è limitata a travolgere bicchieri e caraffe dal tavolo, rinunciando nobilmente al lancio della porchetta del banchetto.
Poi Dimitra ha chiuso in bellezza con il peggior rondò immaginabile, che il pubblico ha saggiamente salutato con fischi.
E siccome il non modesto cachet della signora viene versato con denaro pubblico, bene ha fatto il pubblico.!
Per altro il vero insostituibile compagno di questa edizione bergamasca di tanta diva è stato il maestro Severini. Tempi lenti e soporiferi, che aiutavano a mettere in risalto le “virtù” canore della compagnia di canto, salvo ogni tanto qualche fragorosissimo ed inopportuno risveglio. Ma il clima della congiura di palazzo, l’aura di mistero che deve accompagnare le apparizioni della protagonista, le scene di colore vuoi degli scherani della infernale coppia Este-Borgia, che dei compagni di ventura e sventura di Gennaro, ce li siamo proprio immaginati.
Un tempo la terminologia tradizionale delle recensioni teatrali diceva “bene gli altri”. Noi possiamo dire “male gli altri”. Figlio di tanta madre Roberto de Biasio canta o fortissimo con una voce in natura bella tutta messa fra naso e gola, oppure con falsettini, che sono la regola quando ( terzetto atto secondo, aria finale) la tessitura diviene acuta, punti in cui il tenore è sempre stato al di sotto della giusta intonazione.
Le cose vanno, ancora, peggio con Nidia Palacios (connazionale, crediamo, della Theodossiou) che, con una voce da Zerlina, si improvvisa Maffio Orsini. Tralasciamo l’aspetto a metà tra Paperoga e Kermit la rana, per osservare come passi sotto assoluto silenzio ogni passo canoro del personaggio, scritto con il solo ed esclusivo fine di “tirare giù” il teatro.
Da ultimo l’infernale o, almeno satanico, Don Alfonso di Enrico Giuseppe Iori che non canta neppure male, salvo l’emissione slaveggiante della stragrande maggioranza dei cantanti oggi in carriera e l’idea che il signore di Ferrara debba essere a tutti i costi un bel tenebroso o consimile. Secondo lo spirito, che per la prima volta abbiamo visto realizzato nella pratica, della spedizione punitiva l’allestimento dimentica che i mattoni a vista negli ambienti interni molto aia padana mal si conciliano con la messa in scena di una delle più raffinate corti di Italia, ben più adatti ad un allestimento, che possa servire per qualsiasi melodramma di ambientazione campagnola.
Una chiosa merita la guardia del corpo di don Alfonso. Otto virago vestite alla de Hana, armate da Walkirie, che provvedono con sacco e corda all’arresto di Gennaro. Ed in nome della parità fra coniugi Lucrezia è sempre accompagnata e perseguitata, si dovrebbe capire da fantasmi (due uomini, una donna ed una bambina, portatrice di sudari), che ricordano certe raffigurazioni di fantasmi della filmografia nostrana anni ’60 o una raffigurazione degli appestati manzoniani da figurine Panini.
Siccome nella vita si deve fare tesoro di tutto, ringraziamo chi ci ha consentito di rivivere il clima delle cosiddette “spedizioni punitive”.
Lucrezia Borgia: Demetra Theodossiou
Gennaro: Roberto De Biasio
Don Alfonso: Enrico Giuseppe Iori
Maffio Orsini: Nidia Palacios
Rustighello: Luigi Albani
Gubetta: Giuseppe Di Paola
Astolfo: Mauro Corna
Liverotto: Livio Scarpellini
Vitelozzo: Giovanni Manfrin
Apostolo: Gazzella Luca dell’Amico
Ascanio Petrucci: Dario Giorgelè
Direttore: Tiziano Severini
Regia: Francesco Bellotto
Scene: Angelo Sala
Costumi: Cristina Aceti
Orchestra e Coro del Bergamo Music Festival Gaetano Donizetti
Venerdì, 30 novembre 2007
Direi notevole anche la scelta di attaccare “Era desso” seduta sulla panchina, stile fermata d’autobus… un omaggio allo sciopero dei mezzi pubblici?
dunque..io ho assitito alla prova generale di questo orrore: la theodossiu ha cantato poco e male…poco perché si è trattato di continui accenni, bluff vocali e trucchetti d’emissione di bassa lega…in aggiunta a brutti pianissimi che si spostavano in toto sul fondo della laringe. Il rondò finale è stato un inno alla “non-agilità” che mi ha fatto vergognare di essere lì per ascoltarne l’indecenza.
In sincerità il tenore non mi è parso poi tanto male: la voce spiegata era molto sonora, ricca d’armonici e perfettamente immascherata (non sono d’accordo sulla posizione della stessa “fra naso e gola”) però le mezzevoci ed i piani lasciavano parechhio a desiderare….una pressoché totale sbiancatura dell’emissione di brutto effetto.
Due parole sull’altra donna del cast: voce da “serva padrona” di pergolesi, improvvisatasi per pazzia un pessimo maffio orsini.
Aggiungasi una direzione molle e piatta e la frittata è fatta.
Una Borgia a suo modo indimenticabile…la Dimitra spiazza sempre, aspetti la foga e ti ritrovi i pianini, aspetti prudenza e lei impazza con frasi gridate e pugni sui muri. Speriamo di sentirla quanto prima in un’opera verista da “generosa” che veicoli al meglio il suo focoso temperamento.
Aggiungo qualcosa : nello stesso allestimento a Sassari non risulta che Paoletta Marrocu inserisse frasi parlate nel finale, il cui inserimento credo possa essere spiegato col genio della Theodossiou.
Per quanto riguarda l’abitudine di lanciare oggetti credo si possa sintetizzare con un semplice : ci sono soprani che lanciano sopracuti e soprani che lanciano oggetti…
Nel finale mi aspettavo il lancio della porchetta che così trionfalmente campeggiava dal banchetto (sembrava pronta per l’uso) e uno schiaffo a Don Alfonso , già che c’era.