I Proms 2007 si sono chiusi con un concerto in Hyde Park (BBC Concert Orchestra diretta da Carl Davis) cui ha partecipato, fra gli altri, il tenore Juan Diego Flórez.
Il primo dei tre interventi di Flórez è la cavatina del Roméo e Juliette. Non sappiamo se questa scelta sia indicativa dell’intenzione di affrontare il cimento di una produzione teatrale, o magari di includere il brano in un futuro cd “Hommage à Kraus”. Speriamo di no, perché la garbata (e alquanto nasale) voce del cantante peruviano non ha il peso specifico del tenore lirico, né l’interprete dispone di quella tavolozza di colori necessaria per non ridurre l’incantevole melodia gounodiana a una languida cantilena da salotto. Insomma, è un problema non tanto di dote naturale (quale era quella di un Giuseppe Morino, capace tuttavia di ricamare ogni dettaglio di questa cavatina come pochi altri?), quanto di assoluta indifferenza nei confronti di quello charme tutto francese che, per dirla con miss Ashton, “si sente e non si dice” (ascolti consigliati: oltre al sempreverde Alfredo, l’elegante ma tutt’altro che anemico Léon David e il classico, benché alquanto stonato, Georges Thill).
Altri due grandi Romei: Beniamino Gigli e Alain Vanzo.
Secondo brano: Ella mi fu rapita… Parmi veder le lagrime. La voce del Duca, nel Rigoletto, viene quasi convenzionalmente associata a quella di tenore lirico. E’ mio parere, però, che il tenore lirico-spinto assurga meglio al compito di restituire il fraseggio e il carattere ideali di questo personaggio. Infatti la miglior resa possibile del personaggio, da ogni angolatura possibile, la ritroviamo nelle prestazioni di tenori quali Caruso, Peerce, Gigli (aggiungiamo anche il “liricissimo” Pavarotti) per citare i primi esempi che vengono in mente. Anche altri tipologie vocali hanno voluto affrontare questo ruolo (o solo delle selezioni), tipologie che sforano dal modello di vocalità richiesto: stiamo parlando, ad esempio, di Schipa, tenore di grazia (ma che i contemporanei descrivono come una voce tutt’altro che piccola) oppure Kraus (sostanzialmente tenore contraltino, ma non certamente una voce di tenore leggero). Nel caso di Juan Diego Flórez ci troviamo in presenza di una voce prettamente da tenore leggero, anche se spesso (ed impropriamente) si sente attribuita a lui la definizione di lirico-leggero. Quando un tenore leggero si avvicina a repertori non di propria pertinenza, come in questo caso, esiste il problema da un lato, di non cadere nella tentazione di spingere troppo in zone della voce non proprio congeniali alla questa vocalità (mi riferisco in particolare ad una certa insistenza nei centri, dove viene richiesta molta polpa vocale), evitando danni a livello degli organi preposti alla fonazione e un calo della qualità dell’esecuzione.
D’altro canto, però, gli stessi accorgimenti, come un serpente che si morde la coda, possono andare a discapito di una corretta caratterizzazione del personaggio (un tenore che si deve mantenere costantemente leggero per necessità non è un tenore che può rendere bene il Duca). Intanto, da questa registrazione di Juan Diego Flórez, notiamo una – mai riscontrata dal vivo – uniformità di volume anche nelle note più gravi. Siccome le discese al registro grave sono frequenti e importanti, su questo fronte ci riserviamo di ascoltare Flórez dal vivo, per fugare ogni dubbio in merito. Posso solo azzardare l’ipotesi che sia merito del microfono.In quest’aria abbiamo una caratteristica alternanza di frasi ora più liriche, ora più spinte. Nelle prime Flórez riesce a mantenere una certa leggerezza (che certamente non hanno una completa aderenza con il personaggio, ma almeno è cosa apprezzabile dal punto di vista prettamente tecnico), mentre sorgono problemi seri per le seconde: il canto si fa muscolare, specie dal sol acuto in su, le note più acute risultano poco timbrate, la voce si fa nasale e con essa la dizione e il fraseggio perdono consistenza (e non sono più quelli di un fiero uomo che ha perduto la donna amata). Credo che sia ancor più esemplificativo dei difetti di Flórez il confronto con Tito Schipa (mirabile prova di equilibrio tra la vocalità di grazia e il pathos drammatico). Il consiglio per Flórez è dunque di evitare questi repertori spinti, proprio per motivi strutturali oltre che per assenza di affinità elettive.
Alcuni ascolti di grandi Duchi:
Enrico Caruso; Jan Peerce; Beniamino Gigli; Alfredo Kraus (a 60 anni); Luciano Pavarotti; Richard Tucker; Tito Schipa.
Il parco programma si chiude con un medley di canzoni latinoamericane (“Solamente una vez” di Lara,”¡Ay Jalisco no te rajes!” di Esperón e “Alma llanera” di Gutiérrez, tratta dall’omonima zarzuela), amore di gioventù di Juan Diego, il quale si scuote per l’occasione dal torpore interpretativo che gli è caro e si abbandona alle melodie, ora cullanti ora spumeggianti, trovando accenti d’ingenua passionalità che fanno pensare al nostro Tajoli. Tali pregi sono particolarmente evidenti nell’ultimo assolo, che, cantato nella zarzuela dalla protagonista Rita, abbigliata con il tradizionale costume venezuelano, gode in patria di una popolarità almeno pari a quella della romanza della Vilja. La zarzuela si conferma quindi un must per i cantanti di area spagnola, e speriamo anzi che Flórez si dedichi con maggiore frequenza a questo repertorio, che cantanti come Teresa Berganza, Alfredo Kraus, María Barrientos e Jaime Aragall hanno reso popolare anche in terra non iberica.