Dopo un periodo di assenza dalle scene Giuseppe Filianoti era attesissimo al debutto come Hoffmann, anche da chi, mostrate perplessità sulle sue ultime apparizioni, era curioso di avere conferme o smentite su quei dubbi.
Nel Prologo il tenore appare alquanto valido, soprattutto in virtù della dote vocale, e l’esecuzione della Chanson de Kleinzach lo testimonia, salvo qualche segno di sforzo nei primi acuti. Gli stessi segni di sforzo del prologo si rifanno sentire nell’atto di Olympia, portato a termine in maniera comunque lodevole, e culminano nell’atto di Antonia, dove vi è una palese difficoltà a reggere intere frasi del duetto col soprano (C’est une chanson d’amour – che andrebbe cantata legando e sfoggiando ampio uso della dinamica) che risultano alla fine dure ed opache. Nel terzetto con Crespel e il Dr. Miracle di nuovo sfoggia qualche acuto ghermito ed una evidente pesantezza in frasi moderatamente acute, come quelle dell’atto di Giulietta, e di nuovo a squarciagola nelle frasi che seguono il settimino.
I dubbi che aveva destato Filianoti dopo la sua apparizione in Francia nell’Elisir d’amore sono dunque riconfermati da questi Contes e forse aumentano in virtù del vedere Filianoti impegnato in future Messe da Requiem (un tempo appannaggio di voci tenorili molto diverse in tecnica e peso specifico) e nel debutto come Faust nel Mefistofele di Boito, dove, si spera, non ripeterà i fasti di Alberto Cupido dell’edizione fiorentina del 1989.
Altro atteso debutto di questi Contes d’Hoffmann è quello del soprano di coloratura rumeno Elena Mosuc, che si cimentava per la prima volta nell’ardua impresa di interpretare tutte e tre le eroine dell’opera, la bambola Olympia, la giovane Antonia e la cortigiana Giulietta. Impresa ardua appunto, nella quale la signora Mosuc non è del tutto riuscita.
Il ruolo che meglio avrebbe dovuto rendere in teoria, lei, famosa Regina della Notte, ossia la bambola Olympia, le riesce in modo poco convincente, l’aria “Les oiseaux dans la charmille”, cantata con un tempo lentissimo, mostra segni di affaticamento in tutta la sua durata che si concretizzano in suoni malfermi che più di una volta ballano in maniera percettibilissima. Lo stesso dicasi del vocalizzo con cui Olympia esce di scena, nel quale questa bambola fa percepire non poca ruggine nei suoi meccanismi.
Antonia necessiterebbe invece di un vero soprano lirico, capace di reggere le lunghe e bellissime frasi del personaggio, stagliandosi sull’ orchestrale con senso di maestà vocale (quella che tanto faceva sentire Joan Sutherland in questo ruolo). Nell’interpretazione della Mosuc si intuiscono belle intenzioni di fraseggio, ma la fatica si fa percepire anche qui, specie nel celebre terzetto, chiuso da un do diesis poco bello e non del tutto sicuro, ove si percepiscono frasi malferme, fiati corti e fatica. I pianissimi e i suoni filati cui il soprano ricorre abbondantemente egualmente non sembrano frutto di adeguato sostegno.
Neanche l’idea di inserire l’aria “L’amour lui dit la belle” nell’atto di Giulietta porta a risultati memorabili, e questo nuovo cimento della Mosuc come già espresso precedentemente sembra un po’ al di sopra delle sue attuali capacità, soffrendo forse soprattutto della lunghezza e della pesantezza dei tre ruoli.
Nel ruolo dei quattro diavoli Kyle Ketelsen si mostra sufficientemente bravo, gli si può rimproverare certa genericità e qualche problema nell’esecuzione di “Scintille diamant”, aria di tessitura baritonaleggiante e non solo per il fa diesis in chiusa. Gradevole Nicklausse era Nino Surguladze, dal timbro sopranileggiante, la quale mostra una voce che potrebbe forse condurre verso altri risultati gestita in maniera diversa. Poco attenta alla magia e al senso di mistero della partitura il direttore Emmanuel Plasson, che si impegna principalmente a portare a casa la serata.