Il tenore prima di Caruso e del Verismo, parte II : Bonci e De Lucia


La fama di Enrico Caruso fu, almeno a partire dal 1915, assoluta ed indiscussa.
Prima di quell’anno, che coincise anche con l’ultima, tutt’altro che apprezzata apparizione del tenore napoletano in Italia, Caruso ebbe nella sua carriera almeno due colleghi, Fernando de Lucia e Alessandro Bonci, che gli crearono non pochi problemi.

Il primo, napoletano anch’esso e già molto noto agli inizi della carriera di Caruso, meglio noto, almeno nella citta d’origine come “don” Ferdinando fu l’involontario metro di paragone che costò al giovane Caruso protagonista nel 1902 di Elisir d’amore al San Carlo di Napoli una riprovazione del pubblico e la decisione definitiva (non dimentichiamoci, però, che il 23 novembre 1903 Caruso debuttò al Met) di non esibirsi più a Napoli.
Il secondo che era, invece, cesenate, e minacciò in casa, ossia a New York, il trono di don Enrico.
Nella stagione 1906 cantò al teatro Manhattan di New York e poi nelle tre stagioni successive fu, invece, direttamente al Met con le sue opere. Va anche detto che il confronto fra i due fu diretto ossia nelle stesse serate (novembre-dicembre 1908), esibendosi Caruso in Cavalleria e Bonci in Edgar Per altro il confronto fu anche nella stagione 1908-1909 al Covent Garden di Londra.
I motivi del repentino abbandono di Bonci devono essere ricercati, diciamo con un eufemismo, nell’origine e nelle amicizie di don Enrico e del suo mentore al Met il baritono Antonio Scotti, napoletano pur esso.
A parte la cronaca delle carriere, che deve anche essere completata precisando che sia de Lucia che Bonci non furono cantanti di sola carriera italiana, ma di grandissima notorietà anche nei paesi di lingua anglosassone e in America del Sud.
De Lucia al Met, ad esempio si era esibito nella stagione 1893-’94 e pure alla Scala la sua presenza era stata rilevante. Maggiore e continuativa però, nel teatro milanese quella di Alessandro Bonci con tutti i titoli del suo repertorio.
Chi volesse avere una accurata descrizione di Alessandro Bonci interprete, soprattutto, deve leggere le pagine, che Gino Monaldi gli dedica nel suo “cantanti celebri”.
Non furono due tenori identici, anzi.
De Lucia pure un poco più anziano di Bonci fu uno dei primi interpreti del repertorio verista, pur avendo iniziato con le opere tipiche del cosiddetto tenore di grazia (Elisir, Rigoletto e soprattutto le opere francesi). Il motivo è ovvio de Lucia era, anche nella fase migliore un tenore corto e non superò mai il si bem, (dovendosi ricavare la conclusione dalla scrittura del title role di Amico Fritz di cui fu il primo interprete) e le scritture del verismo marcatamente centrali gli si confacevano.
E’, poi, ben noto come De Lucia se il brano risultava troppo acuto provvedesse al trasporto. In alcune registrazioni come l’aria di Nadir dei pescatori abbassata di due toni è, poi, costretto a trasporti verso l’alto nelle frasi più basse, praticamente da baritono. Discutibilissimo e musicalmente poco gradevole il tutto.
Non per nulla Leopoldo Mugnone, che lo diresse spesso, lo chiamava Gondran, soprannome affibbiato nella seconda parte di carriera anche a Tito Schipa. Ma allora tutti i direttori d’orchestra o quasi, anche celeberrimi come Mugnone o Mancinelli preferivano un’aria trasportata, piuttosto che un’esecuzione, che denotasse tensione e difficoltà.
Sarebbe interessante sapere come si comportasse de Lucia nei brani di assieme e, più ancora in quelli più scopertamente drammatici e di vocalità tesa, quali ad esempio il finale di Carmen dove un’usuale partner di de Lucia (Emma Calvè) è documentata.
Perché quello che connota de Lucia nell’esecuzione degli assolo è un verismo elegante, sfumato, attento prima di tutto alle ragioni vocali.
Fra l’altro in generale la voce di de Lucia nei dischi suona molto scura e corposa per un tenore cosiddetto di grazia, penetrante e squillante nei primi suoni acuti ed i recenti riversamenti hanno anche attenuato il vibrato, che era ritenuto un difetto di de Lucia. Ai tempi, al contrario, era ritenuto un attributo del canto d’amore.
Paradigmatica l’esecuzione di “Amor ti vieta” a tempo lentissimo e attaccata in pianissimo, come, forse, conviene all’inizio di una schermaglia amorosa, a maggior ragione se nel corso di una festa. De Lucia intensifica progressivamente le sonorità, senza che la qualità del suono venga minimamente intaccata e, quindi, senza nessuna forzatura il punto “clou” ossia il la nat di “t’amo” è rispettato nella sua accezione espressiva.
E’ interessante il raffronto con il rivale Caruso, che di Loris fu, fra l’altro il primo interprete. Se poi il metro di paragone diviene qualsiasi dei più acclamati Loris degli ultimi quarant’anni sono due mondi vocali ed interpretativi.
L’espressione estatica, la dinamica esasperata sono applicate anche alla Siciliana di Cavalleria ed agli stralci del duetto di Lohengrin del terzo atto (titolo che era in condominio all’epoca fra tenori cosiddetti di grazie e tenori di forza).
Sono esecuzioni che non hanno nulla in comune al gallismo che di lì a poco sarebbe diventata la sigla del tenore verista o con la piatta declamazione dei cantanti wagneriani.
Poi ci sono anche i vezzi e vizi. I tempi costantemente lenti impongono prese di fiato anti musicali come pure a questo difetto porta l’inserimento di filature e rallentanti. Il fascino del “soffio dell’april” smorzato a regola d’arte e con un suono di ugual saldezza e vibrazioni ad ogni intensità è il contraltare, come pure il tono estatico dei passi dei Pescatori di perle.
Un altro difetto poco gradito al nostro orecchio sono i suoni chiari ed aperti sulle vocali “e” ed “i” nella zona centrale. Spesso il dubbio, visto il ricorso amplissimo ai trasporti e l’incertezza sulla velocità di registrazione e di riversamento riguarda la nota su cui la sgrammaticatura cada. In linea di principio non supera mai il re3 ossia la zona del passaggio che de Lucia esegue da manuale. E se così non fosse non avrebbe potuto sfoggiare in zona più alta il gioco coloristico, che è una delle maggiori attrattive di De Lucia.
Al di là della ammirazione per la tecnica per la facilità con cui sono risolti i passi più ardui rimane oggi ascoltando de Lucia l’immagine di un cosiddetto attore vocale assolutamente impensabile dopo il trionfo di don Enrico Caruso e di un modo di affrontare il verismo, che se da un lato fu limitato nel tempo, è affascinante e libera da molti, moltissimi luoghi comuni.
Anche dai dischi di Bonci il verismo è affrontato con assoluto privilegio della linea vocale e del rispetto assoluto della grammatica vocale. Le frasi più scomode di Chenier, Cavaradossi e Des Grieux sembrano elementari.Ma nella carriera di Bonci il repertorio a lui contemporaneo fu un caso.
Bonci fu uno degli ultimi interpreti di Bellini e Donizetti. Nelle stagioni al Met costituì con Marcella Sembrich una coppia che per repertorio può richiamare Kraus e la Scotto o Kraus e la Sutherland.
Classificato anche lui come tenore di grazia eseguiva, però, talvolta Boheme e Tosca, spessissimo il Ballo in maschera, che richiede ampiezza e resistenza vocale e del quale si dice che fu l’inventore, approvato da Verdi, della risata all’aria “ E’ scherzo o follia”. Credo rientri nella mitologia dell’opera.
Anche Bonci non è un esempio di fedeltà allo spartito e siccome era un tenore acutissimo i maggiori artifizi sono proprio quelli (di assoluta ascendenza ottocentesca), che facilitano l’esecuzione delle scritture acute, come acciaccature prima degli acuti, il marcato ricorso ad un suono che rassomiglia alla “u” per propiziare immascheramento ed emissione degli acuti. D’altra parte sono i suggerimenti raccolti in tutti i più accreditati manuali di canto dell’epoca
Alessandro Bonci è forse meno fantasioso di de Lucia (meno arbitrario dirà qualcun altro), ma il legato nell’esecuzione del finale di Lucia, dove l’impiccagione dei tenori da almeno un ventennio è la regola o mezza voce e smorzature ad ogni quota nella sortita dei Puritani o nelle arie del don Pasquale fanno parte di una modalità esecutiva oggi sparita.
Non credo, come è sempre stato scritto che Bonci fosse un esecutore piatto. Se tale risulta lo è in confronto con l’esuberanza e l’estro di de Lucia; come quasi tutti i vocalisti ( penso in campo tenorile ad un Bergonzi ed in quello femminile a Ebe Stignani o la Arangi-Lombardi)è essenzialmente misurato, ma di. quella misura che ha il pregio di essere assolutamente aliena da gusti e mode. I nomi sopra citati ne sono, mi pare, esempio.


Alessandro Bonci
Puccini – Tosca Recondita armonia
Bellini – I Puritani A te, o cara
Donizetti – La Favorita Spirto gentil
Meyerbeer – L’AfricanaMi batte il cor…O Paradiso
Bizet – I pescatori di perle Del tempio al limitar (con Antonio Magini-Coletti)
Donizetti – Don Pasquale Cercherò lontana terra
Donizetti – Lucia di Lammermoor Tu che a Dio spiegasti l’ali
Verdi – Rigoletto Ella mi fu rapita…Parmi veder le lagrime
Verdi – Un ballo in maschera Dì tu se fedele
Verdi – Un ballo in maschera E’ scherzo od è follia

Fernando De Lucia
Giordano – Fedora Amor ti vieta
Mascagni – Cavalleria rusticana O Lola c’hai di latti la cammisa
Bizet – I pescatori di perle Della mia vita rosa sopita
Thomas – Mignon Addio Mignon
Wagner – Lohengrin Cessarono i canti (con Josefina Huguet)
Wagner – Lohengrin Mai devi domandar (con Josefina Huguet)
Wagner – Lohengrin Mercè cigno gentil

3 pensieri su “Il tenore prima di Caruso e del Verismo, parte II : Bonci e De Lucia

  1. Io credo che De Lucia sia il tenore più franinteso della storia della discografia. Che ricorresse a trasporti di tono è fuori discussione, ma non certo ad abbassamenti folli cme quelli che si odono nei riversamenti finora pubblicati, dove si odono tempi lentissimi anche per l’epoca e artefazioni e scurimenti della voce che sono semplicemente il risultato di un assurdo rallentamento delle incisioni. Insomma, mi pare che Rodolfo Celletti, in un paio di articoli pubboicati una quindicina d’anni fa non ricordo se su Musica o Musica Viva, avesse sviscerato e chiarito l’argomento in maniera quasi definitiva. In sue parle, è evidente che De Lucia avrà anche abbassato diversi brani di mezzo tono o anche di un tono, non certo di uno e mezzo o due come sostenuto da qualche riversatore, quasi che un tale cantante, per corto che fosse, temesse un labemolle o giù di lì. Insomma, sarebbe auspicabile che qualcuno tentasse dei riversamenti su logiche fondate anche sul buomn senso musicale, e chissà che finalmenente la voce di questo celebrato cantante non ci apparrà finalmente meno deludente di quanto risuoni sui CD oggi in commercio.
    Complimenti per il sito, finalmente un posto dove si parla di tecnica vocale, vivaddio!

  2. Finalmente qualche altro “archeologo” del disco che apprezza e desidera collocare il grande mito di De Lucia i una luce un po’ diversa da quella corrente, che a noi pare impropria.
    Grazie e benvenuto

  3. Grazie del Benvenuto, Madame Grisi: le sono obbligato.Tornando alla questione delle registrazioni oggi in commercio di De Lucia, provi chiunque a fare un semplice esperimento. Estragga l’audio di una qualsiasi traccia, poi, usando un qualsiasi editor di file wav. come quello di Nero, provi ad ascoltarla alzandola di mezzo tono, o un tono. Si accorgerà con sconcerto che quella voce scura e intubata improvvisamente prende una brillantezza inaspettata; ma non quella brillantezza artificiosa che assume qualsiasi voce o musica se riprodotta a maggior velocità, ma una di molto “naturale”. Al tempo stesso, gli assurdi tempi da funerale si orientano verso qualcosa di molto più plausibile. Insomma, è evidentissimo che il De Lucia in circolazione è pesamentemente svisato, e amerei conoscere al proposito l’opinione in propositto di altri appassionati.
    Lele (Gabriele Brunini, Venezia)

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